La legge del 2017 impone all’imprenditore di informare per iscritto il dipendente che lavora da casa e il responsabile dei lavoratori per la sicurezza sui “rischi specifici” di questo modo di svolgere la prestazione: ora l’Inail ci spiega quali essi siano
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Articolo pubblicato su lavoce.info il 20 marzo 2020 – In argomento v. anche la mia intervista del 13 marzo, Se l’epidemia mette le ali al lavoro agile: ivi i link ad altri miei interventi in argomento.
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L’obbligo di avvertire per iscritto dei “rischi specifici”
Tutti a lavorare da casa per sfuggire al contagio. Ma siamo consapevoli dei nuovi rischi specifici che corriamo? Per aiutarci a rendercene conto, il legislatore ha disposto che l’imprenditore ce ne dia informazione scritta, estendendola anche al rappresentante per la sicurezza in azienda e rinnovando la comunicazione ogni anno, per il caso che qualcuno nel frattempo abbia abbassato la guardia.
Confesso che, quando la norma venne discussa in Parlamento, trovandomi a far parte di quel consesso, non compresi la gravità di questi rischi specifici e mi battei perché quell’obbligo annuale di duplice comunicazione scritta venisse depennato, spingendomi fino a chiedere polemicamente che l’ufficio legislativo del ministero estensore della norma chiarisse quali mai potessero essere i “rischi specifici” per la salute e la sicurezza di chi lavora sul proprio pc portatile collegato con l’azienda solo via Internet. Ora un documento messo opportunamente online in questi giorni dall’Inail, a uso dei datori che intendono adempiere l’obbligo di informazione imposto dalla legge, pone in evidenza questi rischi, che chi lavora da casa non può ignorare.
Il documento, intitolato “Informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile ai sensi dell’art. 22, comma 1, L. 81/2017” esordisce nelle due pagine introduttive con una indicazione preziosa, che ogni lavoratore agile deve considerare attentamente: “non adottare condotte che possano generare rischi per la propria sicurezza o per quella di terzi”. Poi a pagina 3, nel capitolo dedicato al lavoro all’aperto, si entra nel vivo, con l’evidenziazione dei rischi in agguato al parco o ai giardinetti: “evitare di esporsi a condizioni meteoclimatiche sfavorevoli quali caldo o freddo intenso”; “privilegiare luoghi ombreggiati”; “non svolgere l’attività in aree in cui non ci sia la possibilità di approvvigionarsi di acqua potabile” (per il caso che ci si dimentichi di portarsi dietro la bottiglietta); dotarsi di “creme contro le punture, antistaminici e abbigliamento adeguato”; e soprattutto “non frequentare aree con presenza di animali incustoditi” e neppure “con presenza di rifiuti”.
Qui, a voler essere pignoli, all’estensore del documento è sfuggito il rischio che il lavoratore agile, mettendosi a lavorare nei pressi di un prato dove dei ragazzini giocano a calcio, si prenda una pallonata.
Le correnti d’aria fastidiose
Ma la parte tecnicamente più impegnativa delle avvertenze che l’imprenditore deve comunicare al dipendente agile viene a pagina 4, nel capitolo dedicato al lavoro al chiuso. Qui si incomincia con l’avvertenza che non ci si deve mettere a lavorare in soffitta, cantina o nel box. Sacrosanto. Il documento prosegue indicando la necessità che il locale in cui si lavora abbia “gli impianti a norma (elettrico e termoidraulico) e adeguatamente manutenuti”, perché a uno non venga in mente di mettersi a fare il lavoro agile in un locale con pareti scrostate o il parquet usurato. Il documento prosegue avvertendo che d’estate occorre “evitare l’abbagliamento e l’esposizione diretta alle radiazioni solari”, mentre sia d’estate sia d’inverno bisogna “collocare le lampade in modo tale da evitare la proiezione di ombre che ostacolino il compito visivo”: su questo punto i risultati della ricerca scientifica sono univoci. Si deve inoltre – questo è importante, ma avrebbe dovuto essere indicato anche per il lavoro all’aperto – “evitare di esporsi a correnti d’aria fastidiose” ed “evitare di regolare la temperatura a livelli troppo alti o troppo bassi (secondo la stagione)”.
Col capitolo successivo dedicato all’utilizzo sicuro dei dispositivi di lavoro, lungo più di quattro pagine, si entra nella parte più tecnica delle avvertenze. Qui l’Inail invita il datore di lavoro a raccomandare ai propri dipendenti agili di “leggere il manuale delle istruzioni prima dell’utilizzo dei dispositivi”; “inserire le spine dei cavi di alimentazione delle attrezzature in prese compatibili”; “interromperne immediatamente l’utilizzo in caso di emissione di scintille, fumo e/o odore di bruciato”, e in tal caso “spegnere l’apparecchio”; “non collegare tra loro apparecchi e accessori incompatibili”; poi “spegnere le attrezzature una volta terminati i lavori” e “riporre le attrezzature in luogo sicuro”. In linea generale, “non lavorare mai al buio” (così testualmente a pagina 6, ultima riga).
Nelle sette pagine successive sono contenute prescrizioni ergonomiche che valgono per qualsiasi lavoro, dentro o fuori del perimetro dell’azienda.
Alcune domande al legislatore
A chi ha concepito questa norma vorremmo chiedere: sono questi, dunque, i “rischi specifici” del lavoro agile? E se sono questi, davvero ha qualche sia pur minima utilità costringere centinaia di migliaia di imprenditori a pagare un consulente perché scovi sul sito dell’Inail questo documento e poi imporgli di consegnarlo una volta all’anno a ciascuno dei propri dipendenti che lavorano a casa anche solo un giorno alla settimana, nonché al loro rappresentante per la sicurezza? Esiste un altro Paese al mondo nel quale sia in vigore una norma analoga? Ma perché quando per caso si scopre una cosa atta a semplificare la vita alle aziende e ai loro dipendenti ci deve essere sempre un ufficio legislativo di ministero che si affretta a inventarsi qualche complicazione per impedire che vi sia anche un solo cantuccio, nel mondo del lavoro, esente dagli adempimenti burocratici e dalle scartoffie? E perché il legislatore gli dà sempre retta?