Un modo diverso dall'”alleanza strategica” con il M5S teorizzata da Dario Franceschini, e molto migliore, per ancorare davvero l’Italia alla UE e all’Occidente
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Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 526, 13 luglio 2020, pubblicato contemporaneamente su il Foglio, in risposta all’articolo di Alessandro Maran pubblicato sullo stesso quotidiano il 7 luglio, I nuovi barbari romanizzati .
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Cerco di rispondere alla domanda che Alessandro Maran ci ha posto sul Foglio di martedì: “c’è un modo diverso dall’alleanza del Pd con il M5S per ancorare l’Italia all’Europa e tenere la barra dritta sulla rotta atlantica?”. Domanda che fa seguito a un’altra implicita: “Come si fa a mantenere credibilmente l’Italia nella UE alleandosi a un partito come il M5S, nel quale l’euroscetticismo costituisce ancora un tratto dominante?”.
La risposta a entrambe le domande potrebbe essere: “Sì, un modo diverso ci sarebbe: occorrerebbe che il Pd avesse la lucidità e la coerenza necessarie per denunciare al Paese i costi immediati e i rischi gravi della linea attuale del Governo nei confronti dell’UE, euroscettica nei toni e nella sostanza, nonostante l’abbandono degli slogan salviniani; e per affermare con forza la necessità di fare, al contrario, dell’Italia una protagonista del rilancio e dell’accelerazione del processo di integrazione europea. Che quindi il Pd avesse il coraggio di presentarsi subito al Paese, e domani alle elezioni politiche, come il punto di riferimento principale di uno schieramento incisivamente europeista”.
Il primo corollario di una scelta come questa sarebbe che il M5S ne verrebbe sfidato a sciogliere le proprie gravissime ambiguità sulla questione fondamentale. Secondo corollario non meno importante: il porre esplicitamente e con forza al centro della politica nazionale la partecipazione del Paese al processo di integrazione europea costringerebbe Forza Italia a prendere nettamente le distanze dai suoi attuali ingombranti e imbarazzanti alleati, i quali del sovranismo fanno invece la loro bandiera. Terzo corollario: diventerebbe possibile una sorta di federazione tra il Pd e i tre partiti minori liberal-democratici – Italia Viva, +Europa e Azione –, che diventerebbe il primo polo della politica nazionale, quanto meno sul piano qualitativo.
Ma si può chiedere questo a un Pd che oggi non sembra in grado di esprimere una linea propria neppure in tema di scuola, di politica industriale, di politica del lavoro e di efficientamento delle amministrazioni pubbliche?
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