La decisione su quando riaprire le attività economiche bloccate per il Covid-19 dovrebbe basarsi sul confronto tra costi da sostenere e numero di vite da salvare – La ricerca di un equilibrio da trovare ben prima che il rischio di infezione arrivi a zero
Articolo di Stefano Capri pubblicato su lavoce.info il 21 aprile 2020 – In argomento v. anche gli altri commenti e documenti sul tema dell’epidemia da coronavirus raggiungibili facilmente attraverso il portale La politica, il lavoro, l’economia (e qualcos’altro) all’epoca della pandemia .
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I criteri di scelta
È senz’altro difficile decidere quando sia più opportuno riaprire il paese e rimettere in moto l’economia in questa fase epidemica. Per il momento non sono stati formulati criteri utili per stabilire se una data sia migliore di un’altra, a parte il principio di farlo quando la curva degli infetti sarà scesa, ma anche qui senza un parametro da rispettare.
Fortunatamente, si inizia a dibattere (l’Economist poi rilanciato anche sul Corriere della Sera) su una questione che rappresenta la sintesi di ogni decisione in questa emergenza sanitaria ed economica: qual è il giusto prezzo di una vita?
Il dilemma è chiaro: azzerare il numero delle persone che perdono la vita e sopportare un costo enorme in termini di Pil perduto, oppure cercare un equilibrio con la situazione economica del paese? Molto probabilmente la decisione verrà presa senza un criterio esplicito. Nello studio qui di seguito sintetizzato (verrà pubblicato a breve in Università Cattaneo Working Papers) si vuole offrire una riflessione sul possibile equilibrio tra le due dimensioni, quella economica e quella sanitaria. In altre parole, ci chiediamo se vi possa essere un punto di incontro tra il numero di vite da salvare e le risorse economiche da sacrificare. Siamo comunque di fronte a un tipico caso di scelta tragica, sia che si tratti di decisioni consapevoli ed esplicite sia che si assumano posizioni non trasparenti e che non hanno un calcolo alla loro base.
Qual è il costo di una vita umana
In questo momento, i costi che il paese sostiene non riguardano solamente la produzione di Pil perduta, ma comprendono anche costi sociali e umani difficilmente quantificabili, seppure certamente ingenti. Ricorrere solamente al Pil è certamente un limite, ma è la via più semplice.
Nello studio, si è applicata l’analisi costo-efficacia, strumento ampiamente usato nella valutazione economica delle tecnologie sanitarie. Ad esempio, quando occorre decidere se introdurre e rimborsare un nuovo farmaco o un vaccino, si calcola quanti anni di vita farebbe guadagnare e a quale costo. Semplificando: se spendendo 1 milione di euro allunghiamo la vita a 10 individui in media di 10 anni ciascuno, per ogni anno di vita guadagnato spendiamo 10.000 euro [1.000.000/(10×10)].
L’approccio è normalmente applicato in alcuni paesi per decidere se introdurre o meno un farmaco nel mercato. Per evitare di spendere troppo, e quindi liberare risorse per i farmaci che offrono maggiori benefici a costi minori, si sono stabiliti valori soglia, cioè un costo per anno di vita guadagnato oltre il quale il farmaco viene rifiutato. I valori variano da paese a paese: negli Stati Uniti è 100 mila dollari Usa, in Canada 50 mila dollari canadesi, nel Regno Unito 30 mila sterline, in Svezia, l’equivalente in corone svedesi di 100 mila euro. In Italia, non viene applicato, ma se si considerano le forti somiglianze del nostro sistema con quello inglese, in termini di costi e di numero di farmaci approvati, si può prendere come riferimento iniziale il valore di 30 mila euro.
Il Pil perso e le vite guadagnate
Quanto è costato fino a oggi salvare un anno di vita con il parziale blocco delle attività economiche?
Il costo lo si pone uguale al Pil che il paese perde a seguito delle restrizioni imposte alle attività produttive, pari allo 0,75 per cento la settimana (secondo il Centro studi Confindustria). In due mesi, prendendo come riferimento il Pil del 2019, che è stato di 1.695,59 miliardi (Istat 2020), si sarebbero perduti 101,735 miliardi.
