SEMPLIFICAZIONE: LE NUOVE OSSERVAZIONI DI DONATA GOTTARDI E LE RISPOSTE

DOPO IL PRIMO BOTTA E RISPOSTA DELLA SETTIMANA SCORSA, LA GIUSLAVORISTA ED EX-PARLAMENTARE EUROPEA TORNA SUL PROGETTO DEL CODICE DEL LAVORO IN 64 ARTICOLI CON UNA SERIE DI OSSERVAZIONI ANALITICHE, CHE COSTITUISCONO OCCASIONE PER ALCUNI CHIARIMENTI E DUE MIGLIORAMENTI DEL DISEGNO DI LEGGE
Lettera pubblicata su Facebook il 19 ottobre 2009. Seguono le mie risposte punto per punto

LA LETTERA DI DONATA GOTTARDI
   La tua proposta, Pietro, sulla semplificazione del diritto del lavoro richiede attenzione, data l’importanza dell’obiettivo, che non si può che condividere. Non ho ancora il tempo per una analisi precisa. Vorrei restare ancora a livello di metodo, di impianto generale e di analisi a campione di alcune delle singole materie ri-disciplinate. Credo che l’amicizia che ci lega non abbia fatto finora e non possa fare velo su diversità di opinioni, che non sono fondate su pregiudizi.
   Ridisegnare l’intero diritto del lavoro è un’operazione straordinaria, che richiede non solo di semplificare e razionalizzare, ma di inventare e di trovare nuove soluzioni, per far mantenere a questa materia i suoi fondamentali (come si direbbe in economia), per riattualizzarla all’interno di una cornice che mantenga intatta la sua anima e non la snaturi in un bilanciamento di costi economici.
   Quanto al metodo: il progetto è affascinante, ma molto pericoloso, e dovrebbe avvenire coinvolgendo non solo “numerosi esperti della materia”, con una partecipazione dal basso che veda anche il coinvolgimento delle persone direttamente interessate, che spesso hanno tanto da raccontarci e da suggerirci.
   Quanto alle soluzioni innovative: non credo sia sufficiente chiedersi cosa preferisca oggi un ventenne. Continuo a pensare che dobbiamo trovare soluzioni che affrontino tutti i dualismi del nostro mercato del lavoro, provando a trovare i contenuti dentro a una visione che progetti un patto tra generi, generazioni e genti.
   Tu proponi di eliminare le disposizioni che introducono diritti e protezioni, qualora non possano essere estese a tutte le persone che lavorano. E’ uno dei modi per universalizzare le tutele, ma seguendo una strada precisa: tutti uguali a un livello (medio-)basso.  Con il che si presentano interrogativi rilevanti. Chi decide il livello dove collocare l’asticella? Come effettuare quella che mi pare possiamo chiamare una valutazione di impatto? E si tratta di una valutazione di impatto che considera al primo posto i costi per i datori di lavoro/committenti? E nella decisione sul livello della tutela da garantire universalmente ci poniamo come limite spaziale quale territorio? Lo Stato, l’Unione europea, …, il mondo?
   Contesti alla Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del 2003 di non toccare la disciplina per i lavoratori subordinati. Certo. E’ stata una scelta precisa, dentro a una idea che prevedeva non una unica disciplina per tutti, ma cerchi progressivamente più ampi di tutela. Continuo a essere affezionata a quell’idea, anche se penso sarebbe opportuno un aggiornamento. Ma su quello spartito: quello della Carta o dello Statuto (giusto a quaranta anni da quello del 1970, che tu abroghi, diluendolo e frammentandolo), non della riscrittura sul modello del codice civile. E nel cerchio generale continuo a pensare che dovrebbero essere inclusi tutti i lavori e non solo quello che si svolge in una impresa/azienda.
   Infatti, nella tua proposta, l’articolo di apertura della parte dedicata alla disciplina comune a tutti i rapporti di lavoro, si apre con il riferimento al “titolare dell’azienda”, con il che si continua a rimanere nell’alveo di una qualificazione che esclude il lavoro autonomo, il lavoro sociale, il lavoro volontario, il lavoro di cura, … tutti quei lavori che vanno invece considerati nel momento in cui si intende fornire uno zoccolo di diritti di base a tutte le persone che lavorano.
   Venendo poi al tema del rinvio alle direttive europee, sono felice, ma solo in parte, di sapere che il diritto antidiscriminatorio resta in vigore. Perché solo in parte? Intanto, se la volontà è quella della semplificazione e della leggibilità immediata, mi pare complicato andare a controllare nell’elenco della normativa abrogata cosa resti in vigore e cosa no. Inoltre, anche quella normativa ha bisogno di essere ridefinita, sia per eliminare sovrapposizioni, sia per renderla più chiara, sia per eliminare molti degli infortuni in cui sono incorsi i governi di destra nella trasposizione.
