Per la siderurgia tarantina si apre un nuovo capitolo che nello stesso tempo è anche una sfida all’apparato industriale nazionale, da anni mortificato e fortemente compromesso anche nelle risorse umane e nel management necessario per sviluppare il nuovo modello industriale, nel segno di una integrale sostenibilità
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Intervento di Roberto Pensa, ingegnere ed ex-dirigente di Italsider e Ilva – In argomento v. anche un precedente suo intervento sullo stesso tema, nonché il mio articolo pubblicato su lavoce.info il 29 novembre 2019, Il capitale sociale che manca all’ex-Ilva.
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Con l’accordo firmato tra Invitalia e Arcelor Mittal Italy il 10/12/2020, il colosso siderurgico ritorna in mano pubblica. Al via libera dell’Antitrust della commissione Europea, risolti tutti gli aspetti societari presumibilmente entro febbraio 2021, occorre avviare rapidamente la realizzazione dei principali investimenti tracciati dall’accordo per il rispetto dei tempi pianificati. Il relativo piano, se ben attuato, può essere una reale occasione di rilancio del colosso siderurgico.
In una prima fase occorre procedere con:
– il completamento di tutti i lavori ambientali richiesti dall’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che condizionano il dissequestro degli impianti, vincolo da rimuovere per il futuro passaggio di proprietà e indispensabili per il mantenimento degli standard ambientali richiesti. Va tenuto anche conto di altri impegni derivanti dalla “revisione” dell’AIA per effetto delle variazioni specifiche derivanti dai nuovi assetti produttivi;
– il rifacimento dell’Altoforno n. 5, impianto tra i più grandi al mondo. Quest’ultimo è un investimento rilevante e complesso che richiederà non meno di due anni per ricostruirlo adottando le migliori tecnologie esistenti.
A seguire sono previste importanti realizzazioni di nuovi impianti per consentire un “assetto ibrido” con una produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio realizzate con il ciclo tradizionale degli altiforni a cui vanno aggiunti 2,5 milioni di tonnellate da produrre con la tecnologia del forno elettrico. Bisognerà, quindi, avviare importanti investimenti quali una nuova acciaieria elettrica e un impianto di preridotto per la produzione delle bricchette ferrose necessarie per la carica dei forni elettrici.
Va evidenziato che quest’assetto, a causa delle necessità di metano e di energia elettrica, va ad aumentare il costo finale dell’acciaio prodotto. La sostenibilità economica della fabbrica, sarà possibile grazie alla produzione di gas siderurgici derivante dalla marcia di altiforni e cokeria, trasformati in energia elettrica con le centrali a gas esistenti.
Nell’articolo di Aprile 2020 pubblicato da “DIRIGENTI INDUSTRIA Federmanager Lombardia” intitolato La siderurgia e il cambiamento climatici: responsabilità e prospettive, sono analizzati gli impatti dei vari processi siderurgici sulle emissioni di anidride carbonica di origine antropica legate alla siderurgia. Oggi la siderurgia mondiale è responsabile per il 5% delle emissioni quantificabili in oltre 2 miliardi di tonnellate di CO2.
Con questo “assetto ibrido” la fabbrica di Taranto potrà ridurre le proprie emissioni di CO2 da circa 16 milioni di tonnellate a circa 14 milioni di tonnellate che costituiscono un primo contributo al piano EU con un abbattimento di circa il 13%. Con un futuro impiego d’idrogeno si potrà scendere, sempre con l’assetto descritto sino a 12 milioni di tonnellate e pertanto risulta essere un investimento con un modesto beneficio.
Le ragioni, da ritenersi prioritarie e motivanti, di questo assetto, sono conseguenti alla necessità di ridurre l’impatto ambientale derivanti da altre fonti inquinanti tipiche del ciclo di altoforno: con la produzione di 2 milioni di tonnellate di acciaio da forno elettrico si potranno ridurre le necessità di carbone/coke per circa 1 milione di tonnellate e di agglomerato per circa 2,5 milioni di tonnellate con un effetto consistente sulla riduzione di emissioni di NOx, Polveri, Idrocarburi Policiclici Aromatici ed SOx. Questo è certamente l’effetto sensibile che va a ridurre l’impatto ambientale della fabbrica sul territorio.
Con l’inserimento di un nuovo forno elettrico nel ciclo di Taranto, andrebbe colta anche l’opportunità da parte dei decisori, di corredare questo impianto con una nuova linea di laminazione con il processo ESP di Arvedi (a oggi non prevista) che realizza la trasformazione diretta dell’acciaio liquido, in soli 180 metri e in 15 minuti, tramite colata e laminazione in linea. La trasformazione in coils avverrebbe con ridottissimi consumi energetici e si potrebbe ottenere la produzione di acciai di qualità eccellenti, spessori ultrasottili molto richiesti dai mercati e quindi un’occasione di forte rilancio commerciale. Si otterrebbe inoltre una forte semplificazione dei flussi.
