POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO TROPPO LENTE PER FARE GOL

La legge finanziaria ha dei contenuti positivi in materia di sostegno all’incontro fra domanda e offerta, tornando a valorizzare gli strumenti introdotti con la riforma del 2015; ma la macchina si mette in moto troppo tardi e ancora troppo lentamente rispetto a un’emergenza drammatica

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Articolo di Lucia Valente, professore di diritto del lavoro nell’Università “La Sapienza” di Roma, pubblicato su lavoce.info l’8 gennaio 2021In argomento v. anche A quale riforma della Cassa Integrazione pensa la ministra del Lavoro?.
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La professoressa Lucia Valente

L’ondata di licenziamenti prevedibile ad aprile

Se il 31 marzo cesserà davvero il blocco dei licenziamenti, dovremo fare i conti con un grande assente: le politiche attive. Il tempo per mettere a sistema servizi per il lavoro capaci di accogliere le richieste di migliaia di disoccupati che la pandemia ci lascerà in eredità è pochissimo e urge avere il massimo controllo dei sistemi regionali imponendo dal centro una regia che sappia fornire a tutti i cittadini i medesimi servizi.

La legge di bilancio entrata in vigore il primo gennaio prova a dare un segnale mettendo a disposizione, per il solo 2021, 500 milioni di euro del programma europeo React Eu per le politiche attive del lavoro. È già qualcosa: le risorse, anche se poche rispetto ai circa 44 miliardi lordi messi in campo per le politiche passive nel 2020, sono gestite centralmente e finanziano con 233 milioni di euro entro il 2021 un nuovo programma denominato GOL, che vuol dire “garanzia di occupabilità dei lavoratori”. A quanto si legge GOL vuole essere una sorta di “garanzia giovani”, ma per gli adulti disoccupati in cerca di un lavoro o per i lavoratori che un lavoro rischiano di perderlo. Peccato che la norma, il comma 324 dell’art. 1 della legge di bilancio, non dica nulla di più. Occorrerà un decreto interministeriale da emanare entro sessanta giorni, a ridosso dunque dello sblocco dei licenziamenti, nel quale dovranno essere precisati non solo i destinatari di questo nuovo programma, ma anche il tipo di servizi e il flusso delle attività che vanno dalla presa in carico fino alla ricerca intensiva di un lavoro.

Quello che si capisce leggendo la norma è che il ministero del Lavoro ha voluto varare una misura di politica attiva del lavoro nazionale cercando di supportare (o superare?) le Regioni, che su questa materia hanno una competenza concorrente con lo Stato. Le quali sono chiamate a un’intesa con lo Stato sull’emanando decreto interministeriale: si auspica che non facciano ostruzionismo per rivendicare un ruolo nella gestione delle risorse.

Torna al centro l’assegno di ricollocazione

Quanto agli strumenti adottati, si registra un ritorno al “Jobs act delle politiche attive”, ossia al d.lgs. n. 150/2015: viene confermato l’assegno di ricollocazione sia per i percettori di NASpI da più di quattro mesi, per i quali viene ripristinato dopo che era stato tolto nel 2019, sia per i cassaintegrati per ristrutturazione o crisi aziendale (senza più bisogno di accordo collettivo aziendale) e per cessazione di attività. È questo un modo per anticipare la ricerca del lavoro per i lavoratori che con molta probabilità saranno licenziati alla fine del periodo di integrazione straordinaria. Per questi lavoratori sarebbe stato, però, opportuno rimuovere la regola che li esenta dall’obbligo di accettazione di un’offerta di lavoro congrua. Spariscono invece, tra i beneficiari, i percettori di DisColl, ossia i parasubordinati, che non hanno diritto all’assegno ricollocazione nazionale, ma possono comunque beneficiare di altre misure regionali. L’esclusione, motivata probabilmente da ragioni di spesa, non è un bel segnale, denotando una scarsa attenzione della politica verso una platea di lavoratori assai consistente fortemente colpita dalla pandemia.

Per estendere l’assegno di ricollocazione a una platea più vasta di beneficiari la norma destina la parte restante dello stanziamento (267 milioni) al rifinanziamento di questa misura per il 2021. La novità che va segnalata è la centralità assegnata alla formazione professionale e alla riqualificazione per l’acquisizione di competenze necessarie per rispondere ai fabbisogni formativi della persona. Anche in questo caso, però, la norma è estremamente generica; e manca qualsiasi cenno a un sistema di monitoraggio permanente degli esiti della formazione impartita.

I vecchi errori da evitare e il rischio di arrivare tardi

Affinché il GOL possa funzionare è necessario che tutto il flusso delle attività che verranno previste nel decreto interministeriale sia gestito esclusivamente grazie a un sistema informativo unico nazionale, che era previsto nell’art. 13 del d.lgs. n. 150/2015, ma ancora non realizzato. Se si commetterà ancora una volta l’errore di far gestire alle Regioni, ciascuna con i propri sistemi informativi in parte obsoleti, il flusso delle attività del GOL si rischiano i ritardi e il solito rimpallo di responsabilità che non possiamo più permetterci. Anche perché un efficace sistema informativo unico serve per tracciare il flusso delle attività remunerabili svolte dai tanti soggetti privati chiamati a intervenire in ogni regione nella erogazione delle misure di politica attiva e della formazione. Mai come ora è necessario individuare un “padrone del processo” che sappia dare risposte immediate a eventuali malfunzionamenti informatici e alle disfunzioni organizzative che inevitabilmente ci saranno. Inoltre è necessario che il decreto interministeriale separi le platee dei beneficiari: una cosa è fornire misure di politica attiva a un disoccupato di lunga durata, altra cosa è accompagnare al lavoro un percettore del reddito di cittadinanza che non ha mai lavorato, altra cosa ancora è assistere un lavoratore appena licenziato. Il decreto dovrà inoltre individuare con precisione e per ciascun gruppo di beneficiari i tempi di presa in carico; il flusso per l’erogazione delle singole misure che devono essere erogate e i tempi di erogazione delle stesse. Ma per fare tutto questo è necessario che il ministro del Lavoro dia degli obiettivi chiari e misurabili alla dirigenza ministeriale chiamata ad attuare il programma politico contenuto nella norma.

Infine è necessario aggiornare il decreto sui livelli essenziali delle prestazioni risalente al 2018 e garantire il riallineamento delle aree del Pese per le quali non siano rispettati i LEP in materia di politiche attive del lavoro, mediante interventi di gestione diretta dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro da parte dell’ANPAL: la quale potrebbe così per davvero dare per la prima volta un segnale per giustificare la propria esistenza, anche partecipando sistematicamente ai tavoli di crisi che si apriranno da marzo per fornire supporto alle Regioni e ai sindacati.

Anche la digitalizzazione dei servizi per il lavoro, è divenuta necessaria vista la pandemia ancora in corso. Essere capaci di erogare ciascun LEP da remoto evita la sospensione delle politiche attive che abbiamo sofferto nel primo semestre del 2020. Porsi in grado di operare, su questo terreno, anche da remoto sarebbe davvero un bel segnale di avanzamento amministrativo e sburocratizzazione dei servizi per il lavoro. Resta però l’interrogativo da cui siamo partiti: come sarà possibile realizzare tutto questo entro la fine di marzo?

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