COME È NATA “LA CASA NELLA PINETA”

All’origine voleva essere soltanto una raccolta, a beneficio dei nipoti, degli insegnamenti dei loro trisnonni e bisnonni su come si organizza una festa e si fanno star bene gli amici quando li si invita a casa propria; ma se si apre il vaso di Pandora dei ricordi e degli archivi familiari è poi impossibile richiuderlo

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Lettera (firmata per esteso) pervenuta il 24 novembre 2020 – Segue la mia risposta su come è nato il libro
La casa nella pineta – Le altre lettere, oltre che le recensioni, relative al libro, sono facilmente raggiungibili attraverso la pagina web dedicata al libro
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Carlo Pellizzi, La casa nella pineta (pastello su carta)

Professore buonasera. Mi mancano ormai poche pagine alla fine della lettura del suo libro. Erano anni che non leggevo con così tanta emozione, coinvolgimento e piacere le pagine di un libro.

In parte ho sperimentato direttamente cosa possa significare avere nei ricordi un luogo dell’anima. Una casa nella pineta, appunto. Infatti anche io ho vissuto buona parte delle mie vacanze in una casa di famiglia in campagna. Oggi nel rileggere le Sue pagine trovo molti punti di contatto con quei giorni, ormai lontani, in cui anche io facevo i compiti al mattino, il riposo dopo pranzo e i giochi nel pomeriggio. E poi la bicicletta che mi accompagna da 30 anni e con cui ho sperimentato la prima aria di libertà giovanile. Il motivo per cui ho acquistato il Suo libro, non ci crederà, è stato il riferimento alla Versilia ed ai luoghi dell’anima.

La ringrazio per aver scritto pagine così belle e dense di un vissuto mai banale e “ciondolante”.

Vorrei chiederle, perché ha sentito il bisogno di scrivere questo libro?

Le porgo i più cari saluti

Gabriele
(Roma)

Incominciai a scrivere La casa nella pineta dal quarto capitolo – quello sull’Arte di fare una festa – sollecitato dalle mie figlie, che mi chiedevano di raccogliere per i nipoti tutto il ricco patrimonio di esperienza e cultura dell’ospitalità ereditato dai miei nonni Pellizzi-Pontecorvo e dai genitori: una sorta di manuale su come si ricevono gli amici e li si fa divertire e star bene per qualche ora. Quando lo lessero, però, le mie committenti osservarono che i riferimenti ai nonni, ai genitori e allo zio Giangiotto, assolutamente essenziali per la comprensione di quella guida sui generis, sarebbero stati incomprensibili per le nuove generazioni di lettori senza una descrizione più precisa dei loro caratteri e delle loro vite per molti aspetti fuori dell’ordinario; così scrissi quelli che sarebbero poi diventati i primi due capitoli del libro. Per scriverli tirai fuori dai cassetti tutto quello che avevamo conservato delle lettere tra i miei genitori e tra loro e i nonni e lo zio; fu questa l’occasione per riscoprire cose che avevo rimosso, ma anche apprenderne altre che non avevo mai saputo, o non in modo così preciso. Soprattutto riguardo all’infanzia, giovinezza e adolescenza di mio padre e ai rapporti di lui con i suoi genitori e dei primi tempi del matrimonio con mia madre: cose che mi fecero rivivere in una luce nuova l’intera vicenda del mio distacco dallo stesso mio padre – per lui molto doloroso – all’inizio della mia vita adulta, dei miei dieci anni di lavoro alla Cgil, della mia prima esperienza parlamentare, poi del mio ritorno “da figliuol prodigo” alla casa del padre vent’anni dopo. A questo punto – mettendo a frutto la solitudine delle lunghe serate passate a Roma per il mio impegno parlamentare – incominciai a coltivare il progetto ambizioso di proseguire il racconto descrivendo anche tutta quella vicenda, che nasceva direttamente dall’incontro con don Milani quando avevo l’età di dieci anni e dalla frequentazione intensa della sua scuola e dei suoi scritti negli anni ’60. Mano a mano che lo scrivevo inviavo i nuovi capitoli alle mie sorelle e a mio fratello perché controllassero che non avessi dimenticato qualcosa, o detto male di qualche cos’altro. Ne venne fuori un libro lungo il doppio di quello che ha visto la luce nella primavera del 2018: il lavoro di sfrondamento a cui fui costretto dall’Editore fu molto faticoso. Ma mi è stato molto utile per rimettere a fuoco molte cose che il passare del tempo aveva offuscato nella mia memoria e per ripensare a fondo tutto il rapporto con mio padre, straordinariamente intenso.     (p.i.)

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