I LAVORATORI POSSONO SCEGLIERE L’IMPRESA DOVE LAVORARE?

Il modo migliore per attuare l’articolo 4 della Costituzione è assicurare alle persone che vivono del proprio lavoro le necessarie informazioni e una formazione efficace  in relazione alla domanda di lavoro esistente; ma  anche promuovere la più ampia possibile pluralità di imprese, in concorrenza tra loro sul lato della domanda stessa

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Recensione de
L’intelligenza del lavoro a cura di Cecilia Gorra (*) pubblicata sul periodico Libertà il 27 novembre 2020 – Le altre recensioni del libro sono facilmente reperibili attraverso la pagina web dedicata al libro
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L’intelligenza del lavoro. Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore è il nuovo libro del giuslavorista Pietro Ichino. Il saggista, venerdì 20 novembre, ha presentato la sua ultima pubblicazione nell’ambito della XX edizione del corso Cives dell’Università Cattolica. La tesi centrale, che il professore propone, è che il mercato del lavoro non è soltanto un luogo dove gli imprenditori scelgono i propri dipendenti, ma anche dove le persone che vivono del proprio lavoro scelgono (o possono scegliere) l’impresa. Non è quindi solo l’imprenditore che sceglie e ingaggia i lavoratori, ma in molte situazioni sono anche i lavoratori a scegliere e ingaggiare l’imprenditore, come individui e talvolta anche collettivamente.

La possibilità effettiva di scegliere il lavoro deve e può essere data a tutti, ed è la Costituzione stessa a dirlo. Infatti, l’articolo 4 della Carta dice che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” e aggiunge che “ciascuno deve esercitarlo secondo le proprie possibilità e la propria scelta”.

Oggi il modo migliore per attuare questo principio è innanzitutto assicurare alle persone che vivono del proprio lavoro le necessarie informazioni e una formazione efficace  in relazione alla domanda di lavoro esistente; ma  anche promuovere la più ampia possibile pluralità di imprese, in concorrenza tra loro sul lato della domanda stessa in modo da aumentare il più possibile la possibilità di scelta dei lavoratori, che naturalmente implica la capacità di attrarre e selezionare il meglio dell’imprenditoria disponibile in un dato momento storico. La scelta dell’imprenditore da parte dei lavoratori è compiuta individualmente quando le persone decidono dove cercare lavoro, in quale settore e soprattutto quando si muovono avendo l’informazione e la formazione necessarie; ma la scelta molte volte è compiuta anche collettivamente dai lavoratori, per esempio da un’impresa in crisi oppure da un’intera città o da un paese che attira verso di sé un imprenditore.

1. La scelta individuale – L’idea corrente più diffusa è quella secondo cui i lavoratori professionalmente deboli, non possono scegliere perché manca la domanda di lavoro; ma a rendere debole la persona nel mercato del lavoro non è tanto lo squilibrio di domanda e offerta, quanto il difetto di servizi di informazione, formazione mirata agli sbocchi realmente esistenti e di assistenza alla mobilità.

Le imprese sono sempre più mobili a livello globale e tendono a dislocarsi là dove il tessuto produttivo produce la forza lavoro necessaria per le imprese stesse. Ichino sostiene che la debolezza della domanda di lavoro non è un difetto congenito inevitabile, ma è l’effetto di un mercato del lavoro non sufficientemente informato dei servizi elencati precedentemente. La debolezza dei lavoratori non è data tanto dalla carenza della domanda di lavoro, ma dalla carenza dei servizi di cui dovrebbe essere innervato il mercato del lavoro. Un esempio che propone il professore è un dato di fine del 2019 secondo il quale ANPAL e Unioncamere denunciavano 1.200.000 situazioni di skill shortage. Ichino spiega che abbiamo dei veri e propri giacimenti occupazionali inutilizzati, e questa è una realtà che si protrae anche durante la crisi, anche perché la crisi non colpisce tutti i settori allo stesso modo ma ci sono addirittura settori che per effetto di questa crisi hanno visto un aumento della domanda e di conseguenza fanno fatica a trovare le persone che cercano. Ad oggi si può conoscere in tempo reale il fabbisogno prevedibile, settore per settore e in ogni azienda. Per questo la formazione professionale efficace, ovvero quella che dà accesso alla domanda di lavoro effettivamente esistente, deve diventare un vero diritto soggettivo di ogni persona che lavora. Bruno Trentin, grande dirigente sindacale del passato, sosteneva che il diritto alla formazione permanente efficace è come una protezione fondamentale del lavoro nell’era dell’economia digitale e della globalizzazione, ma a un diritto alla formazione si arriva soltanto con il contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici del 2016, e ci si arriva in misura minima.

