Le tendenze più recenti del mercato del lavoro italiano confermano l’impressione di un Paese nel quale la rivoluzione digitale occupa una posizione ancora marginale – Ma sorprende anche la difficoltà maggiore per le imprese nel reperire professionalità medio-basse, rispetto ai profili alti e alle competenze più innovative
Articolo di Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff, pubblicato il 2 marzo 2020 sul sito Il Punto Pensioni e Lavoro – In argomento v. anche La formazione efficace e lo scandalo dello skill shortage
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L’Osservatorio Unioncamere-Excelsior sulla domanda di lavoro da parre delle imprese private per il mese di febbraio e il relativo outlook sul trimestre ci fornisce indicazioni utili circa le tendenze più recenti del mercato del lavoro. Per prima cosa occorre osservare che le assunzioni previste (il sistema si basa su informazioni in arrivo direttamente da parte delle aziende) sono circa 320.000 per il mese di febbraio e 1.077.000 per il trimestre: si tratta di un dato in calo del 4% rispetto a febbraio 2019 e del 4,5% rispetto al trimestre corrispondente del 2019.
Numeri che confermano una flessione già percepita sia sul piano del dato occupazionale, a partire dalla fine del 2019 (Osservatorio Istat), sia della attivazioni di rapporto di lavoro (Osservatorio INPS sul precariato). E il fatto che l’outlook per il trimestre mostri un calo perfino leggeramente superiore pare oltrettuto già indicare una tendenza, più che una contingenza. Il calo della domanda di lavoro è dovuto soprattutto al manifatturiero (-14,4% a febbraio) e non soltanto, come sarebbe lecito aspettarsi, nell’ambito della filiera dell’automotive, ma anche in comparti finora in crescita come abbigliamento e chimico-farmaceutico. Perfino nei servizi la domanda flette: in particolar modo nei comparti legati all’industria ma, sorprendentemente, anche nei servizi alla persona. Gli unici comparti in cui la domanda aumenta ancora sono il turismo, ma a ritmi decrescenti (e sul quale peraltro ora incombe anche l’effetto coronavirus), e soprattutto le costruzioni.
Esaminiamo ora le caratteristiche della domanda: la gran maggioranza si rivolge a professionalità che nella celebrata – ma, in Italia, mai concretamente vista – clessidra dell’occupazione occupano un segmento medio e medio-basso (cioè proprio quello che la Quarta Rivoluzione industriale dovrebbe assottigliare). Circa il 25% della domanda richiede professionalità qualificate nel commercio e nei servizi (i profili più richiesti addetti alle vendite e alle attività di ristorazione). Il 20% riguarda operai specializzati, e un altro 15% conduttori di impianti (quindi sempre profili operai). Sono circa il 13% i profili non qualificati (ad esempio, personale non qualificato nei servizi di pulizia, o addetti allo spostamento e alla consegna merci). La richiesta di personale con elevata specializzazione intellettuale e scientifica supera di poco il 6%.
Interessante anche rilevare le aree aziendali da cui proviene la domanda: il 44% viene dall’area “produzione di beni ed erogazione del servizio”: si tratta di un’area in cui prevalgono i profili operativi, non necessariamente bassi ma, in genere, essenzialmente esecutivi. Il 19% dall’area “commerciale e vendita”, all’interno della quale prevalgono largamente (65%) gli addetti alle vendite, cioè commessi e agenti. Quindi, il 63% della domanda rappresenta richiesta di mano d’opera con caratteristiche esecutive, posizionata nello “stretto” e nella parte inferiore della immaginaria clessidra. Che, a questo punto, somiglia sempre meno a una clessidra. Guardando alle previsione per il trimestre, si nota che la richiesta di profili alti (dirigenti, specialisti, tecnici) rappresenta il 17,5%, quella di professioni intermedie ben il 67% e quella di professioni non qualificate (movimento e consegna merci, servizi di pulizia) circa il 15%. Più che una clessidra… una trottola!
Un’ulteriore conferma viene dall’esame dei profili maggiormente richiesti (riferiti al mese di febbraio): il 20% sono addetti alle vendite e alla ristorazione, profili esecutivi di non alto livello. Il 10% è personale esplicitamente non qualificato per servizi di pulizia e consegna merci. Siamo quindi davanti a un sistema di imprese nel quale la digital transformation occupa ancora una posizione marginale, in cui è ancora fondamentale la manifattura tradizionale, con le sue professioni a livello tecnico intermedio, e nel quale il comparto dei servizi vede ancora una domanda importante di lavoro non professionale. Un quadro già sufficiente a inchiodare il Paese, nonostante le eccellenze nel comparto del manifatturiero tradizionale e nella propensione all’export, a una posizione di coda nell’innovazione digitale.