   Più in generale, mi rimane il dubbio per tutte le materie in cui la trasposizione interna viene sostituita con un rinvio ai “principi e regole fissati nelle direttive comunitarie”, che diventano “standard immediatamente applicabili per la determinazione dei diritti e obblighi delle parti dei rapporti di lavoro”. Ma le direttive sono emanate attendendosene le istituzioni europee una trasposizione attenta e intelligente nei singoli Paesi. Limitarsi a tradurle e metterle a disposizione come unica regola è impossibile. Impossibile anche perché in molti casi le direttive stesse rinviano a scelte della normativa nazionale.
   Quanto al tema dei congedi di maternità, paternità e parentali, ti ringrazio della disponibilità a correggere l’attuale formulazione, che vede l’eliminazione dei tentativi di ripartizione dei ruoli tra madre e padre. Poiché il testo unico mi è molto noto (per averlo steso ed elaborato), sono la prima ad aver sempre affermato che a quella operazione di razionalizzazione e di riconduzione in un unico testo normativo avrebbe dovuto seguire una operazione di semplificazione. Ma non solo. Occorre ora trovare soluzioni diverse. Lo sanno bene tutti coloro che hanno un contratto di lavoro a termine (sia esso subordinato, un contratto a progetto, un lavoro interinale, …). Affermare il diritto a sospendere il lavoro per godere di un congedo come quello parentale è come scrivere sulla sabbia. Quel diritto non è quasi mai azionabile. Devo dire che anche i lavoratori subordinati più garantiti (quelli che definisci di serie A) spesso non possono permetterselo, ma non solo per la scarsa copertura economica, anche per il rischio di essere successivamente discriminati.
   Ma ci sono anche altri problemi. Il testo unico è pesante perché si occupa, ad esempio, anche della copertura previdenziale. Di questi aspetti, dove ci si occuperebbe nella tua proposta?
   Ci sono poi ulteriori aspetti che avevo iniziato a verificare, soprattutto nella prima parte, dato il suo carattere più generale.
   Ad esempio, nell’art. 2090 (assicurazione generale per vecchiaia, invalidità e disoccupazione), mi pare che la questione più importante, in un articolo di apertura e rivolto a universalizzare le condizioni, non possa essere quella di porre tetti alla contribuzione pensionistica.
   Nell’art. 2092 (compenso orario minimo) proponi una determinazione con decreto presidenziale, su proposta del Cnel, (solo) sentite le parti sindacali. E’ questo che vogliamo per garantire i minimali di retribuzione? E perché limitare questa determinazione ai lavori “misurati in ragione del tempo”? I ‘veri’ contratti a progetto sarebbero pertanto esclusi. E accettiamo di introdurre le ‘gabbie salariali’, come previsto nel secondo comma? E saltiamo l’intervento equitativo del giudice – come si ricava confrontando con l’art. 2099 – che è quello che ha finora consentito l’applicazione generalizzata della parte economica dei contratti collettivi?
   L’art. 2094, sulla subordinazione e sulla dipendenza, che dovrebbe essere un punto chiave del nuovo diritto del lavoro mi pare si limiti ad affiancare al lavoratore subordinato il lavoratore economicamente dipendente. Per essere tale la persona non deve solo dipendere economicamente dal committente, ma percepire compensi medio-bassi. Con la conseguenza, tra l’altro, che, avendo indicato espressamente la cifra della soglia, dovremmo adeguare la normativa del codice all’andamento del costo della vita. Questo è un altro aspetto del problema: la semplificazione introduce nel codice numerosi indicatori quantitativi, destinati ovviamente ad essere superati nel tempo.
   Lo stesso nell’art. 2103, sulle mansioni del lavoratore: perché riproporre con così poche innovazioni su una delle disposizioni incorporate nello Statuto dei diritti dei lavoratori che più si ritiene abbia necessità di manutenzione per tener conto dei cambiamenti?
   Nell’art. 2107, sull’orario di lavoro, mi pare insufficiente un rinvio agli standard minimi europei, così come pericoloso mettere sullo stesso piano le regole del contratto collettivo e le scelte del contratto individuale.
   Come ti ho scritto in apertura, non ho davvero il tempo per una analisi esaustiva.
   Donata

