La differenza tra il maggioritario a doppio turno francese e quello per le nostre elezioni comunali – Le implicazioni istituzionali e costituzionali dei due modelli
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Lettera di Luciano Belli Paci, avvocato in Milano, pervenuta il 10 febbraio 2020, in riferimento alla mia risposta a un’altra lettera in tema di riforma del sistema elettorale – Interviene, il 15 febbraio, sullo stesso argomento anche Carlo Fusaro, professore di Diritto costituzionale nell’Università di Firenze – Ringrazio vivamente entrambi, anche a nome dei lettori.
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LA LETTERA DI LUCIANO BELLI PACI
Carissimo Pietro,
innanzitutto ti esprimo piena solidarietà per le aggressioni verbali che hai ricevuto.
Da “antiliberista”, trovo insopportabile il becero settarismo che aleggia in una parte purtroppo cospicua dell’area politica che frequento.
Ti scrivo riguardo al tuo pezzo sul sistema elettorale.
Anche qui purtroppo siamo in disaccordo perché io sono un convinto proporzionalista, a maggior ragione dopo aver visto i giganteschi danni prodotti dalle leggi maggioritarie (e spesso incostituzionali) adottate dal 1994 in poi.
Mi fa piacere che tu riconosca, con la tua consueta onestà intellettuale, che il maggioritario richiederebbe modifiche costituzionali.
La nostra Costituzione, pur non prescrivendolo, presuppone il proporzionale. Basta leggere gli artt. 138, 83, 90 Cost.
Solo la sfacciata fortuna che ha consentito al centrosinistra di essere puntualmente in maggioranza alle varie scadenze dell’elezione del PdR ci ha impedito di accorgerci dell’effetto eversivo che si può produrre innestando leggi elettorali maggioritarie a Costituzione invariata.
Mi permetto di farti due obiezioni:
- Il sistema francese che tu dichiari di prediligere – e che anch’io considero di gran lunga il male minore tra i sistemi maggioritari – ha dato buona prova in Francia essenzialmente per due ragioni, una costituzionale e l’altra politica. Quella costituzionale è data dall’abbinamento tra sistema elettorale a doppio turno per l’Assemblea Nazionale e semipresidenzialismo, con Presidente eletto anch’egli col doppio turno. Senza questo potente catalizzatore, è lecito dubitare che il doppio turno di collegio sia realmente funzionale alla governabilità (che è l’unico motivo per preferire il maggioritario al proporzionale, altrimenti si ha inutile strage di rappresentanza). Quella politica è data dal meccanismo del patto repubblicano, che scatta puntualmente in Francia per isolare il Front National e simili, mentre in Italia il centrodestra è disponibile ad allearsi indiscriminatamente con tutta la destra estrema.
- La tua affermazione secondo cui nei Comuni maggiori si applicherebbe “Un sistema a doppio turno analogo al francese”, visto che parli della legge elettorale per il Parlamento, mi pare gravemente errata. Il sistema dei comuni è un sistema presidenziale con elezione diretta del sindaco in uno con un premio che garantisce la maggioranza nel consiglio comunale. Del sistema francese non c’è nulla: né i collegi uninominali, né la separata elezione di assemblea legislativa e PdR. L’unica analogia possibile rispetto alla legge dei comuni è con l’Italicum, legge incostituzionale che avrebbe prodotto, di fatto, l’elezione diretta del “sindaco d’Italia”, producendo un presidenzialismo surrettizio ed annullando la separazione dei poteri tra legislativo ed esecutivo. Una cosa che, non a caso, non ha eguali nelle democrazie occidentali (c’è solo un precedente in Israele, fallito e corretto dopo pochi anni). Il fatto che abbia dato buona prova nei Comuni non mi pare un grande argomento, visto che nei Comuni i tre poteri che la dottrina costituzionale impone di tenere separati non esistono.
Un caro saluto.
