MARINO È IL CANDIDATO CHE GARANTISCE MEGLIO L’UNITA’ DEL PARTITO

AL DI LA’ DELLE DIFFERENZE PROGRAMMATICHE, TUTTO SOMMATO ASSAI VOLATILI, RESTA IL FATTO CHE IGNAZIO MARINO, FRA I TRE CANDIDATI, SAREBBE IL PIU’ CAPACE DI RICUCIRE LO STRAPPO PROFONDO CHE SI E’ DETERMINATO FRA I SOSTENITORI DEGLI ALTRI DUE. SE ANCHE NON VINCERA’, UNA SUA BUONA AFFERMAZIONE NELLE PRIMARIE SARA’ MOLTO UTILE A QUESTO SCOPO.

Quella che segue è la bozza di intervista dalla quale la giornalista Costanza Rizzacasa d’Orsogna ha tratto una versione ridotta, per ragioni di spazio, pubblicata su Italia Oggi il 17 ottobre 2009

Perché sta con Ignazio Marino?
La mia collocazione naturale sarebbe stata con Dario Franceschini, per il rilancio del progetto di partito delineato da Walter Veltroni due anni fa al Lingotto. Ma vedo delle contraddizioni tra l’ispirazione originaria della sua mozione e quello che Franceschini fa in concreto. Viceversa, oggi ritrovo molto di più di quel progetto nella mozione Marino.
Quali contraddizioni nella linea di Franceschini?
La chiusura di fatto del Pd a radicali e socialisti. Un programma di politica del lavoro con un tasso di innovazione molto basso e con troppi silenzi su questioni cruciali. Stessa cosa sul fronte dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche.
Marino è in grado di far ripartire il Pd e magari anche quella società che lei stesso ha definito bloccata?
Al di là delle differenze programmatiche, tutto sommato assai volatili, resta il fatto che Ignazio Marino sarebbe il segretario nazionale più capace di garantire l’unità del Pd, di ricucire la spaccatura tra sostenitori di Franceschini e sostenitori di Bersani, che si è fatta preoccupante. Se anche non vincerà, una sua forte affermazione sarà molto utile a questo scopo. Quanto ai contenuti di programma, quello di Marino accoglie integralmente le mie proposte, sia sul versante del mercato del lavoro, sia su quello delle amministrazioni pubbliche.
Lei ha negato la sua disponibilità per la candidatura al Pirellone dicendo che serve un politico di professione. Perché allora non serve un politico di professione come leader del Pd?
Le mie competenze sono troppo specialistiche, troppo focalizzate sui temi del lavoro, perché io possa essere la persona ideale per guidare la Lombardia: altri sono certo più bravi di me. È vero, anche per Ignazio Marino si pone questo problema: grande chirurgo, ma politico di complemento come me. Sta di fatto che per svolgere il ruolo che sta svolgendo in questo congresso non si è presentato nessun altro: solo lui ha avuto il coraggio di cimentarsi. E chissà che proprio la sua estraneità agli apparati non diventi uno degli elementi principali della sua forza.
Perché invece non sta con Bersani? Che difetti trova nel suo programma?
Un difetto originario, che poi è venuto stemperandosi nel corso della campagna congressuale, era la sua disponibilità al ritorno a un sistema elettorale proporzionale, sia pure corretto “alla tedesca”: il modello ideale a cui penso è un sistema bipolare fondato sul collegio uninominale. Qualche apertura importante da Bersani ho registrato sul terreno della riforma del diritto e del mercato del lavoro. Non mi è piaciuto per nulla, invece, il suo il documento in tema di amministrazioni pubbliche.
E come giudica i “candidati occulti” D’Alema e Veltroni? Che cosa rimprovera loro?
Di Veltroni dico che dopo una splendida campagna elettorale, l’anno scorso, nonostante un risultato che poteva essere considerato positivo date le circostanze, non ha poi saputo tenere con determinazione la barra ferma sulla linea del Lingotto. Di D’Alema dico che nella primavera dell’anno scorso non ha capito quanto fosse positivo il risultato del voto per il Pd e come su quella linea si potesse credibilmente proseguire nella costruzione di una alternativa vincente al centrodestra di Berlusconi. È partito subito con la costituzione della sua corrente, Red, con l’obiettivo, e il risultato effettivo, di indebolire la leadership di Veltroni in una fase delicata e difficile del primo consolidamento del partito.
E Rutelli che futuro ha?
Spero che resti nel Pd: ne rappresenta una componente indispensabile. Non vedo un suo futuro apprezzabile fuori.
L’assenza di tanti big del partito alla convention dell’11 ottobre scorso non è stato proprio un bel segnale. Che cosa ne pensa?
Sia quell’appuntamento nazionale, sia quelli regionali del giorno prima, non influivano sul meccanismo e sul risultato finale. Sarà bene rivedere queste regole statutarie, salvaguardando il metodo delle primarie ma semplificando l’itinerario. E riducendo a due i contendenti finali.
Vorrebbe Gianfranco Fini nella mozione Marino?
In un’ottica di fantapolitica, potrebbe anche starci.
Come giudica l’anomalia che alle primarie del Pd gli elettori possono rovesciare il verdetto degli iscritti?
Il successo di un partito è dato dalla sua capacità di rappresentare la maggioranza dell’elettorato dell’intero Paese; e di questo elettorato – come si è visto nel 2007-2008 – sono molto più rappresentativi i milioni di partecipanti alle primarie che le centinaia di migliaia degli iscritti, o le decine di migliaia dei militanti. A iscritti e militanti è bene riservare la prerogativa di selezionare i candidati alle primarie, ma la scelta finale fra questi è bene che avvenga ad opera di un elettorato molto più ampio.
Questo non presenta il rischio di rendere il Pd scalabile da forze esterne, come Di Pietro, o il quotidiano La Repubblica?
Il “partito a vocazione maggioritaria” progettato da Veltroni è un grande partito capace di contenere al suo interno tutto quanto la società civile esprime, sul versante del centrosinistra; e non ha paura della contesa tra “anime” diverse. Certo, c’è qualche possibilità di inquinamento delle primarie da parte di elettori di centrodestra, che vi partecipano con il solo intento di fare danno e non di sostenere il partito; ma non mi sembra un rischio grave, oggi; d’altra parte, anche il fatto che elettori di centrodestra si interessino a questa contesa può aiutare il Pd a stabilire un contatto con loro, e domani, perché no, a conquistarli.
Di cosa è sintomo, secondo lei, se è sintomo di qualcosa, il fatto che i toni si stiano deteriorando a tal punto che ormai i protagonisti del Pd si rivolgano l’uno all’altro con epiteti sempre meno ripetibili.
È manifestazione di una faziosità un po’ miope che non divide soltanto centrodestra e centrosinistra, ma opera anche all’interno del centrosinistra e che è la causa principale della sua tendenza a frazionarsi. Il Pd è nato proprio per superare questa tendenza al frazionismo. Ed è per questo che nei giorni scorsi mi sono fatto promotore di un appello, poi firmato da oltre 40 senatori, sostenitori di tutte e tre le mozioni, perché ciascuna delle anime del Partito che si esprimono nei tre candidati riconoscano l’indispensabilità delle altre due.

 

 

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