A QUALE RIFORMA DELLA CASSA INTEGRAZIONE PENSA LA MINISTRA DEL LAVORO?

Dice di volerla “rendere universale”, ma l’integrazione è già prevista per tutte le imprese; il rischio è che la riforma si riduca a un inglorioso ritorno alla Cig usata per fingere la sopravvivenza dei posti in aziende ormai chiuse

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Editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 535, 11 gennaio 2021 – In argomento v. anche la mia intervista del luglio scorso I rischi e gli abusi del sostegno del reddito; inoltre il mio articolo del 2018 Se la Cassa integrazione è usata contro l’integrazione europea, quello del 2013 O Cig in deroga o riduzione del “cuneo” sulle buste-paga, e quello del 2012 A che cosa serve la riforma degli ammortizzatori sociali.
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La ministra del Lavoro Nunzia Catalfo

La ministra del Lavoro Catalfo annuncia una riforma della Cassa integrazione, con l’intendimento – dice – di renderla “universale”. Senonché una integrazione salariale, sia pure con forme assicurative e costi diversi, già oggi è prevista per tutte le imprese; e non è detto che l’unificazione dei trattamenti e delle relative contribuzioni sia una buona idea. La Cig inizialmente era una assicurazione obbligatoria per le sole imprese manifatturiere ed edilizie, per loro natura particolarmente esposte al rischio di sospensioni temporanee dell’attività dovute al mancato approvvigionamento di materie prime, all’interruzione della fornitura di energia elettrica, o al maltempo; poi, alla fine degli anni ’60, la copertura è stata rafforzata (dal 66 all’80 per cento della retribuzione, e dalle 16 ore settimanali alle 40) ed estesa, con l’istituzione del trattamento straordinario, al rischio di sospensioni di lunga durata dovute a ristrutturazione o a crisi economica di settore, anche per l’editoria e la grande distribuzione. Trattandosi di un rapporto assicurativo, questa copertura ha sempre comportato un contributo assai salato (fino quasi al 3 per cento delle retribuzioni, peraltro con un gettito nettamente superiore, almeno fino al 2009, rispetto ai trattamenti erogati). Poi, con il Jobs Act è stato istituito il Fondo per l’integrazione salariale, destinato a offrire un’integrazione salariale a tutte le imprese non coperte dalla Cig: per causali e durata più limitate, ma con un contributo corrispondentemente ridotto. Ora, a quale riforma pensa la ministra? Se non intende rendere permanente l’attuale gestione assistenziale della Cig dovuta all’emergenza Covid, intende forse aumentare la copertura, e quindi il contributo, a carico di tutte le imprese? Ma questo non confligge con l’intendimento di ridurre, semmai, il c.d. “cuneo contributivo”? Non sarà che tutta la grande riforma consiste, in realtà, nel ritornare al vecchio dannosissimo vizio della Cig usata per mascherare la soppressione dei posti di lavoro in imprese ormai chiuse?

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