Il flop del sistema informatico è solo la punta dell’icerberg di una gestione monocratica dell’Inps voluta dai Cinque Stelle che s’è accollata compiti insostenibili e ha disperso e mortificato, per interessi clientelari e di parte, le competenze professionali interne
Articolo di Giuliano Cazzola pubblicato il 3 aprile 2020 sul sito firstoline – In argomento v. anche l’editoriale telegrafico del 7 gennaio 2019, La strana allergia del ministro Di Maio per il presidente dell’Inps .
.
Quando Gianni Billia ci lasciò chiesi ad un quotidiano romano la possibilità di scrivere un commiato. Mi fu assegnato uno spazio in cronaca. Ricordo ancora che per chiudere l’articolo fui come illuminato da un’ispirazione. Scrissi che Billia, in realtà, era stato convocato dall’Onnipotente per introdurre, avviare e coordinare il sistema informatico dei Campi Elisi. La frase fece molto effetto, il sacerdote che celebrava le esequie la citò nell’omelia e tutti, a partire dai familiari, mi ringraziarono. Capita ancora di incontrare qualcuno che si ricordi di quelle parole.
In verità Billia meritava completamente quell’apprezzamento metaforico, perché, nell’arco di una decina di anni, prima come vice direttore, poi direttore generale e infine presidente dell’Istituto di Via Ciro il Grande all’Eur aveva compreso che l’informatica poteva cambiare radicalmente la pubblica amministrazione nel prestare servizio ai cittadini e nel riconoscere i loro diritti con la celerità occorrente alle persone e alla famiglie che, con quelle risorse, mettono insieme il pranzo con la cena.
Allora la raccolta dei dati e il loro assemblaggio sembravano un’operazione dalle finalità oscure e i pc venivano usati come macchine da scrivere. In quella mission Billia trovò la comprensione (nel senso che capì la validità del progetto) di Giacinto Militello, un grande presidente di nomina sindacale, come prevedeva la legge a quei tempi. L’Istituto da allora investì parecchie risorse nella predisposizione di una rete informatica che raccogliesse i dati delle posizioni individuali, accertasse la regolarità dei versamenti contributivi, distinguendoli dai trasferimenti attivi e soprattutto dialogasse con gli altri sistemi di big data, allo scopo di condividere la caccia all’evasione (ad esempio: attraverso l’incrocio con le utenze elettriche).
Chi scrive ha avuto – per ragioni di ufficio – rapporti frequenti e per diversi motivi con i grandi enti previdenziali. Ma soprattutto è stato per ben 13 anni al vertice dei principali istituti come presidente del Collegio Sindacale dell’Inpdap (per otto anni) e dell’Inps (per cinque anni). Ho dunque potuto vedere da vicino le difficoltà che incontrava un istituto previdenziale come l’Inpdap che accorpava enti e casse di origini diverse, che stavano costituendo sistemi informatici ognuno per suo conto, il cui assemblaggio è sembrato per tanti una sorta di ricostruzione della Torre di Babele.
Trasferito all’Inps mi sembrava di essere entrato nella war room del Pentagono, per le risorse che venivano ogni anno investite in nuove tecnologie e per il potenziale accumulato che rimaneva inespresso. Nella nomenclatura interna il dirigente generale che si occupava degli apparati tecnologici disponeva delle quote più importanti del budget ed era il cliente più ricercato dalle grandi società produttrici sul mercato. Nel 2012 il governo Monti volle fare il passo più lungo della gamba incorporando nell’Inps gli enti previdenziali (Inpadp ed Enpals) che ancora non lo erano stati negli anni precedenti. Sorse così un super-ente tra i più grandi in Europa e con pochi rivali nel mondo. Ma il gigantismo non si rivelò una buona soluzione per tanti motivi, tra i quali i differenti livelli di informatizzazione. Venne poi un sovraccarico di compiti e funzione nuove.