Per la siderurgia tarantina si apre quindi un nuovo importante capitolo che nello stesso tempo è anche una sfida al nostro apparato industriale nazionale da anni mortificato da continue de-industrializzazioni e fortemente compromesso anche nelle risorse umane e nel management necessario per sviluppare la nuova fabbrica che raggiunga la completa sostenibilità. La realizzazione di questi impianti, per la loro complessità, trattandosi di opere “green field”, richiede tempi maggiori per lo sviluppo di studi preliminari: valutazione dei progetti, gare di appalto, preparazione delle aree con la demolizione d’impianti interferenti, ingegneria e realizzazione. Abbiamo però un grande vantaggio poiché in Italia sono presenti primarie società che realizzano questi impianti e la relativa ingegneria in tutto il mondo.
La riuscita del piano previsto, in termini di risultato economico, ambientale e reimpiego delle maestranze, è strettamente legato anche al rispetto dei tempi di realizzazione e occorre sviluppare un’attenta strategia nelle scelte anche in considerazione che alcune realizzazioni quali l’impianto di preridotto sono un investimento fuori dal perimetro del gruppo futuro proprietario.
Questo complesso panorama impone scelte ben meditate e studiate in tutti gli aspetti, sapendo che un errore nella strategia, potrà compromettere il risultato del recupero dell’impianto siderurgico di Taranto che unitamente a Novi e Genova costituisce un polo industriale tra i più importanti e moderni in Europa e strategico nell’economia nazionale.
Il preridotto nella siderurgia di Taranto
Nell’ipotesi, inserita nel piano industriale della nuova società Invitalia-Arcelor Mittal Italy, di realizzare nella fabbrica di Taranto una quota della produzione di acciaio, con forni elettrici, per circa 2,5 milioni di tonnellate, occorreranno elevati volumi di materiale ferroso per alimentare la nuova acciaieria (EAF).
Normalmente nelle acciaierie elettriche dell’Italia settentrionale, i forni sono caricati con rottame ferroso proveniente dal mercato. Il rottame ferroso è soggetto a variabilità nel prezzo di acquisto e nella disponibilità. Alcune acciaierie integrano il rottame con ghisa solida o con materiali preridotti acquistati anch’essi sul mercato internazionale, sia per aspetti qualitativi dell’acciaio da produrre sia per supplire a carenze nel rifornimento del rottame.
Nel caso di Taranto l’utilizzo del rottame ferroso come materiale di carica del nuovo forno elettrico (EAF) è di difficile attuazione per i seguenti due motivi principali:
– per la produzione di laminati piani (coils) che si effettua a Taranto, la carica con rottame ferroso, per la sua variabilità nella qualità e composizione chimica, non garantisce gli standard qualitativi che invece si riescono a raggiungere con le acciaierie esistenti a ossigeno (BOF);
– i volumi di rottame ferroso necessari superano i 2,5 milioni di tonnellate ed è impensabile ottenere certezza e costanza nella fornitura a prezzi convenienti per tali quantità.
Va ricordato anche che le acciaierie esistenti a Taranto (BOF) hanno, per necessità di processo, un fabbisogno consistente di rottame ferroso come carica fredda da approvvigionare. È evidente quindi che occorrerà, per Taranto, un massiccio ricorso ai prodotti preridotti che difficilmente sarebbe possibili reperire sul mercato nei volumi occorrenti.
Dove approvvigionarsi? Il piano industriale del recente accordo non ne definisce ancora i dettagli, si parla soltanto di un impianto di preridotto costruito e gestito da una società ad hoc. Da quanto si legge questo impianto, sarà fuori dal perimetro della gestione Invitalia-AMI. E’ipotizzabile quindi che questi nuovi impianti saranno realizzati all’interno fabbrica di Taranto in aree da individuare.
Ipotesi di una decentralizzazione per l’impianto DRI
È bene evidenziare che, in alternativa ad una costruzione in loco, a causa delle problematiche sottodescritte, di un impianto per la produzione del preridotto, possono rendere interessante, intraprendere una decentralizzazione dell’impianto fuori dai confini nazionali.
La riduzione diretta o DRI (Direct Reduction Index) si riferisce ai processi che riducono gli ossidi di ferro presenti nei minerali, a temperature inferiori al punto di fusione del ferro (800 a 1.200°C) in presenza del gas riducente: occorrono quindi notevoli quantità di gas metano e vede, di conseguenza, il suo sviluppo principalmente in quei paesi ricchi di gas naturale.
La spugna di ferro, ottenuta dal processo di riduzione diretta, ha circa lo stesso contenuto di ferro della ghisa, tipicamente il 90-95% del ferro totale. E’ inoltre possibile realizzare a caldo delle bricchette (HBI – Hot Briquetted Iron) che consentono di superare i problemi di stoccaggio, spedizione e manipolazione del DRI (Fig.1)
L’utilizzo di HBI è possibile, oltre che nei forni elettrici ad arco (EAF), anche nella produzione di acciaio con forni a ossigeno di base (BOF) e come materiale per l’altoforno (BF). L’impiego del DRI esteso al ciclo altoforno, può anche essere efficace nel diminuire le emissioni negli impianti esistenti, i consumi e aumentandone la produttività.
