PERCHÉ COSÌ TANTI MORTI DA COVID-19 IN LOMBARDIA?

Non basta a spiegarlo né l’alta percentuale degli anziani, né quella dei contagiati non sottoposti al test: la letalità dipende in gran parte dal rapporto tra malati gravi e posti-letto in reparti di terapia intensiva

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Articolo di Carlo Favero, Andrea Ichino e Aldo Rustichini pubblicato il 3 aprile 2020 sul quotidiano
il Foglio e sul sito lavoce.infoSul tema della pandemia v. anche la serie di editoriali telegrafici di cui l’ultimo è La pandemia e la parità di trattamento fra i lavoratori: ivi il link che consente di risalire ai precedenti

Il numero di morti causati dal COVID-19 in Lombardia è altissimo (7199 al 31 marzo) rispetto al numero di contagiati ufficiali secondo la Protezione Civile (43208 alla stessa data). Stando a questi numeri il tasso di letalità osservata del virus SARS-CoV-2 in questa regione sarebbe pari al 16.6% mentre è inferiore al 5% nel resto del mondo.

Carlo Favero

Le spiegazioni recentemente proposte per questa anomalia sono due. La prima fa riferimento a caratteristiche specifiche della popolazione lombarda e più in generale italiana (frazione elevata di anziani, maggiore frequenza di contatto fisico nelle interazioni sociali, co-residenza di anziani e giovani nella tipologia italiana di famiglia allargata). La seconda fa riferimento alla possibilità che il numero di contagiati ufficiali registrati dalla Protezione Civile sia stato largamente sottostimato, dato che i tamponi sono stati fatti solo ai pazienti con sintomi relativamente gravi. Secondo Foresti, questa spiegazione suggerirebbe che i contagiati reali siano, a livello nazionale, addirittura più di 11 milioni.

Purtroppo c’è anche una terza spiegazione molto meno favorevole, ossia che l’alto numero di morti per Covid-19 in Lombardia sia dovuto alla carenza di posti in terapia intensiva rispetto alla domanda. La Figura 1 mostra perché questa ipotesi è plausibile.

In assenza di vincoli, la frazione di pazienti COVID-19 ospedalizzati che ha bisogno di terapia intensiva dovrebbe essere costante al variare del numero di pazienti. Se su 100 persone ricoverate in ospedale perché infette 15 hanno bisogno della terapia intensiva, su 1000 saranno 150 ad avere la stessa necessità e così via. La Figura 1 mostra che questo rapporto ha invece un andamento decrescente per la Lombardia nei giorni dal 8 al 31 marzo, e questo perché il numero di pazienti ospedalizzati al denominatore è più che quadruplicato, passando da 2802 a 11883, mentre il numero di pazienti in terapia intensiva al numeratore è “solo’’ poco più che triplicato, passando 400 a 1324.

Aldo Rustichini

Questo risultato indica quanto sia importante tenere presente il vincolo rappresentato dall’offerta di cure mediche, in particolare quelle in terapia intensiva, nei modelli di previsione di quello che accadrà nelle prossime settimane e soprattutto nei modelli per valutare gli effetti delle diverse ipotesi di riduzione graduale dell’obbligo di distanziamento sociale. E questo anche perché il rischio di un secondo picco di contagi nei prossimi mesi è elevato (come avvenuto per l’influenza “Spagnola’’ del 1918-20).

A questo fine abbiamo integrato il modello matematico di contagio SEIR (Susceptible, Exposed, Infected, Removed) che in questi giorni tutti abbiamo imparato a conoscere, estendendolo per rendere la mortalità dipendente dal vincolo imposto dalla capienza dei reparti di terapia intensiva. In questo modo, quindi, il tasso di letalità del virus diventa endogeno rispetto al numero di infetti quando il vincolo è attivo. Per gli altri parametri del modello utilizziamo i valori standard adottati in altri esercizi simili per il Covid-19: in particolare, R0 pari 2.2 e tasso di letalità in assenza di vincoli pari 1.38.

I risultati sono illustrati nella Figura 2 che riporta la mortalità osservata e quella simulata dal nostro modello in due scenari.

Figura 2: Evoluzione dei decessi osservati in Lombardia e di quelli simulati con o senza vincolo attivo di insufficienza dei posti in terapia intensiva

Il primo impone la presenza del vincolo di disponibilità dei posti in terapia intensiva che quindi non possono crescere in modo da soddisfare la domanda. Il secondo ipotizza invece una capacità di 3000 posti in terapia intensiva per l’intera regione, quindi un numero ragionevolmente superiore a quello che sarebbe stato necessario per soddisfare la domanda. Con il vincolo attivo il modello simula molto bene il numero elevato e crescente della mortalità osservata. Il secondo scenario, invece, mostra che il numero di decessi avrebbe potuto essere largamente inferiore. La differenza verticale tra i due scenari misura il numero considerevole di vite umane che avremmo potuto salvare se il vincolo dei posti in terapia intensiva non fosse stato rilevante.

Andrea Ichino

Il modello con vincolo mostra anche che il numero di casi totali di contagio è probabilmente molto maggiore rispetto a quello ufficiale della Protezione civile per questa regione (185000 contro 43208, su una popolazione di 10 milioni di persone). Ma questa stima dei casi totali  è comunque molto inferiore a quella ipotizzata ad esempio da  Foresti.

Con questo modello ci apprestiamo a simulare gli effetti economici e di salute pubblica derivanti dalla adozione di diverse politiche di ritorno alla normalità in attesa del vaccino.

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