Ma è anche opportuno prestare attenzione al versante dell’offerta di lavoro dal quale deriva il mismatch: oltre il 51% per le professioni dirigenziali, ma anche il 39,7% per le professioni scientifiche e tecniche. E, attenzione, il mismatch s’impenna per i profili di operai specializzati (42%) e conduttori di impianti (31,2%). Vediamo allora di capire le caratteristiche di questo fenomeno. Le professioni più difficili da reperire sono: operai e artigiani addetti alle rifiniture delle costruzioni (49,2% di domanda non soddisfatta); meccanici, manutentori, riparatori e montatori di impianti (43,1%); tecnici dei rapporti con i mercati (42,2%); conduttori di veicoli a motore (38,8%); addetti attività di ristorazione (32,9%). Al netto del fatto che si tratta di fasce piuttosto orizzontali, all’interno delle quali possono esserci differenti livelli di professionalità, va sottolineato che si sta parlando di profili di carattere essenzialmente esecutivo e a limitato contenuto di conoscenze ICT, con la sola eccezione dei “tecnici dei rapporti con i mercati”.
A differenza delle possibili aspettative, il mismatch riguarda dunque molto più le professionalità medie e medio-basse di quelle alte e innovative. Al punto che perfino la domanda di personale non qualificato per servizi di pulizia presenta uno scostamento domanda-offerta dell’11,7%! Una caratteristica che risulta evidentissima guardando alla domanda di forza lavoro giovane (fino a 29 anni): il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro riguarda, come ci si poteva aspettare, gli specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche (addirittura il 63%), ma è seguito da operai specializzati nell’edilizia e nella manutenzione degli edifici (56%), operai specializzati e conduttori di impianti nelle industrie tessili, abbigliamento e calzature (52%), operai nelle attività metalmeccaniche ed elettromeccaniche (45%), cuochi, camerieri e altre professioni dei servizi turistici (44%). Con l’eccezione della prima fascia, il mismatch giovanile è cioè largamente riferibile a qualifiche esecutive e intermedie.
Per meglio cogliere i contenuti professionali dei profili più richiesti Excelsior fa riferimento a due parametri: “applicherà soluzioni creative e innovative” e “coordinerà altre persone”. Più alti saranno questi due indicatori tanto più elevato sarà il contenuto professionale del profilo: ebbene, mentre gli indicatori più alti per “applicherà soluzioni creative e innovative” sono per specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche (72,9%), progettisti e ingegneri (68%), tecnici del marketing (60%), per i profili con il mismatch più alto si riscontra un 16,2% per operai specializzati e conduttori di impianti nelle industrie tessili, ecc., un 20,2% per operai nelle attività metalmeccaniche ed elettromeccaniche; quanto al parametro “coordinerà altre persone” si tocca il massimo con progettisti ed ingegneri (38%) e tecnici di produzione (36%9, mentre per i due profili operai citati sopra sta rispettivamente al 20 e 9%.
In sostanza, non si può certo dire che i profili per cui è maggiormente alto il mismatch richiedano competenze innovative o di coordinamento talmente alte da determinare una drastica selezione dell’offerta. E allora a cos’è dovuto il mancato incontro? Per le ragioni dette sopra non può essere ricondotto semplicemente alle carenze formative del capitale umano, che pure pesano la loro parte. Per approfondire, Excelsior propone quindi un dato estremamente interessante e poco conosciuto: le motivazioni della difficoltà di reperimento di mano d’opera nei comparti che più soffrono dell mismatch. Motivazioni fondamentalmente riconducibili a due cause principali: preparazione inadeguata e mancanza di candidature. E se l’inadeguata preparazione è la seconda causa riscontrata (tranne per l’industria del legno e del mobile che, evidentemente, valorizza ancora dei contenuti professionali di tipo artigianale), la prima è proprio la mancanza di candidature.
Detto altrimenti, per la gran parte della domanda la causa principale di mismatch risiede semplicemente nell’indisponibilità dell’offerta! Sarebbe molto interessante disporre di dati circa le ragioni di chi, non essendo escluso per insufficiente formazione, non si candida comunque per lavori di non difficile accessibilità. Difficile attribuire la responsabilità solo a ipotetiche condizioni capestro poste dall’azienda (nella vulgata popolare, l’equazione precariato uguale a schiavismo è piuttosto ricorrente): il 42% dei contratti proposti sono a tempo indeterminato, il 40% a termine, il 10% in somministrazione. Il tema meriterebbe di essere oggetto di una prossima indagine, ma i dati fin qui visti suggeriscono l’immagine di una società in cui il lavoro tende a essere un’opzione sostituibile (anche eventualmente a costo di sacrifici) con sussidi, rendite, condivisione di redditi nell’economia familiare: non più, insomma, una condizione imprescindibile, ma rimpiazzabile con altre soluzioni.
Il pessimismo del libro di Ricolfi su La società signorile di massa sembra qui trovare una conferma!