Ciò che pone la parte professionalmente debole della forza-lavoro in posizione di svantaggio nei confronti della controparte non è una maledizione divina, ma il difetto di una rete capillare di servizi nel mercato del lavoro, che consenta a tutti di sfruttare i grandi giacimenti occupazionali esistenti
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Intervista a cura di Alice Benatti, pubblicata sulla Gazzetta di Modena il 10 settembre 2020, in occasione della presentazione del libro L’intelligenza del lavoro a Modena, nell’ambito della manifestazione LaboratorioAperto – In argomento v. anche l’intervista a cura di Cinzia Ficco, L’intelligenza del lavoro e la sfida della mobilità; inoltre gli articoli di Pietro Garibaldi, Centri per l’impiego: l’occasione dei fondi NextGen, e Roberto Rizza e Gianluca Scarano, Politiche attive del lavoro: il problema dell’Italia
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Un nuovo “mercato dell’intrapresa” dove anche i lavoratori si scelgono e “ingaggiano” l’imprenditore più capace di valorizzare il loro lavoro. Servizi “mirati” di orientamento e formazione in grado di far emergere (finalmente) quell’offerta di lavoro qualificato e specializzato di cui hanno “fame” le imprese italiane. Un sindacato che assuma come proprio il mestiere di intelligenza collettiva dei lavoratori. C’è questo e molto altro nel libro L’intelligenza del lavoro del professor Pietro Ichino, uno dei più famosi giuslavoristi italiani, oggi ospite a Modena del Forum “LA MACCHINA E LA TECNICA. L’invenzione, l’arte, la libertà d’impresa” dalle 14.30 presso il Laboratorio Aperto EX CENTRALE AEM.
Professor Ichino, il sottotitolo del libro – “quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore” ribalta un paradigma. In un periodo di crisi gravissima come questo scegliersi l’imprenditore non è da considerarsi un “lusso” per pochi?
Il vero lusso, che non possiamo permetterci, è quello di lasciare inutilizzati gli enormi giacimenti occupazionali di cui potremmo disporre: quel milione e passa di posti di lavoro qualificato o specializzato che a fine 2019 restavano permanentemente scoperti per mancanza di persone in grado di accedervi. Mettiamo pure che ora, con la crisi, si siano ridotti del 20 per cento: è sempre una quantità enorme di domanda di lavoro sprecata.
Che cosa manca per evitare questo spreco?
Un mercato del lavoro capillarmente innervato da servizi efficienti. Prima e più che di domanda di lavoro aggiuntiva, di cui pure c’è ovviamente bisogno, il nostro Paese ha bisogno di servizi capaci di far nascere l’offerta del lavoro qualificato e specializzato di cui le imprese hanno necessità. Anche perché uno dei criteri principali seguiti dagli operatori internazionali per decidere il luogo dei nuovi insediamenti produttivi è costituito proprio dalla possibilità di trovare la manodopera qualificata necessaria.
I giovani dicono “per diventare qualificati abbiamo bisogno di esperienza”; ma tutto ciò che viene offerto loro è un tirocinio di scarso contenuto professionale, che spesso viene prorogato. Secondo lei è giusto un compenso di 400-500 euro al mese per chi è impegnato in queste esperienze?
Se il periodo di tirocinio avesse davvero un contenuto professionalizzante, anche un’indennità di formazione di 400 o 500 euro per quei pochi mesi ben spesi potrebbe essere equa. Il problema è che molte volte quel contenuto manca.
Sulla scelta di assumere in tirocinio, che peso ha la volontà dell’impresa di risparmiare sul costo del lavoro?
Quando il risparmio è il solo motivo dell’assunzione in questa forma, e il contenuto professionalizzante manca, il tirocinio è una frode.
Gli imprenditori dicono: “è difficile assumere se per un dipendente dobbiamo spendere il doppio rispetto al tirocinio”. I dipendenti costano davvero troppo?
Il prelievo fiscale e contributivo sulle buste-paga in Italia è effettivamente più alto di un bel po’ rispetto a Germania, Olanda, Regno Unito, per non parlare degli U.S.A. Ridurre drasticamente quel “cuneo” dovrebbe essere uno degli obiettivi prioritari di qualsiasi governo.
Di cosa abbiamo bisogno, oltre che della riduzione del cuneo fiscale e contributivo, per facilitare l’incontro fra domanda e offerta?
Di un sistema dell’orientamento e della formazione professionale più immediatamente legato alle esigenze espresse dal tessuto produttivo e di cui venga controllata rigorosamente l’efficacia. Lo si può ottenere rilevando a tappeto il tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi, mediante una anagrafe della formazione e l’incrocio dei suoi dati con quelli delle Comunicazioni Obbligatorie al ministero del Lavoro, delle iscrizioni agli albi ed elenchi professionali, delle iscrizioni alle liste di disoccupazione. È quello che era previsto negli articoli da 13 a 16 del decreto legislativo n. 150 del 2015, che però sono rimasti inattuati.
Al centro del libro c’è soprattutto l’esigenza di una nuova intelligenza di cui hanno bisogno i lavoratori. Che cosa intende dire con questo?
Intendo dire due cose. Che ogni singolo lavoratore deve disporre dell’intelligenza (letteralmente: “capacità di leggere dentro”) dei meccanismi del mercato, indispensabile per poter usare il mercato stesso a proprio vantaggio: molte persone hanno bisogno assoluto, per questo, del servizio che nel centro e nord-Europa viene reso dai job advisor cioè da esperti che per poter svolgere questo servizio hanno alle spalle due o tre anni di formazione specifica post-laurea. Poi intendo dire che i lavoratori di una azienda devono disporre dell’“intelligenza collettiva” indispensabile per valutare la qualità dell’imprenditore e dei suoi piani industriali; e, se la valutazione è positiva, negoziare con l’imprenditore a 360 gradi la scommessa comune su di essi. Quell’intelligenza collettiva non può che essere costituita da un sindacato che sappia fare bene il suo mestiere.
E secondo lei non lo sa fare?
Nel libro propongo la distribuzione dei nostri sindacati su di un asse che va gradualmente dal polo “alfa”, caratterizzato dalla predicazione dell’antagonismo tra imprenditore e lavoratori, al polo “omega”, caratterizzato dalla forte propensione alla negoziazione della scommessa comune con l’imprenditore sul piano industriale innovativo. Nella realtà, il sindacalismo di tipo “omega” è possibile soltanto là dove ci sia un imprenditore affidabile sul piano tecnico e su quello dell’etica industriale, disponibile a operare con grande trasparenza. Poiché non tutti gli imprenditori lo sono, è bene che i lavoratori possano scegliere, a seconda dei casi, il sindacato più adatto alla situazione specifica. Così ogni imprenditore ha il sindacato che si merita.
Con il Recovery Fund avremo molti soldi per provare a rilanciare il mercato del lavoro. Per lei quali devono essere le priorità?
In ordine di urgenza: scuola, sanità e politiche attive del lavoro: cioè quei servizi al mercato di cui abbiamo parlato all’inizio e che oggi mancano quasi del tutto.
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