Nubi scure sul futuro del nostro mercato del lavoro: perdita di posti superiore a quella dei nostri partner europei, mismatch più grave fra domanda e offerta – Ma di un progetto decente per le politiche attive del lavoro, per ora neanche l’ombra
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Numero 86 del bollettino Mercato del Lavoro News della Fondazione Anna Kuliscioff, 7 dicembre 2020, a cura di Claudio Negro – V. anche, in argomento, il numero precedente dello stesso bollettino .
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I dati ISTAT relativi a ottobre 2020 fotografano un mercato del lavoro sostanzialmente fermo: gli occupati calano di 13.000 unità, che in percentuale vale un po’ meno dello 0,1% rispetto a settembre. Aumenta leggermente (+0,4%) la disoccupazione, in ragione del fatto che più gente cerca lavoro. La piccola flessione negli occupati è da attribuire soprattutto al calo dei contratti a termine (meno 0,6%) piccolo ma di norma sicuro indizio di un calo di fiducia delle imprese. Le ore lavorate rispetto a ottobre 2019 sono lo 0,6% in meno (erano lo 0,4% a settembre) e le assenze dal lavoro sono aumentate del 2,1% (erano lo 0,8% a settembre) segno evidente di un maggior utilizzo della Cassa Integrazione già concessa.
I segni, a leggerli bene, alludono a un outlook quanto meno incerto la ripresina del dopo primo lock down sembra essersi esaurita, anche se stavolta abbiamo evitato il peggio, cioè la chiusura delle attività industriali. Ma è interessante comparare i nostri dati a quelli dell’Unione Europea e all’analisi e previsioni formulate dal Rapporto Annuale CENSIS.
Rispetto ai dati europei ci collochiamo più o meno nella media: l’occupazione è calata dello 0,5% nel primo trimestre, del 2,4% nel secondo d è aumentata dello 0,9% nel terzo. Attualmente infatti abbiamo un saldo negativo del 2% rispetto alla fine del 2019. Ma la Germania è a meno 1,5%, l’Olanda a meno 1%, il Regno Unito a meno 1,3%, il Belgio a meno 0,7%, la Danimarca a meno 0,9% [1]. Tuttavia la relativamente discreta situazione dell’occupazione si deve in modo massiccio all’utilizzo diffuso dei vari programmi di Ammortizzatori Sociali come si può vedere nella tabella qui sotto, che illustra la quantità di lavoratori per i quali sono state richieste misure di sostegno (da noi CIG).
Figura 1 – Percentuale di dipendenti sospesi dal lavoro
per i quali è stato chiesto un sostegno del reddito [2]
È da notare che la tabella non riporta l’utilizzo effettivo (actual use) per l’Italia ma l’INPS indica un utilizzo mediamente del 36%, che ci porta al 29%, poco meno di Francia e Regno Unito ma parecchio di più di Germania e media OCSE.
C’è però da osservare che L’Italia è stato il paese europeo nel quale è rimasto al lavoro come abitualmente (almeno nel primo lock down) il numero più basso di persone: alto il numero degli home workers (intuibilmente spinto dai dipendenti pubblici) e alto il numero dei lavoratori sospesi (vedi tabella sotto).
Figura 2 – Percentuale di lavoratori che hanno continuato a lavorare
nel luogo abituale, che hanno lavorato da casa, che hanno sospeso la prestazione
Bisogna aggiungere che nell’UE, a parte coloro che hanno continuato a lavorare come abitualmente, in prevalenza le fasce di lavoratori più professionalizzati (e più retribuiti) hanno lavorato on line, senza perdere reddito, mentre i lavoratori meno qualificati sono in buona parte finiti in CIG (o l’equivalente degli altri paesi) perdendo reddito. Da noi questa fascia di lavoratori è presente soprattutto in settori quali commercio, turismo, ristorazione: la diminuzione dell’occupazione tra 2019 e 2020 (tra i due secondi trimestri in particolare) è stata maggiore nel nostro Paese – del 3,6%, contro quella dell’1,9% in Francia e del 2,4% nella Ue – non solo perché i lavoratori del settore del turismo, per esempio, hanno subito una riduzione più importante che altrove ma perché in questo settore era occupata una porzione più grande di lavoratori che altrove. Nel secondo trimestre 2020 il fatturato dei servizi segnava un -21% rispetto al primo trimestre e un crollo di 17 punti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Più severa l’incidenza nei servizi di alloggio e ristorazione (-63 punti la variazione congiunturale, -51 quella tendenziale) e nei servizi alle imprese ( rispettivamente -30,7% e -20,2%).
Però cresce nel sistema produttivo il paradigma digital & green: nel 2019 oltre 295.000 imprese hanno investito in tecnologie legate alla sostenibilità ambientale, con un incremento del 13,3% rispetto all’anno precedente. Si consolida la creazione di start up innovative: al 30 giugno di quest’anno erano 11.496, con un incremento annuo del 10,3%.[3]
In sostanza, come segnalato prima in relazione al variare dei redditi, il Mercato del Lavoro si va spaccando tra domanda di professionalità alte, adatte al digital & green, e offerta di professionalità basse, come possiamo vedere nella tabella sotto che illustra le previsioni di assunzioni delle imprese per il mese di dicembre.
Figura 3 – Flussi di nuove assunzioni e situazioni di skill shortage:
percentuale di difficoltà di reperimento di personale, per fascia professionale [4]
Come si vede nella tabella la difficoltà di reperire le figure è direttamente proporzionale alla professionalità. Il combinato disposto di questo dato con quello dell’abbondanza di figure a scarsa professionalità in offerta sul mercato provenienti dal comparto dei servizi potrebbe determinare a partire dal 2021 un “ingorgo occupazionale” gravissimo. Orientamento, formazione, riqualificazione, tutti i servizi al lavoro saranno determinanti per evitare una crisi sociale pesantissima. Ma il Governo lo sa? A giudicare dagli investimenti previsti in Finanziaria per le Politiche Attive del Lavoro (e dalla loro destinazione probabile, di cui si parla in questi giorni: rinnovo dei contratti ai navigator, senza un piano decente di riqualificazione e organizzazione del loro lavoro) si direbbe di no!
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[1] Eurostat
[2] OCSE
[3] CENSIS – report annuale
[4] Excelsior Unioncamere