Dai dati sui decessi forniti da Epicentro Iss si può ricavare la distribuzione per classi di età e si può quindi applicarla ai soggetti salvati. Suddividendoli per classi di età e applicando a ciascuna la rispettiva speranza di vita, cioè il numero di anni che rimangono da vivere al singolo soggetto in media, si ottiene il totale degli anni di vita che sono stati guadagnati (tabella 1).
Un recente studio dell’Imperial College ha stimato che le misure di contenimento dell’infezione in Italia abbiano portato a salvare 38 mila vite (con un intervallo cha va da 13 mila a 84 mila). Si calcola così il totale degli anni di vita che sarebbero stati salvaguardati con le misure di contenimento. Applicando il costo in termini di Pil di 101,735 miliardi, si ottiene il costo totale che, diviso per il totale degli anni salvati, ci porta a un costo per anno di vita salvato pari a 205.291 euro (tabella 2).
A quale prezzo riaprire?
Ciascuno può considerare quello indicato un prezzo basso, ragionevole oppure elevato, ma ciò che importa adesso è decidere a quale costo la società italiana, e in primo luogo la sua guida politica, intendano proseguire nel blocco delle attività economiche. Proiettando i risultati ottenuti sulla quantità di decessi che si possono ritenere accettabili nel prolungamento del lockdown, si ottiene la disponibilità a pagare per un anno di vita. In altri termini, per ciascun valore che si ritenga accettabile si calcola il numero di decessi a sua volta ritenuto accettabile.
Se si considera quanto è costato finora fermare l’economia (101,735 miliardi di euro) come il costo attribuito dai decisori per un certo numero di vite e anni salvati, riaprendo l’attività per due mesi questa cifra sarebbe guadagnata contro un aumento di decessi (ipotizziamo lo stesso numero che è stato evitato). Se poi si fa variare il costo per anno di vita considerato ragionevole, si vede che al suo variare si sarà propensi ad accettare un numero sensibilmente differente di vite e di anni.
Se si riaprisse completamente l’attività economica del paese, assumendo che la ripartenza fosse immediata e a pieno regime (ipotesi molto conservativa in quanto per alcuni settori ciò è impossibile, come il trasporto aereo internazionale, il turismo da e verso l’estero; senza contare che tutti i paesi hanno ridotto gli scambi), si avrebbero questi risultati:
1) attribuendo 30 mila euro a ogni anno di vita si sarebbe disposti ad avere 240 mila nuovi decessi;
2) con 60 mila euro per anno di vita si accetterebbero 130 mila decessi;
3) a un valore di 100 mila euro si accetterebbero 78 mila decessi.
L’esercizio ha numerosi limiti e va pertanto inteso come un suggerimento a considerare lo strumento del costo-efficacia per guidare la difficile scelta tra meno morti e maggiore perdita di Pil, o più crescita di Pil e più morti. Ecco quali sono i limiti principali:
1) l’incertezza sul dato delle morti evitate dalla chiusura e sul dato del Pil perduto;
2) l’ipotesi che l’attività economica riparta immediatamente a pieno regime;
3) l’ipotesi che la mortalità prosegua nei prossimi due mesi seguendo l’andamento attuale;
4) non si è volutamente applicato l’attualizzazione degli anni di vita per semplificare i risultati che, ovviamente sarebbero stati ancor più difficili da sostenere (quando si attualizzano gli anni di vita guadagnati per ogni coorte di soggetti ovviamente il costo per anno guadagnato tende a salire: nel caso base i 205.291 euro diventano si ottiene 331.054).
In conclusione, l’aridità dei numeri qui sintetizzati, ancorché molto imprecisi, ha il solo scopo di far riflettere sulla necessità di dotarsi di uno strumento e di un calcolo per poter dire ai cittadini che i tempi della riapertura avranno costi sia economici sia di vite umane, e che quei costi occorre quantificarli per giustificare i sacrifici che vengono imposti.
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