Il T.U. (d.lgs. n. 165/2001) estende alle amministrazioni la disciplina generale del contratto di lavoro, salvo che la materia sia regolata da disciplina speciale – Anche le amministrazioni hanno dunque lo stesso potere dell’imprenditore privato di disporre la vaccinazione, dove necessaria come misura di igiene e sicurezza del lavoro
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Intervista a cura di Letizia Gabaglio, pubblicata sull’inserto Salute de la Repubblica il 9 gennaio 2021 – In argomento v. anche, più ampiamente, il mio saggio pubblicato sulla rivista Lavoro Diritti Europa .
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Professor Pietro Ichino, quali norme si applicano ai dipendenti pubblici, in materia di sicurezza e igiene del lavoro, le stesse che lei indica per l’impresa privata?
L’articolo 2 del Testo Unico – decreto legislativo n. 165/2001 – stabilisce che i rapporti di impiego pubblico sono soggetti alla disciplina generale applicabile a tutti gli altri rapporti di lavoro, salve le materie per le quali viene dettata una disciplina speciale. Dunque, anche alle amministrazioni dello Stato e locali, esattamente come alle imprese private, si applica nella sua interezza la normativa per la tutela della sicurezza e igiene del lavoro.
Nel caso delle scuole e delle università, per garantire la salute e l’igiene degli impiegati e/o degli insegnanti, così come di chi frequenta come studente, gli istituti potrebbero richiedere l’obbligatorietà del vaccino per chi voglia fare le lezioni in presenza?
Se – come io sostengo – la vaccinazione può essere richiesta dal datore di lavoro privato in funzione delle caratteristiche e i rischi della sua azienda, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2087 del Codice civile, la stessa cosa può certamente accadere nelle scuole e nelle università pubbliche. Tuttavia per le scuole statali si deve ritenere necessario che una direttiva in questo senso provenga dal Governo.
Cosa possiamo dire circa l’obbligo di vaccinazione dei lavoratori autonomi? Chi può obbligarli a fare il vaccino pena la sospensione del servizio o l’annullamento della commessa?
Nel caso degli autonomi occorre distinguere le attività che non comportano un contatto ravvicinato tra le persone e quelle che invece lo richiedono, come nel caso dei servizi alla persona, delle cure mediche o di quelle infermieristiche. In questo secondo caso logica vorrebbe che fosse la legge a stabilire un obbligo professionale. Nel caso di inerzia del legislatore, potrebbero essere gli ordini professionali a stabilire e regolare l’obbligo, la cui trasgressione genererebbe responsabilità contrattuale ed extracontrattuale in capo al professionista.
E se non provvedono né il legislatore né gli ordini professionali?
Allora l’unico rimedio è che sia il singolo utente della prestazione professionale, se è convinto dell’utilità della vaccinazione per prevenire il diffondersi del contagio, a condizionare la prosecuzione della collaborazione alla certificazione dell’avvenuta vaccinazione, o quantomeno a una autodichiarazione del professionista o collaboratore. Come dire: “se vuoi lavorare con me e per me, devi essere vaccinato; altrimenti ne cerco un altro”.
Se venisse istituito per legge un obbligo di vaccinazione, avrebbe ancora senso la richiesta che oggi viene rivolta a tutti i vaccinandi, di firmare la dichiarazione del c.d. consenso informato?
Effettivamente, in presenza di un obbligo di carattere generale non avrebbe alcun senso chiedere il consenso del paziente: si deve supporre che la valutazione dei rischi la abbia fatta il legislatore nell’interesse di tutti. Però continuerebbe ad avere senso la consegna al vaccinando di un foglio che contenga una sintetica esposizione dei rischi connessi all’inoculazione del vaccino. A quel punto la firma non costituirebbe manifestazione di un “consenso”, ma soltanto una dichiarazione di avvenuta ricezione dell’informazione.
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