GIOVANI E ANZIANI: LA SEPARAZIONE NECESSARIA

Il lockdown generalizzato impone ai giovani danni rilevanti per un rischio corso quasi solo dagli anziani – Se erigere un diaframma universale rigido è impossibile, procedere per gradi dove possibile sarebbe comunque utilissimo

.
Articolo di Carlo Favero, Andrea Ichino e Aldo Rustichini pubblicato su
il Foglio e lavoce.info il 12 Novembre 2020 – Sullo stesso argomento v. l’articolo degli stessi Autori, anche questo su il Foglio e contemperaneamente su lavoce.info; inoltre il mio editoriale telegrafico Separare gli over50 dai più giovani è possibile (ed è meglio del lockdown) .
.

Tra il 13 ottobre e il 4 novembre i morti per COVID-19 sono stati 2819. Di questi solo 25 avevano meno di 50 anni.  I dati dell’Istituto Superiore di Sanità ci dicono che, negli ultimi 30 giorni, tra i nuovi positivi con età 20-50 (circa la metà dei nuovi positivi  totali) solo lo 0,25% era in stato  “critico da terapia intensiva”  e solo l’1.88% era in stato “severo da ricovero”. Le percentuali corrispondenti nella fascia 51-70 sono 1,31% e 6,41% mentre per gli ultra-settantenni sono 2,56% e 19,38%. Tra gli 0 e i 19 anni non ci sono pazienti COVID in terapia intensiva e solo lo 0.61% è considerato in stato “severo da ricovero”.

Queste cifre (che peraltro non differiscono molto da quelle di altri Paesi) confermano quello che da tempo sappiamo. Quando il virus riparte, il collasso degli ospedali è quasi interamente dovuto agli anziani ed è questa la parte della popolazione in cui si concentra la quasi totalità della perdita di vite umane.

Invece di tenere conto della diversa aggressività del COVID-19 per fasce d’età, concentrando le politiche di contenimento della pandemia sulla protezione degli anziani e sulla riduzione dei loro contatti con i giovani, il Governo chiude l’intero Paese con costi economici enormi per tutti. Secondo l’Istat, il PIL si è ridotto del 5.5% nel primo trimestre di quest’anno e del 13.0% nel secondo. Il PIL non è una entità statistica astrusa inventata dagli economisti e lontana dalla realtà che interessa alle nostre famiglie: il PIL misura la quantità di risorse a disposizione nostra e dei nostri figli per vivere.  Il lockdown ha causato perdite di denaro a nostra disposizione che ammontano a circa 20 miliardi di euro nel primo trimestre, 60 nel secondo, con una previsione di perdita totale pari a 133 miliardi su base annuale (fonte: NADEF). Più di 8000 euro per una famiglia standard, probabilmente distribuiti in modo ineguale e iniquo nella popolazione. Secondo l’Inkiesta, per esempio, le richieste al Banco Alimentare sono aumentate del 40%.

Nel lungo termine, continuando con il lockdown a ogni nuova futura ondata del virus, lo Stato potrebbe non essere più in grado di assicurare servizi come scuole, medicinali e ospedali e l’accesso a beni di consumo essenziali, oltre a quelli voluttuari, potrebbe diventare molto problematico.  Pensare che il debito pubblico aggiuntivo per tamponare l’emergenza possa risolvere il problema è illusorio: anche se il costo di questo debito è contenuto grazie all’Europa, dovrà comunque essere ripagato da qualcuno.

Escluso da questi calcoli, poi, è il danno significativo che noi anziani stiamo imponendo ai giovani, costringendoli a non poter continuare la loro normale vita di affetti e relazioni, il loro investimento in capitale umano e la loro crescita in esperienza lavorativa, tutti fattori cruciali alla loro età. E questo perché noi anziani, pur sapendo di essere gli unici che corrono un vero rischio nella pandemia, non vogliamo isolarci e fare di più per evitare di entrare in contatto con il virus. Oltre a caricare i giovani di un debito, passato e presente, non da loro accumulato, gli anziani vogliono anche impedire ai giovani di vivere e lavorare come potrebbero nonostante la pandemia.