 

LE RISPOSTE ALLE OSSERVAZIONI CRITICHE
   Ringrazio, innanzitutto, Donata Gottardi per questo suo nuovo intervento sul “Progetto Semplificazione” e cerco di rispondere punto per punto alle sue osservazioni. Nel testo che segue riporto sinteticamente in grassetto, all’inizio di ciascun paragrafo, le principali obiezioni della giuslavorista ed ex-parlamentare europea.
     1. Una riforma di questa portata “dovrebbe avvenire non solo coinvolgendo numerosi esperti della materia, [ma] con una partecipazione dal basso che veda anche il coinvolgimento delle persone direttamente interessate”. – Concordo pienamente; ed è per questo che, dopo aver lavorato per un anno e mezzo a questo progetto con un gruppo di esperti della materia, ora ho messo la prima bozza dei due disegni di legge on line per consentire a chiunque vi sia interessato di accedervi, e sono impegnato – come già in precedenza per il disegno di legge sulla transizione a un regime di flexsecurity – in una lunga serie di incontri pubblici e privati, con colleghi giuslavoristi, sindacalisti, imprenditori, direttori del personale e altri lavoratori interessati. Via via che raccolgo le correzioni e integrazioni che mi paiono migliorare il contenuto tecnico e l’equilibrio politico del progetto, le apporto direttamente sul testo disponibile su questo sito, indicando la data dell’aggiornamento: i lettori possono così seguire passo per passo, per così dire “in diretta”, l’evoluzione del progetto.
     2. [Questo progetto è] “uno dei modi per universalizzare le tutele, ma seguendo una strada precisa: tutti uguali a un livello (medio-)basso”. – Non è così. Il nuovo Codice del lavoro che propongo non riduce affatto il livello delle protezioni, se non  per qualche aspetto molto marginale, dove di fatto la vecchia disciplina non serve a nessuno (non è comunque il caso della disciplina della maternità e paternità: il nuovo articolo 2111, ampiamente riscritto in aderenza al Testo Unico del 2001, anche per tener conto delle osservazioni di Donata Gottardi, è già on line). Il nuovo Codice riduce, questo sì, il volume della normativa legislativa, che è cosa totalmente diversa da una riduzione del livello delle tutele; e lo fa per poterla rendere davvero universale, applicabile a tutti i lavoratori cui occorre protezione. Nella materia cruciale dei licenziamenti, certo, propongo un mutamento radicale della tecnica protettiva rispetto a quella adottata quarant’anni fa; sono infatti convinto che la nuova disciplina proposta (artt. 2118-2120) offra ai lavoratori una protezione complessivamente molto migliore rispetto alla vecchia. Tuttavia, proprio perché la riforma tocca, per questo aspetto, un “nervo scoperto” nel nostro Paese, propongo che la nuova disciplina si applichi soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiranno d’ora in avanti, senza toccare la posizione di chi ha già un posto di lavoro stabile. Questo è il motivo per cui dico che la nuova disciplina deve essere valutata con gli occhi di un ventenne che entra oggi nel nostro mercato del lavoro, il quale gli offre, nella maggior parte dei casi,  la prospettiva di una probabile lunga e penosa anticamera prima di accedere al lavoro regolare a tempo indeterminato. Non è un caso che tanti miei studenti mi dicano di considerare il diritto del lavoro che chiediamo loro di studiare come qualche cosa di distante, che non li riguarda se non da lontano: lo sentono come una cosa che riguarda essenzialmente le generazioni che li hanno preceduti. E non hanno torto.
     3. “Chi decide il livello dove collocare l’asticella?”. – Lo decide, scegliendo il posizionamento dell’“asticella”, lo stesso legislatore nazionale che ha, in precedenza, dettato la vecchia disciplina; lo decide, ovviamente, ascoltando tutti gli interessati e recependone gli accordi; dove opportuno, restituendo loro una parte dei territori che nell’ultimo mezzo secolo sono stati progressivamente e non sempre appropriatamente sottratti alla loro autonomia negoziale (penso soprattutto al mercato del tempo endo-aziendale e al part-time). Il mio progetto si propone soltanto di dare un contributo a questo processo decisionale: in particolare, esso si propone di mostrare come la riforma sia tecnicamente possibile anche in tempi molto brevi (ciò che non è affatto scontato, nell’opinione ancor oggi dominante). Esso si propone di mettere a disposizione delle parti sociali un testo tecnicamente corretto e completo, ma apertissimo a tutte le modifiche e gli aggiustamenti dei quali il dibattito mostrerà l’opportunità. Questa “apertura” del progetto è già in atto e si manifesta nel lavoro quotidiano di correzione e integrazione che sta svolgendosi  su questo sito, anche per merito di Donata Gottardi, nel modo più trasparente e sotto gli occhi di tutti.
     4. Questo progetto “diluisce e frammenta” lo Statuto dei lavoratori di quarant’anni fa, ripartendone le disposizioni secondo lo schema del libro V del codice civile. Occorrerebbe invece riprendere l’idea dello stesso Statuto, come si è fatto con la Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del 2003. – Lo Statuto dei lavoratori del 1970 disciplina una parte soltanto delle materie inerenti ai rapporti di lavoro e ai rapporti sindacali; e lo fa talvolta proprio adottando la tecnica della “novella” di disposizioni contenute nel codice civile (articolo 2103 in materia di mansioni) o aggiungendo una nuova disposizione a quella contenuta nel codice civile (articolo 2106 in materia di provvedimenti disciplinari). Quanto alla Carta del 2003, essa non cambiava una virgola né dello Statuto dei lavoratori né del codice civile. Quei due testi non offrono, comunque, una struttura adatta a contenere l’intera disciplina legislativa essenziale. Se ho scelto la struttura del libro V del codice civile, come è spiegato nella relazione introduttiva del disegno di legge maggiore, è soltanto per ridurre al minimo il “costo di aggiornamento” per gli esperti e gli addetti ai lavori: in tutti i casi in cui abbiamo potuto abbiamo fatto in modo che ciascuna disposizione fosse contenuta nello stesso articolo oggi contenente la disciplina attuale della materia. Non mi sembra che questa scelta pregiudichi o condizioni in modo negativo il contenuto della nuova disciplina.
     5. “L’articolo di apertura della parte dedicata alla disciplina comune a tutti i rapporti di lavoro, si apre con il riferimento al “titolare dell’azienda”, con il che si continua a rimanere nell’alveo di una qualificazione che esclude il lavoro autonomo, il lavoro sociale, il lavoro volontario, il lavoro di cura”. – La risposta a questa obiezione è contenuta nella relazione introduttiva all’articolo 2087 del disegno di legge: “Il riferimento all’imprenditore, contenuto nell’articolo 2087 attualmente in vigore, è sostituito con il riferimento al ‘titolare dell’azienda’, al fine di allargare nella misura massima possibile il campo di applicazione della norma protettiva: secondo la migliore dottrina, infatti, la nozione giuridica di azienda non è limitata all’area dell’impresa, bensì si estende a comprendere qualsiasi contesto ambientale-strumentale nel quale la prestazione lavorativa si collochi. D’altra parte, laddove la prestazione non si collochi in un contesto ambientale-strumentale di cui sia titolare il creditore, non avrebbe senso accollare a quest’ultimo un obbligo di protezione della sicurezza e riservatezza del lavoratore (salve le disposizioni circa la possibile nocività dei materiali nel lavoro a domicilio, che sono oggetto di una disposizione ad hoc nel comma 2 dell’articolo 2123)”.
           
