Se il lavoro agile ha molti aspetti propri del lavoro autonomo, è inevitabile che conseguentemente si riduca la standardizzazione dei trattamenti tipica del lavoro subordinato – Occorre regolare meglio il diritto alla disconnessione e al rimborso delle spese; ma senza aumento dei costi di transazione
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Intervista pubblicata sul sito Repubblica.it il 21 settembre 2020 – Tutte le altre interviste e gli interventi sullo stesso tema pubblicati su questo sito sono raccolti nel portale dedicato al tema Smart Working.
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Roma. Il giuslavorista Pietro Ichino sulla revisione delle norme annunciata dalla ministra Catalfo: “Regolare meglio il diritto alla disconnessione e al rimborso delle spese. Ma non devono aumentare i costi di transazione”. E sull’esperienza del lavoro agile durante il lockdown: “Utilissima nel privato, nel pubblico in molti casi ha coperto il non lavoro”.
Professor Ichino, l’accelerazione verso lo smart working trascura le tutele dei lavoratori come, per dire, il diritto alla disconnessione o le regole sugli orari…
È sbagliato generalizzare. Ci sono molte situazioni nelle quali il lavoratore è stato sottoposto a uno stress superiore al normale, ma anche casi in cui non è andata così o è accaduto l’inverso: si è lavorato meno del solito, o non si è lavorato per nulla. Forse il tessuto produttivo non era preparato a questo shock.
Alcune aziende hanno approfittato del lockdown per forzare una “rivoluzione” che avrebbe bisogno di tempi più lunghi. Non crede?
Non è accaduto su larga scala. Semmai ora alcune aziende, in qualche caso su richiesta di lavoratori o sindacati, in altri di propria iniziativa, si propongono di introdurre o incrementare lo smart working. Ci sono però anche aziende che puntano a far rientrare tutto il lavoro svolto da remoto.
Il risparmio sui costi aziendali per ogni dipendente operativo da casa, può raggiungere i 10mila euro…
Se si mettono insieme la soppressione di una postazione di lavoro, del servizio di mensa o dei buoni pasto, dei costi per il riscaldamento, e così via, si possono anche superare i 10mila euro. La realtà, però, non è esattamente questa perché si possono eliminare le postazioni fisse, ma occorrerà prevedere quelle occupate a rotazione nei giorni in cui gli interessati devono essere in sede. E non è detto che non possa ricadere sull’azienda anche il costo dello spazio necessario per lo smart working.
Cosa intende?
Che nella maggior parte dei casi la persona interessata non dispone di un locale adatto al lavoro in casa, dunque per uno smart working produttivo servono luoghi adatti messi capillarmente a disposizione da imprese specializzate; e si dovrà garantire più isolamento di quello, ad esempio, di un “internet café”. Del costo di quel servizio dovrà pur farsi carico il datore.
Lo smart working può migliorare la produttività del lavoratore?
Sì, se la prestazione non è più misurata con l’orario, ma con l’adempimento di compiti, il raggiungimento di obiettivi. Se si instaura una responsabilizzazione della persona. Così il lavoro subordinato diventa molto simile al lavoro autonomo; e un incentivo all’aumento della produttività è evidentemente intrinseco. Ma non è pensabile che questo avvenga per tutte le posizioni di lavoro dipendente e, forse, neppure per la maggior parte di esse.
Pensa alla manifattura industriale?
Innanzitutto a quella. Ma anche a altre posizioni nelle aziende del terziario e del terziario avanzato. Inoltre, l’autonomia della prestazione implica l’assunzione di un rischio per il risultato e la forma giuridica del lavoro subordinato risponde anche all’avversione al rischio delle persone che vivono del proprio lavoro.
Può spiegare meglio?
Il reddito di lavoro subordinato è mediamente più sicuro di quello autonomo, ma a parità di lavoro è anche mediamente un po’ inferiore, proprio per il “premio di assicurazione” che il dipendente paga implicitamente al datore. Se cambia la struttura del rapporto, questo assetto tipico viene messo in discussione.
Da diverse parti si è affermato che lo smart working sta accentuando le disuguaglianze, comprese quelle economiche, tra chi può accedere al lavoro agile e chi no, anche all’interno di una stessa azienda.
Se con lo smart working il lavoro dipendente viene, per così dire, assimilato a quello autonomo, esposto allo stesso rischio di risultato, chi lo svolge probabilmente non sarà più propenso a pagare il “premio di assicurazione”: vorrà essere retribuito come l’autonomo, o quasi. Ma in questo modo verrà meno la standardizzazione dei trattamenti in qualche misura tipica del lavoro subordinato.
Lo smart working non rischia di accentuare la posizione di svantaggio delle donne lavoratrici?
Di questo rischio si deve tenere conto molto attentamente. Però è anche un fatto che la maggior parte delle richieste di smart working viene proprio dalle donne e in particolare dalle madri di famiglia.
Qual è il bilancio sullo smart working durante il lockdown
Nel settore privato ha costituito un’esperienza utilissima, ha consentito di acquisire competenze tecnologiche nuove, ha allargato l’organizzazione flessibile del lavoro dischiudendo prospettive di miglioramento della conciliazione fra tempi di lavoro, tempi di cura domestica e tempi di ricreazione, di decongestionamento del traffico e dei mezzi pubblici nelle ore di punta. Nel settore pubblico le cose sono andate molto diversamente.
Perché?
Innanzitutto perché i gestionali e i data-set delle amministrazioni sono per lo più inaccessibili da remoto. Poi perché nel pubblico la responsabilizzazione del management per il raggiungimento di obiettivi misurabili ha scarsissimo corso e ancor meno ne ha la responsabilizzazione degli impiegati. Insomma, nella maggior parte dei casi lo smart working ha coperto situazioni di non lavoro.
Nelle città il lockdown ha bruciato attività e occupazione nell’economia circostante. Un danno collaterale irreversibile?
Superata l’emergenza sanitaria, i bar e i servizi di ristorazione dei centri cittadini torneranno a brulicare di clienti anche se nel frattempo sarà un po’ aumentato il tasso di diffusione del lavoro agile rispetto a prima.
La ministra Catalfo ha annunciato la revisione della legge del 2017 sullo smart working: cosa si attende?
Vanno regolati meglio il diritto alla disconnessione e al rimborso delle eventuali spese per gli spazi del lavoro agile messi a disposizione da terzi, o per adeguare la postazione domestica. Ma non è meglio che di queste cose si occupi la contrattazione? In ogni caso, se proprio vuole intervenire, il legislatore stia attento a non aumentare i costi di transazione, cioè a non mettere del piombo nelle ali del lavoro agile.
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