Dopo la conclusione del mandato di Tito Boeri (il presidente che sapeva opporsi con buoni argomenti ai nuovi governanti giallo verdi) l’Inps divenne l’esecutore (in regime monocratico) fidato delle politiche ‘’identitarie’’ della nuova coalizione: realizzare quota 100 e consegnare il reddito di cittadinanza diventarono l’obiettivo da conseguire prima della consultazione elettorale per il Parlamento europeo, rimandando a dopo una più accurata verifica della coesistenza dei requisiti richiesti. Tutto il resto passò in secondo piano e si allungarono i tempi di lavorazione delle pratiche ordinarie. Nel frattempo, Pasquale Tridico pensò che fosse venuto il momento di disperdere in giro per le sedi territoriali il nucleo di dirigenti generali selezionati da Tito Boeri e mettendo al loro posto donne e uomini nuovi, talvolta provenienti dall’ex Inpdap, per risarcirli della convinzione di essere stati discriminati nell’assegnazione dei posti di comando nel superente. Quindi l’Inps affrontava con uno stato maggiore spaesato l’ammontare dei nuovi compiti che man mano gli venivano affidati dal Legislatore durante gli anni ‘’difficili della crisi’’. “Crisi che ha spinto il Legislatore a indirizzare sempre di più – ha dichiarato Tridico in occasione dell’ultimo rapporto annuale – l’Istituto verso l’assistenza e la protezione sociale. Strumenti recenti quali l’Ape sociale, la Naspi, il Rei ed oggi il Reddito di Cittadinanza sono la rappresentazione plastica di questo posizionamento. Ma non sono gli unici. Insieme alla assistenza per la non auto sufficienza, l’invalidità, i vari strumenti di integrazione dei redditi pensionistici, l’assegno sociale e tutti gli strumenti della cosiddetta Gestione Interventi Assistenziali (GIAS) costituiscono una parte cruciale’’.
Scoppiata l’epidemia del Coronavirus, Tridico, forte di un regime ancora di gestione monocratica, visto che il CdA (non per caso) non si è ancora insediato, si è comportato come quei generali che accettano di sottoporre le proprie truppe a una missione impossibile, forzando i tempi e le procedure previste per il riconoscimento dei nuovi bonifici. Mentre l’Inps ha buon gioco nel trattare le questioni che riguardano il lavoro dipendente (a partire dagli ammortizzatori sociali), appariva in grande difficoltà nelle gestione del lavoro autonomo di nuovo conio, una miscellanea di categorie che, se non sono iscritte ad un ordine e ad una cassa professionale incaricati della loro tutela, si ritrovano parcheggiate all’interno della gestione separata dell’Inps.
Essendo la misura dei benefici legati al reddito sarebbe stato più opportuno incaricare l’Agenzia delle Entrate, di per sé a conoscenza dei redditi delle persone e di conseguenza facilitata a raggiungere, anche in modo autonomo, i soggetti beneficiari. Si è scelta la strada della corsa al click, intasando il sistema. Ma anche nel caso del flop del 1°aprile gli hacker non c’entrano. Per fare in fretta, non si è trovato né il modo né il tempo per testare le nuove procedure. Così – lasciato allo stato brado – non è andato in tilt solo il sistema ma sono state sparse al vento anche le norme a garanzia della privacy.
È ciò che succede quando si teorizza che uno vale uno. Si arriva a privarsi di competenze importanti (come quella di Giampiero Castano all’ufficio vertenze del ministero dello Sviluppo economico), senza sostituzioni adeguate. Così è stato anche negli apparati dei ministeri, dove sono transitati esponenti dei “5 stelle’”. Gli effetti si vedono poi quando viene il momento di serrare i ranghi, all’interno di una conventicola che ha in mano l’intera filiera delle politiche previdenziali e del lavoro. E all’Inps, perché non dirlo?, si è tolto l’incarico dell’informatica ed dell’organizzazione a Vincenzo Damato, un eccellente funzionario, (buon ultimo – lo ricordiamo a Laura Castelli – di una decina di dirigenti che avevano occupato quella posizione) appena in tempo per consentire al suo successore di fare una figuraccia nel momento della verità.
.