6. “Se la volontà è quella della semplificazione e della leggibilità immediata, mi pare complicato andare a controllare nell’elenco della normativa abrogata cosa resti in vigore e cosa no”. – Non riesco a immaginare nulla di meglio che un elenco cronologico delle norme abrogate. Se qualcuno ha un’idea migliore, essa è ovviamente benvenuta.
            7. “Le direttive [comunitarie] sono emanate attendendosene le istituzioni europee una trasposizione attenta e intelligente nei singoli Paesi. Limitarsi a tradurle e metterle a disposizione come unica regola è impossibile. Impossibile anche perché in molti casi le direttive stesse rinviano a scelte della normativa nazionale”. – Non è vero che il nuovo Codice del lavoro pretenda di limitare la recezione delle direttive comunitarie a un mero rinvio al loro testo. Per alcune materie – in particolare: diritti di informazione del lavoratore, contratto a termine, part-time, comando o distacco, trasferimento d’azienda, licenziamenti collettivi (stiamo lavorando per arrivare allo stesso risultato per l’orario di lavoro) – esso sostituisce integralmente le attuali leggi di recezione con norme più semplici. Per altre materie – in particolare: sicurezza del lavoro, protezione dei dati personali, discriminazioni e pari opportunità –, in considerazione dell’obiettiva complessità della materia, esso lascia in vita le leggi di recepimento attuali, limitandosi a enunciarne sinteticamente i principi essenziali fungendo così da “portale” della disciplina legislativa vigente. Tutte le parti del Codice in cui si fa riferimento al diritto comunitario sono comunque, proprio in questi giorni, oggetto di revisione e controllo, al fine del loro perfezionamento tecnico.
            8. Articolo 2111, in materia di maternità e paternità: “Occorre ora trovare soluzioni diverse. Lo sanno bene tutti coloro che hanno un contratto di lavoro a termine (sia esso subordinato, un contratto a progetto, un lavoro interinale…). Affermare il diritto a sospendere il lavoro per godere di un congedo come quello parentale è come scrivere sulla sabbia. Quel diritto non è quasi mai azionabile”. – Concordo pienamente. Uno dei principali motivi ispiratori di questo lavoro è l’esigenza di individuare, nel diritto del lavoro vigente, le protezioni di fatto non applicabili se non nel settore pubblico, quelle di cui oggi nelle aziende private si avvalgono soltanto i lavoratori meno responsabili, per sostituirle con una normativa capace di essere davvero universale e universalmente efficace. Qualsiasi contributo su questo terreno, da chiunque esso venga, è il benvenuto.
           
