LAVORATORI IN CERCA DI IMPRESE (E DI UN NUOVO SINDACATO)

Per un mercato del lavoro in cui siano anche i lavoratori a scegliere l’impresa, sono indispensabili un buon servizio di orientamento professionale, un vero e proprio diritto soggettivo alla formazione efficace (che implica il monitoraggio capillare della sua qualità) e un investimento robusto su politiche attive del lavoro di nuova generazione

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Recensione de
L’intelligenza del lavoro a cura di Paolo Gubitta, professore di Organizzazione aziendale nell’Università di Padova, pubblicata il 30 settembre 2020 sul Corriere Veneto – I link a tutte le altre recensioni del libro e interviste a esso dedicate sono raccolti nel portale L’intelligenza del lavoro .
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Guttuso, La fatica del lavoro, 1950

C’è chi sinceramente pensa che a fare la differenza nei luoghi di lavoro siano le persone, e non invece le macchine o le tecnologie. C’è chi pragmaticamente pensa che per valorizzare il lavoro servano nuovi schemi di relazioni industriali e quindi di sindacato, e non invece la riduzione degli spazi della contrattazione collettiva. E c’è chi, con un occhio alla tenuta sociale, pensa che oggi e nel prossimo futuro servano politiche per il lavoro inclusive e capaci di correggere i rischi della polarizzazione tra mestieri ricchi e poveri, in termini di contenuto professionale, tutele e retribuzioni.

Ne L’intelligenza del lavoro. Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore (Rizzoli), Pietro Ichino sviluppa argomentazioni e porta esempi in linea con gli intendimenti di chi la pensa nel modo appena descritto.

Partiamo dalle persone. Affinchè siano le maestranze «a prendere il sopravvento» su macchine e tecnologie, e non viceversa, servono un adeguato orientamento professionale, un vero e proprio diritto soggettivo alla formazione efficace e un ripensamento delle politiche attive del lavoro. Si potrebbe dire che si tratta di un déjà vu, ma non è così. Ichino porta dati solidi per dimostrare che le cosiddette hard-to-fill vacancies, cioè le proposte di impiego che rimangono allo stato di proposte perché non si trova nessuno in grado di svolgere tali attività (e, in alcuni casi, non ci sono proprio candidature), sono distribuite in tutti i settori e in tutti i livelli professionali (p. 45). In altri termini, non è un problema di pochi ma di tanti, che demotiva le persone, penalizza le imprese e deprime lo sviluppo della società e dell’economia. Ichino dice che se vuoi mettere le persone al centro, devi agire su tutto ciò «che ruota intorno» a loro: è un bel cambio di prospettiva che non ha nulla del déjà vu.

Nello scenario (realistico) appena delineato, Ichino propone che il sindacato diventi l’intelligenza collettiva del lavoro (p. 113), bilanciando la negoziazione del catalogo dei diritti con la promozione della partecipazione attiva delle persone all’impresa e alla divisione dei suoi frutti (p. 161). È un’immagine suggestiva, ma non semplice da mettere in pratica sia per le legittime resistenze culturali (in tutti gli strati della società) sia per le necessarie e profonde modifiche legislative. L’originalità dell’dea di Ichino sta nell’implicito riconoscimento che la valorizzazione dell’«intelligenza del lavoro» si realizza anche con l’azione collettiva e con qualcuno (il sindacato) che si fa carico di entrare nel merito dei progetti industriali e di negoziare l’impegno delle maestranze nella loro realizzazione, a fronte di coinvolgimento organizzativo, condivisione delle informazioni, partecipazione ai risultati degli incrementi di produttività se non addirittura della redditività (p. 182). Si potrebbe dire che è un progetto bello e impossibile, ma non è proprio così. Ichino dedica un intero capitolo (il quarto) a descrivere casi in cui il sindacato ha guidato «i lavoratori a scegliersi l’imprenditore», distinguendo le esperienze più e meno virtuose.

Resta ancora il tema delle politiche inclusive per il lavoro. Ichino, a dire il vero, non ne parla in modo diretto, ma il suo libro dà utili spunti. L’inclusione si ottiene con azioni sia mirate sia gestendo le derive delle disuguaglianze di produttività tra le persone della stessa categoria professionale o contesto sociale (p. 173). Come? Chi ha competenze qualificate ed esperienze rilevanti, si giocherà in autonomia la possibilità di scegliere l’azienda più capace di valorizzare il proprio lavoro (p. 88). Per le altre persone servono eque opportunità per dotarsi delle competenze professionali e per muoversi in modo informato tra lavori che cambiano rapidamente e che richiedono sia di imparare cose nuove sia, a volte, di disimparare quelle obsolete. Qui si apre la sfidante partita della contrattazione collettiva per il futuro sostenibile del lavoro e delle nostre comunità.

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