Luciano
L’INTERVENTO DI CARLO FUSARO
Partecipo volentieri alla discussione su eventuali modifiche alla legge elettorale, innescata da un lettore che poche settimane fa stimolava Pietro Ichino sul tema, garbatamente accusandolo di non parlarne più. Invero io stesso ammetto di esser diventato assai parco sul tema: visto che le ricette, e ancor prima, l’approccio analitico che con altri, a partire da Ichino appunto, sono andato proponendo non paiono d’attualità. Ma, pungolato, abbandono le reticenze e dico in breve la mia.
Primo. Non c’è alcuna necessità o urgenza di modificare la legge Rosato (2017). Sostenere che siccome si riducono deputati e senatori si deve necessariamente riformare la legge elettorale vigente è tesi senza fondamento, salvo uno: si vuole eliminare quel poco di uninominale e maggioritario che è rimasto per esser certi che nessuno (a partire dal temuto Salvini) vinca le elezioni (il numero dei parlamentari non c’entra). Io non sono d’accordo, ma capisco il punto: è la riproposizione del punto di vista emergenziale (o dell’eccezionalità italiana) per cui non ci possiamo permettere governi che governino e maggioranze (vagamente) solide che li sostengano. Al più ce lo possiamo permettere in Comuni e Regioni.
Secondo. Altra questione (collegata) è quella, non contingente però, delle riforme istituzionali. A me pare che ce ne sia un bisogno terribile (come del resto ha ritenuto la maggior parte delle forze politiche dal 1981 in avanti): infatti il Parlamento ha varato tre commissioni bicamerali e due riforme della parte II Cost., bocciate dagli elettori (1983, 1992, 1997, 2006 e 2016). In più, l’evoluzione dei regimi parlamentari in Europa dimostra che non è più un problema solo italiano: essi sono tutti in crisi per lo spappolamento dei sistemi partitici, che impone coalizioni mano a mano composte da sempre più partiti di sempre minori dimensioni proprio nella fase storica in cui son diventata più difficili, il presupposto di una governabilità impossibile che lascia l’Europa inerme di fronte alle sfide del mondo globalizzato. In Italia avevamo avvertito questa problematica per primi, cercando di farvi fronte: ed io penso che fossimo sulla buona strada dal 1993 al 2005. Poi il centro-destra per ragioni partigiane si assunse la responsabilità di pasticciare con la legge elettorale ed è stato l’inizio della fine.
Terzo. Fermo restando che parlare di riforme è oggi fuori contesto, condivido l’approccio che Ichino propone nel suo editoriale, rilanciando le formule a doppio turno sia uninominale sia di lista. E penso che, col sistema politico attuale, in assenza di revisioni costituzionali significative, la soluzione più utile sarebbe quella c.d. del sindaco d’Italia o meglio tipo Italicum, consistente nell’elezione a doppio turno di una maggioranza (con un candidato alla guida del Governo col suo programma e i suoi alleati): la sola che possa garantire (in avvio di legislatura) il voto c.d. decisivo (elemento essenziale per la ricostruzione di un rapporto elettori-partiti). Questa soluzione presuppone, però, il suffragio universale per il Senato cioè l’estensione del voto a tutti i maggiorenni. Se non mi sfugge che una soluzione del genere rafforzerebbe il presidente del consiglio (evviva), non vedo come inciderebbe sulla (pretesa) separazione fra legislativo ed esecutivo, che, nei regimi parlamentari, semplicemente non esiste e non deve esistere. Invece, il doppio turno uninominale, che sarebbe comunque un progresso (grazie ai collegi), richiederebbe l’elezione diretta del presidente che è il maggior fattore bipolarizzante: un soluzione impraticabile da noi.
Last but not least, condivido il giudizio negativo, sconcertato e mortificato, sulla leadership del Pd che, gettando alle ortiche una coerenza programmatica ventennale, si fa piacere per ragioni di (presunta) convenienza immediata la proposta del ritorno alla proporzionale integrale. Al di là del merito, la volubilità in materia dei partiti (e vale anche per le destre) fa danni peggiori della grandine: e non è la ragione minore per cui tanti cittadini appena sentono riproporre come indispensabilissime riforme elettorali che sono a fini evidentemente partigiani mettono mano alla fondina.
Carlo Fusaro