9. Ancora articolo 2111: “Il testo unico [d.lgs. n. 151/2001 sulla protezione di maternità e paternità] è pesante perché si occupa, ad esempio, anche della copertura previdenziale. Di questi aspetti, dove ci si occuperebbe nella tua proposta?”. – Il nuovo Codice del lavoro, in questa sua prima versione, non ha la pretesa di coprire anche la materia previdenziale: infatti non prevede l’abrogazione della normativa su questa materia. Resto convinto, tuttavia, che la legislazione previdenziale presenti aspetti di ipertrofia, farraginosità e illeggibilità persino maggiori rispetto alla legislazione sul rapporto di lavoro: se la prima fase di questo “Progetto Semplificazione” avrà successo, la seconda fase sarà dedicata proprio alla legislazione sulle assicurazioni pensionistiche obbligatorie.
           
10. Articolo 2090: non è opportuno “porre tetti alla contribuzione pensionistica”. – A me non sembra che l’ordinamento statuale debba farsi carico di garantire la continuità del reddito per i lavoratori anziani anche per la parte di esso che supera una soglia medio-alta. L’ordinamento, viceversa, deve garantirla a tutti coloro che vivono del proprio lavoro, quindi anche ai lavoratori autonomi. Porre un limite massimo di contribuzione e di retribuzione pensionabile rende più facile l’universalizzazione effettiva dell’assicurazione generale obbligatoria.