Pietro Ichino sostiene che per costruire una situazione in cui si possa parlare di un diritto delle persone alla formazione efficace, occorre un monitoraggio permanente e capillare del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi, realizzabile con l’anagrafe della formazione professionale e con un incrocio dei dati attraverso le Comunicazioni Obbligatorie al Ministero del lavoro che indicano tutti i posti di lavoro che si costituiscono dopo il termine del corso. Infatti il saggista ritiene che se si incrociano i dati dell’anagrafe con i dati sui flussi occupazionali, si ottiene il dato che interessa, ovvero il tasso di coerenza tra ciascun corso di formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi. E questo tasso è indispensabile anche per l’orientamento professionale dove il Guidance Service funziona.

Ciò consente a chi è addetto alla formazione di fornire all’adolescente ma anche alla persona adulta, indicazioni attendibili sui percorsi verso l’occupazione effettiva. In Italia però, questo servizio non è ancora disponibile, perché il sistema attuale privilegia l’interesse degli addetti della formazione (che non amano essere posti sotto stress) rispetto all’interesse degli utenti.

2. La scelta collettiva – Quando a scegliere l’imprenditore sono i lavoratori, una città o un intero paese. La globalizzazione amplia enormemente il campo nel quale gli imprenditori possono scegliere i propri dipendenti, perché essa consente alle imprese di mettere in concorrenza tra loro i lavoratori di tutto il mondo. Ma il dato meno noto è che la globalizzazione amplia enormemente anche il campo in cui i lavoratori di una azienda in crisi, o di una regione depressa, che vogliano attirate buoni piani industriali, possano cercare il proprio imprenditore.

Dunque, i lavoratori possono scegliersi l’imprenditore non più soltanto come individui, ma anche in forma collettiva, e sono tanto più forti quanto è maggiore la concorrenza sul lato della domanda di lavoro. È qui che emerge un nuovo mestiere possibile per il sindacato, che è quello di guidare i lavoratori nell’azione volta ad attrarre i migliori imprenditori, a valutare i loro piani industriali e a negoziare la “scommessa comune” con quello ritenuto migliore. Questo accadde per esempio nella trattativa Alitalia nel 2008, dove i sindacati dei lavoratori esaminarono il piano industriale presentato da Air France-Klm e lo respinsero, preferendo quello della C.A.I (Compagnia Aerea Italiana).

Qualche volta però è un intero paese a scegliere i lavoratori, come successe nella vicenda di Sunderland nel 1985 dove i metalmeccanici inglesi ingaggiarono la Nissan, vincendo anche la scommessa comune con l’imprenditore straniero, accettando anche una riduzione temporanea del proprio salario.

Ed è questo ciò che dovrebbe incominciare a fare su larga scala il nostro Mezzogiorno.

Inoltre, sempre secondo il saggista, la concorrenza tra gli imprenditori nel mercato del lavoro rafforza i lavoratori: per questo occorrerebbe aprire il più possibile il paese al meglio dell’imprenditoria mondiale. In Italia ha prevalso invece, per lungo tempo, l’ostilità, sia da destra che da sinistra, contro le multinazionali in quanto tali; da destra perché si difende l’italianità della grande impresa, da sinistra con il fatto che la multinazionale può insidiare la democrazia, a volte è più potente del governo.

Per concludere, Pietro Ichino sostiene che in una situazione in cui mancano i canali di connessione tra domanda e offerta, occorrono servizi di formazione mirata agli sbocchi effettivi, di cui sia conoscibile il tasso di coerenza con gli sbocchi stessi, e servizi capillari di orientamento professionale per giovani e adulti, ma soprattutto occorre rendere il paese più attrattivo per le imprese straniere e il sindacato più capace di negoziare sui loro piani industriali innovativi.

 

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Cecilia Gorra

(*) Cecilia Gorra (2001), autrice di questo articolo, è studentessa della classe 5a del Liceo Marconi di Piacenza.

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