L’esperienza di queste settimane di esplosione del lavorare da casa mostra quanto questo sia difficile quando non si dispone di un’abitazione abbastanza grande – Il futuro potrebbe riservarci il proliferare dell’offerta capillare di postazioni di lavoro a distanza vicine a casa ma distinte dall’ambiente domestico
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Intervista richiestami da Vanity Fair il 3 aprile 2020, ma poi non pubblicata per non corrispondenza del contenuto alle esigenze redazionali – In argomento v. anche il mio articolo pubblicato su lavoce.info il 20 marzo, I pericoli del lavoro agile .
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Professor Ichino, sarà possibile riorganizzare tutto il tessuto produttivo in modo da rispettare la regola dei due metri di distanza tra le persone?
Proprio tutto, evidentemente no. Per esempio, quella regola la si può rispettare sugli spalti dello stadio, ma non nel campo di una partita di calcio. Nella sala di aspetto di un dentista o di un parrucchiere, ma non nello svolgimento del servizio. Certo, però, non è affatto impensabile che le aziende manifatturiere, affrontando costi notevoli, possano riorganizzare i loro reparti in modo da rispettare quella regola.
Altrimenti c’è la soluzione del lavoro agile. Si può trarre un bilancio di questo mese in cui moltissimi ci hanno provato?
Per un bilancio vero e proprio ci vorrà un po’ più di tempo e di studi. Ma alcune cose importanti le abbiamo imparate.
Quali?
La prima è che l’ambiente domestico non è quello ideale per svolgervi la propria attività professionale, salvo che per i single, oppure che si disponga di una casa grande, con una stanza isolabile dalle altre da destinare al lavoro. Se poi in una casa piccola ci sono anche i figli per tutta la giornata, perché le scuole sono chiuse, utilizzarla come luogo di lavoro può diventare davvero molto difficile.
Insomma, il lavoro agile è cosa solo per ricchi o per single?
Oggi in un certo senso sì. A meno che il tessuto cittadino non si attrezzi con una grande quantità e diffusione di luoghi adatti allo smart working, in modo che ce ne siano in numero sufficiente in ogni quartiere.
Come gli Internet café?
Qualche cosa di più di un bar col wi-fi: occorre che ciascuna postazione possa godere di un minimo di isolamento rispetto alle altre. C’è già un’impresa che ha cominciato a offrire questo servizio in diversi centri urbani; ma dobbiamo pensare a un futuro in cui l’offerta di questo servizio sarà molto più abbondante e capillarmente diffusa. Gli stessi condomini urbani potrebbero incominciare ad attrezzarsi in questo modo. Allora sì il lavoro agile potrà decollare davvero.
Intende dire che sarà normale lavorare non da casa, ma da un luogo a un passo da casa?
Qualche cosa di questo genere. Questo consentirà davvero allo smart working di diventare un modo normale di lavorare, e anche di spostarsi molto di meno. Anche le sedi aziendali tenderanno a organizzarsi in modo diverso rispetto a ora: non ci sarà più una postazione di lavoro per ciascun dipendente, bensì una minore quantità di postazioni, messe a disposizione di tutti indifferentemente. Certo, i rapporti personali coi colleghi non saranno più altrettanto diretti e frequenti come quando si lavora gomito a gomito.
Cambierà anche il rapporto tra impresa e lavoratore?
Sì, perché il lavoro non sarà più misurato dall’estensione temporale: l’adempimento non consisterà nel lavorare per un certo numero di ore, ma nel conseguire determinati risultati. Il che porterà anche a favorire lo sviluppo di forme di partecipazione dei lavoratori nell’impresa.
Per esempio?
Nello studio di cui sono contitolare, alle due addette alla contabilità abbiamo chiesto di fare in modo, lavorando sul computer aziendale ma da casa loro, che in questo periodo non si formino arretrati. Non interessa per quanto tempo lavorano, ma che l’obiettivo sia raggiunto. Allo stesso modo, tutti i nostri collaboratori avvocati sono impegnati a fare il lavoro di consulenza e di predisposizione di atti giudiziali da casa: quello che conta non è quanto tempo ci mettono, ma che tutto sia fatto tempestivamente e bene.
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