            11. Articolo 2092, primo comma: “perché limitare [il campo di applicazione della retribuzione oraria minima] ai lavori ‘misurati in ragione del tempo’?”. – La ragione che ci aveva inizialmente indotti a questa scelta era di carattere strettamente logico: se si tratta di una “retribuzione oraria”, ci sembrava che non potesse avere senso applicarla a rapporti aventi per oggetto una prestazione non misurata in ragione del tempo. L’osservazione critica di Donata Gottardi ci ha indotti a ridiscutere la cosa e a considerare che, in realtà, il controllo del rispetto di uno standard retributivo minimo orario è possibile anche in riferimento a prestazioni lavorative misurate esclusivamente in relazione al risultato: anche queste, infatti, per definizione richiedono un’attività lavorativa, la quale è osservabile (si pensi, per esempio, al contratto di lavoro a domicilio, che solitamente commisura la retribuzione al singolo “pezzo” prodotto e non al tempo impiegato per produrlo: questo non impedisce un controllo dell’entità della retribuzione basato sul tempo ragionevolmente necessario per la produzione del risultato dedotto in contratto). Anche in riferimento a questi casi, dunque, è ragionevole e opportuno pensare alla possibilità di un divieto di retribuzioni che si collochino di fatto al di sotto dello standard orario minimo. Il nuovo testo del primo comma dell’articolo 2092, modificato in accoglimento dell’osservazione di Donata Gottardi, cioè con la soppressione del riferimento limitativo alle prestazioni misurate in ragione del tempo, è già on line.
            12. Articolo 2092, secondo comma: “accettiamo di introdurre le ‘gabbie salariali’?”. – Un Codice del lavoro degno di questo nome deve aspirare a dettare una disciplina della materia stabile nel tempo, indipendentemente dall’alternarsi di forze politiche diverse al governo e dei rispettivi diversi orientamenti di politica del lavoro. Ora, come abbiamo precisato nella relazione introduttiva, la differenziazione regionale degli standard minimi in relazione al costo della vita e ad altre circostanze economico-sociali – praticata nell’ultimo quindicennio, per esempio, nella Repubblica Federale Tedesca – è sicuramente tra le opzioni costituzionalmente legittime: essa deve pertanto essere contemplata nel Codice, indipendentemente dall’orientamento che prevale nella congiuntura politica particolare nella quale il Codice stesso vede la luce.
           
13. Articoli 2092 e 2099: “saltiamo l’intervento equitativo del giudice [per la determinazione della giusta retribuzione]”? – Il principio della giusta retribuzione è già sancito dall’articolo 36 della Costituzione, con una formulazione per diversi aspetti più precisa rispetto al contenuto del vecchio articolo 2099 del codice civile. Non mi sembra che sia necessario aggiungere una norma ulteriore in proposito, mentre nella logica della semplificazione il non aggiungerla è meglio.
            14. Articolo 2094: “avendo indicato espressamente la cifra della soglia [di reddito annuo massimo per la qualificabilità della collaborazione autonoma continuativa come ‘lavoro dipendente’], dovremmo adeguare la normativa del codice all’andamento del costo della vita. Questo è un altro aspetto del problema: la semplificazione introduce nel codice numerosi indicatori quantitativi, destinati ovviamente ad essere superati nel tempo”. – Anche se in questi tempi di inflazione molto bassa il problema non appare di primaria urgenza, l’osservazione è giusta. Si potrebbe risolvere il problema con una norma finale che disponga un’indicizzazione automatica di tutte le soglie espresse in termini monetari; ma questo potrebbe risultare tecnicamente più difficile di quanto non appaia. Ogni suggerimento tecnico in proposito sarà prezioso.
           
15. Articolo 2103, sulle mansioni del lavoratore: “perché riproporre con così poche innovazioni su una delle disposizioni incorporate nello Statuto dei diritti dei lavoratori che più si ritiene abbia necessità di manutenzione per tener conto dei cambiamenti?”. – Nella nuova formulazione dell’articolo 2103 abbiamo cercato di adattare la disposizione agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che sono venuti affermandosi nella sua interpretazione e applicazione evolutiva e agli enormi cambiamenti intervenuti nel contesto economico-produttivo da quarant’anni a questa parte: in particolare all’accelerazione del ritmo di obsolescenza delle tecniche applicate. Nulla esclude, ovviamente, che si possa fare meglio: anche qui ogni contributo ulteriore sarà il benvenuto.
           
16. Articolo 2107: “sull’orario di lavoro, mi pare insufficiente un rinvio agli standard minimi europei”. – Infatti non si prevede, per ora, l’abrogazione del d.lgs. n. 66/2003 né delle altre leggi di recezione delle direttive comunitarie in materia di orario di lavoro. Ho intenzione, però, nel prossimo futuro, di provare a compiere anche su questa materia lo stesso lavoro di semplificazione e sintesi svolto in materia di part-time e di congedi parentali, in modo che il contenuto del nuovo Codice possa sostituire integralmente quelle leggi.
            17. “Ti ho segnalato questi dubbi proprio perché il dialogo e il confronto continui”. – Di questo ringrazio cordialmente Donata Gottardi, auspicando che anche tutti gli altri colleghi giuslavoristi non già coinvolti in questo lavoro facciano altrettanto.       (p.i.)

 

 

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