Il fabbisogno di gas metano è notevole ed ha una rilevante importanza per l’incidenza sul costo di produzione. Dando per scontata la disponibilità in termini di volumi di fornitura, resta il problema del costo a metro/cubo del gas metano sul mercato: tale costo oggi è talmente elevato sul mercato nazionale da essere proibitivo a meno di particolari e consistenti agevolazioni.
L’impatto ambientale: le operazioni di movimentazione, di stoccaggio e trattamento dei minerali ferrosi in forma di pellets o di pezzatura sfusa, concorrono inevitabilmente alla formazione di materiali fini pulverulenti. Inoltre va poiché trattasi comunque di un processo a caldo con l’utilizzo di gas, ciminiere e impianti di trattamento acque e sistemi di raffreddamento. Le strutture principali dell’impianto hanno un’altezza intorno ai 120 metri e quindi molto impattanti.
A fronte di questi due aspetti, potrebbe essere non conveniente perseguire la strada di una realizzazione integrata con l’impianto di Taranto e francamente non è ben chiara la reale intenzione: in ogni caso occorre tenere bene in conto che a Taranto è necessario “alleggerire“, ove possibile, ogni problema di emissioni diffuse, le loro cause, e gli impianti che possono incidere sull’incremento di polveri sottili. Sarebbe un controsenso ottenere una riduzione delle emissioni di CO2 e incrementare quelle delle polverose PM 10 e PM 2,5. Inoltre è da ben considerare l’incidenza di questo impianto sulla VIS “Valutazione d’impatto sanitario” che certamente sarà introdotta a verifica degli assetti impiantistici complessivi dello stabilimento.
Va considerato che, con una soluzione decentrata si ridurrebbero del 30% i volumi dei materiali ferrosi da trasportare, sbarcare e movimentare e si tratterebbe di materiali in pezzatura (HBI) e non polverulenti.
Una sana politica industriale del Paese dovrebbe tenere conto della situazione nel complesso dello specifico comparto nazionale dell’acciaio: va considerato che, oltre lo stabilimento di Taranto (che avrà bisogno di circa 2-3 milioni di tonnellate/anno di preridotto), anche altri produttori di acciaio da forno elettrico in Italia sono orientati sempre di più all’acquisto di materie prime di qualità, come il preridotto in sostituzione del rottame ferroso. Questo consente di migliorare le qualità degli acciai e competere a livello internazionale: un esempio è l’acciaieria di Arvedi che da anni utilizza il DRI per migliorare la carica nel forno elettrico e quindi la purezza dell’acciaio prodotto.
In Italia s’importano, annualmente, circa 1,5 milioni di tonnellate di HBI, Sul costo di produzione del preridotto pesa soprattutto il prezzo del gas, ed è questa è la ragione per cui è conveniente installare impianti per la produzione di DRI nei paesi con prezzi di approvvigionamento del gas naturale competitivi.
Per quanto sopradetto, Invitalia e chiunque abbia voce in capitolo dovrebbero attentamente valutare una nuova realizzazione impiantistica per la produzione del preridotto con capacità di circa 4/5 milioni di tonnellate/anno di bricchette (DRI /HBI) in una nazione dove il metano è disponibile ed ha un prezzo basso.
Va preferita, per ovvie ragioni, un’area industriale lontana da centri abitati, con affaccio sul mare e con strutture portuali per il carico e scarico dei materiali.
Questi investimenti possono essere realizzati anche in joint-venture con partner quali i produttori delle acciaierie elettriche nazionali interessati a forniture stabili o altri investitori esteri. Un esempio di chi si è già mosso in questa direzione viene dalla siderurgia europea: il caso Voest Alpine.
La VoestAlpine AG (Austria ) ha messo in servizio un nuovo impianto di riduzione diretta entrato in servizio a Corpus Christi in Texas (foto qui a sinistra) nell’autunno del 2016 per la produzione di HBI (Hot Briquetted Iron) e il DRI (Direct Reduced Iron) con una capacità annua di 2 Milioni di tonnellate , Circa la metà per alimentare gli altiforni esistenti in Austria di Linz e Donawitz riducendo la CO2 nel Gruppo fino al 5%: la restante metà è destinata a partner interessati a contratti di lungo periodo. Il prezzo del gas metano nel Texas è di circa un quarto di quello italiano.
Produzione di DRI nel mondo
La produzione mondiale di DRI ha raggiunto i 108 milioni di tonnellate nel 2019. Con l’avvio di Algerian Qatari Steel (AQS) in Algeria e Cleveland Cliffs negli Stati Uniti si aggiungeranno 4,4 milioni di tonnellate di capacità nel 2021. In Iran si è raggiunta una produzione di DRI per 28,5 milioni di tonnellate. L’India resta invece il produttore numero uno di DRI al mondo. Nella maggior parte dei casi, l’impianto DRI si trova vicino a una fonte di gas naturale. Non ci sono impianti DRI di rilievo in Europa: la produzione si aggira intorno a 0,5 Mt.
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