Ma serve la valutazione di impatto sanitario – Proporsi di dare vita a una grande fabbrica, redditizia, responsabile dei propri dipendenti e fornitori, amica della città, partner propulsore di progresso e di crescita culturale del territorio, è nel novero delle cose possibili: occorre crederci e rimboccarsi le maniche
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Articolo di Biagio De Marzo, ex-dirigente dell’Italsider, poi sempre impegnato nel settore dell’acciaio, pubblicato sul quotidiano locale tarantino Buonasera del 15 aprile 2020 – In argomento v. anche l’intervento di Roberto Pensa Alcune altre valutazioni sulla siderurgia a Taranto: ivi i link a interventi precedenti sullo stesso tema
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Anche al tempo del coronavirus a Taranto continua l’offensiva per la “chiusura senza se e senza ma” dello stabilimento siderurgico, senza consapevolezza della enorme complessità della questione e senza realistiche prospettive alternative né a breve, né a lungo termine. Sconcerta, inoltre, il timoroso silenzio dei tanti che non vogliono la chiusura, qualunque ne sia il motivo.
Per parte mia, e per quello che può valere, io non taccio, da tarantino e da dirigente tecnico in quello stabilimento all’epoca della proprietà dello Stato e poi nell’acciaieria di Terni e in quella privata dei Falk a Sesto S. Giovanni.
Sento il dovere civico di ripetere che ritengo disastrosa, per l’Italia e per Taranto, la chiusura del Siderurgico, memore anche del ruolo da me svolto nel movimento ecologista tarantino dal 2006 in poi, in cui ho elaborato e propagato azioni e capitoli significativi nella vicenda del Siderurgico fortemente intrecciata con la città.
Continuo a credere che sia possibile ottenere che quella immensa fabbrica rimanga in esercizio, con danni ambientali e sanitari accettabili per essere superati dalla più avanzata tecnologia e continuo a perseguire lo scenario di una grande fabbrica, redditizia, responsabile dei propri dipendenti e fornitori, amica della città, partner propulsore di progresso e di crescita culturale del territorio, una grande fabbrica “olivettiana” (con partecipazione attiva dei lavoratori e degli stakeholdr), magari sotto forma di una Società Benefit come oggi prevista dall’ordinamento giuridico italiano e già avanzata come richiesta al Governo nel momento in cui decidesse di essere titolare di azionariato, non unico.
La vicenda Italsider/Ilva dura, ahimè, da più di sessanta anni ed ora, con il preaccordo tra Governo e Arcelor Mittal Italia dei primi dello scorso marzo, è giunta ad un punto di svolta irripetibile e ineludibile. E’ il momento, quindi, di ragionare tutti insieme sullo stato reale delle cose, accantonando l’insostenibile «Si chiude e basta» a fronte dell’universale «Si marcia con rischio sanitario accettabile».
Necessita trovare la soluzione condivisa che salvi le sacrosante aspettative dei cittadini sugli aspetti sanitari e ambientali mantenendo all’Italia l’acciaio di Taranto. Gli “oltranzisti” non possono ignorare che il Siderurgico tarantino è nato come asset strategico nazionale e che l’Italia di oggi lo conferma tale. Si è dimenticato il terrore che si diffuse a Taranto e in Italia ai primi dello scorso novembre, quando Arcelor Mittal avviò recesso e dismissione del contratto di affitto dell’ex Ilva? Si è dimenticato che il presidente Giuseppe Conte è volato a Londra e ha convinto Mittal padre a una sorta di armistizio per trovare una soluzione la meno cruenta possibile? Ora va scongiurato il rischio di vanificare l’eccezionale risultato raggiunto con il preaccordo, protagonisti, di non poco conto, i commissari straordinari di Ilva Spa in a.s..
Il preaccordo ha in nuce la soluzione per l’acciaieria: su essa stanno lavorando con la spada di Damocle della scadenza del 30 novembre 2020 entro cui va sottoscritto il fantomatico “Contratto di Investimento” che implicitamente sarà collegato alla soluzione societaria ed impiantistica da adottare. Nel preaccordo con Arcelor Mittal Italia sono fissate scadenze temporali stringenti a fronte, però, di contenuti indeterminati che necessariamente dovranno essere fissati, conosciuti e condivisi, al più presto.
Il Governo italiano, una volta per tutte, deve tenere conto che la questione sanitaria è di primaria importanza e scuote grande sensibilità nell’intera comunità ionica: la sua definizione è dirimente per qualsiasi soluzione venga assunta per il “nuovo” stabilimento siderurgico. Essa va affrontata con rigore e scienza, superando la diatriba tra “ambientalisti” e “industrialisti” che si ripropone, ahimè, anche tra gli epidemiologi che si contrappongono in studi e ricerche soprattutto nei Tribunali.
Ritengo che si debba avere fiducia nelle Istituzioni nazionali che, finalmente, hanno rese operative le “Linee guida per la VIS ISTISAN 19/9 – D.Lo 104/2017” (Valutazione di Impatto Sanitario –Istituto Superiore di Sanità Rapporto nr. 19/9 – Decreto Legislativo 104/2017). Esse, per ora, sono obbligatorie solo per una “specifica categoria” di impianti e costituiscono lo strumento obbligato che consente di conoscere, anche predittivamente e su piani/progetti, il rischio sanitario indotto dalle emissioni degli impianti e di indicare, se necessari, i relativi correttivi impiantistici o di processo.
Per il Siderurgico tarantino, realtà industriale strategica per la Nazione, la valutazione del rischio sanitario non può che essere istituzionale, autorevolmente ineccepibile e quindi condivisa, al contrario di quanto accade, e può continuare ad accadere, con valutazioni “locali” suscettibili di strumentalizzazioni di parte.
In conclusione, serve sollecitare un intervento urgente dello Stato che obblighi la Valutazione di Impatto Sanitario, stabilita con il Rapporto nr. 19/9 dell’Istituto Superiore di Sanità, al Siderurgico di Taranto che, al momento, non rientra nella “specifica categoria” di cui al Decreto Legislativo 104/2017. Tutto questo in uno con l’esercizio di una responsabilità politica per il bene comune. Il coronavirus sta facendo ritornare la fiducia nella scienza e nel progresso, puliti e fecondi. E’ il momento di agire.
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