Molti dei provvedimenti che abbiamo suggerito (insieme ad altri come ISPI) nei nostri precedenti articoli su queste pagine e sul Corriere della Sera hanno costi quasi nulli (apertura differenziata dei supermercati), o bassi (separare giovani e anziani nei trasporti, tenere a casa gli insegnanti anziani mandando a scuola gli alunni, ridurre dove possibile i contatti intergenerazionali nelle famiglie). Se non vengono suggeriti dal Governo è solo per una assurda ragione ideologica che preferisce un trattamento negativo per tutti (lockdown generalizzato) piuttosto che un costo solo per alcuni.

Altri interventi che abbiamo suggerito presentano problemi attuativi più complessi (ridurre l’attività lavorativa degli anziani in ogni settore e di tutti nei settori produttivi ad alto rischio di contagio), ma le nostre stime ci dicono che potrebbero aiutarci a dimezzare le perdite economiche senza una maggiore perdita di vite umane rispetto all’alternativa del lockdown.  Le nostre simulazioni sono basate su dati analizzati con teorie economiche e tecniche statistiche accreditate: possono avere errori, ma già ad aprile scorso avevano previsto questa seconda ondata (qui un aggiornamento). E sono anche soggette alla verifica e al controllo della comunità scientifica. Non ci risulta che lo stesso valga per molti opinionisti che ci hanno criticato, ai quali abbiamo chiesto quale base scientifica motivasse le loro obiezioni senza ricevere risposta in molti casi o addirittura essendo invitati a fare riferimento a post di facebook come evidenza. Siamo sicuri che sia opportuno affidare ai blog e a twitter una discussione che coinvolge il futuro di milioni di vite umane?

Perfino Lancet, pubblicando il John Snow Memorandum afferma che isolare la popolazione ad alto rischio è “practically impossible” and “highly unhetical”, ma omette di indicare citazioni a supporto di queste affermazioni, a differenza di quello che invece fa per numerose altre nello stesso testo.

Tra le critiche che abbiamo ricevuto, quella che ci sembra meriti attenzione riguarda proprio la infattibilità concreta di separare gli anziani dai giovani in modo completo. Tuttavia, i nostri critici non hanno realizzato che anche una separazione incompleta ridurrebbe i morti e i malati gravi dovuti al COVID-19 con costi economici inferiori. Ogni riduzione dei contatti tra giovani e anziani anche se parziale aiuterebbe, e per questo riteniamo importante che la popolazione sia invitata in modo forte e chiaro a limitare per quanto possibile questi contatti intergenerazionali e a osservare in modo scrupoloso le misure preventive per ridurre il contagio (mascherine e distanza) quando il contatto non sia evitabile. Un’ulteriore giustificazione importante per questo suggerimento, forse sfuggita ai nostri critici, è che i giovani sotto i 50 anni hanno una probabilità di essere malati COVID asintomatici quasi doppia rispetto alle persone tra i 50 e i 70 anni e quasi 5 volte maggiore rispetto agli ultra-settantenni (vedi di nuovo i dati ISS).

In ogni caso, i provvedimenti da noi suggeriti sarebbero temporanei. L’idea che provvedimenti limitati nel tempo, in attesa del vaccino, possano creare una ferita irrimediabile alla coesione sociale (come qualcuno ha detto) è pretestuosa.

Sorprende soprattutto che il Governo, le autorità sanitarie, i medici di base, i mezzi di informazione non dicano chiaramente alla popolazione che il virus è rischioso quasi solamente per gli anziani e quindi che sono soprattutto gli anziani a dover stare attenti. Statistiche come quelle con cui questo articolo inizia non appaiono mai sulle pagine dei giornali, dove invece si ricordano con evidenza i pochissimi casi di giovani aggrediti dal virus. Il livello di attenzione nella popolazione aumenta con la coscienza dei rischi reali: dare una corretta informazione ha un costo zero e salverebbe molte vite umane.

.

Stampa questa pagina Stampa questa pagina

 

 
 
 
 

WP Theme restyle by Id-Lab
/* */