Con le dichiarazioni di Salvini, Borghi, Giorgetti e Bagnai, che sull’Europa si contraddicono a giorni alterni, il Carroccio non riesce proprio a prendere una posizione credibile sul piano internazionale
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Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 516, 17 febbraio 2020 – In argomento v. anche l’editoriale telegrafico del 21 0tt0bre scorso, La folgorazione di Salvini sulla via di Damasco.
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Sulla questione UE sì/UE no, il politico che vuol tenere il piede in due staffe può fare così: dire che resta nella “UE, purché la UE cambi”. Così, quando vuole apparire europeista – per esempio a Bruxelles, o a Davos, o a un’assemblea degli imprenditori veneti – sottolinea la prima parte della frase, altrimenti sottolinea la seconda.
In questi giorni la Lega di Salvini sta facendo questo gioco con una frequenza che lascia senza fiato. Il 13 febbraio, in una conferenza alla Stampa estera, Salvini in persona ha detto “Noi non vogliamo uscire dalla UE, vogliamo solo cambiarla”. Il giorno dopo il presidente leghista della Commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi, autore del manuale Basta Euro, ha twittato: “E se ci dicono di no?”. Gli ha risposto sul Corriere della Sera il neo-ministro degli Esteri della Lega Giancarlo Giorgetti, che ha esordito nella sua funzione di garante dell’affidabilità del partito sul piano internazionale dichiarando: “Noi non vogliamo uscire [dall’Euro …] Io sono il responsabile degli Esteri della Lega. Se dico che non usciamo, non usciamo. Punto”. Il giorno dopo, tempestato dalle proteste dei militanti, Salvini ha precisato su Facebook: “O le regole cambiano, o altrimenti è inutile stare in una gabbia […] Facciamo come gli inglesi”. Sostanzialmente lo stesso dice il presidente leghista della Commissione Finanze del Senato, Alberto Bagnai, il quale rivendica comunque mano libera per gli aiuti di Stato, oltre che per aumentare il deficit di bilancio e quindi il debito pubblico e per abrogare la riforma delle pensioni del 2011, la “Fornero”.
La realtà è che Salvini si rende conto della follia di un programma di governo che preveda l’Italexit; per rendersi proponibile come nuovo Presidente del Consiglio ha bisogno di riposizionarsi; ma non ci riesce, perché da anni, da quando è a capo del partito, ha investito troppo e troppo convintamente sulla parola d’ordine “no Euro”: in questa svolta a U i suoi militanti non lo seguono. E ora è costretto a fare, poco dignitosamente, il pesce in barile.