La nuova norma va molto al di là dell’introduzione delle protezioni essenziali per i ciclofattorini operanti tramite piattaforma digitale, mettendo di fatto fuori legge questa forma di organizzazione del lavoro e spingendosi a rendere difficilmente praticabile gran parte dei contratti di lavoro autonomo continuativo
.
Articolo pubblicato sul sito lavoce.info il 25 ottobre 2019 – In argomento v. anche il mio articolo sullo stesso sito del giugno 2018, Un diritto per il lavoro nella terra di mezzo: ivi i link ad altri articoli precedenti sullo stesso tema
.
.
Il maxi-emendamento approvato dal Senato
A torto o a ragione, il ministro del Lavoro vuole questo risultato: far sì che ai cosiddetti rider si applichi la disciplina del lavoro subordinato. Per ottenerlo, potrebbe limitarsi a una norma formulata più o meno così: “il rapporto di lavoro dei fattorini collegati a distanza con la piattaforma digitale è soggetto alla disciplina del lavoro subordinato ordinario”; ma i suoi consiglieri non si accontentano. Già che ci sono vogliono cogliere l’occasione per ricomprendere nell’area della protezione forte tutti i collaboratori continuativi autonomi, anche se né il ministro né la sua parte politica ha mai enunciato questo obiettivo. Dunque, senza che il ministro neppure colga la portata della novità, modificano la norma contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 (articolo 2), che oggi disciplina la materia, facendola recitare così:
A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente.
E, per non correre il rischio di fraintendimenti, aggiungono senza riguardi per la lingua patria:
Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.
Questo, dunque, dice il maxi-emendamento del Governo al disegno di legge per la conversione del decreto n. 101, approvato in prima lettura dal Senato nei giorni scorsi. Se, come è assai probabile, nei giorni prossimi verrà approvato anche alla Camera, esso avrà l’effetto di estendere l’intero sistema di protezione del lavoro subordinato a quasi tutti i rapporti di collaborazione autonoma continuativa, senza che venga attribuito più alcun rilievo ai requisiti, cui pure si è fatto riferimento nella legislazione recente, della “dipendenza economica”, della “monocommittenza”, del basso livello di reddito, o del concreto inserimento nell’organizzazione aziendale.
Una nozione troppo generica
Il testo della norma oggi in vigore specifica che l’“organizzazione da parte del committente”, perché la prestazione possa essere assoggettata alla disciplina del lavoro subordinato, deve concretarsi anche nel cosiddetto “coordinamento spazio-temporale”: in altre parole, la collaborazione continuativa è trattata come se fosse subordinata in tutti i casi in cui è soggetta al vincolo di orario e di luogo di svolgimento. Come dire che non si può trattare come un consulente autonomo il magazziniere, oppure la segretaria d’ufficio. Ora, con la caduta di questa specificazione, il requisito della “organizzazione da parte del committente” diventa estremamente generico, aperto a tutte le interpretazioni, dalle più restrittive alle più onnicomprensive. Sull’interpretazione di questa nuova genericissima nozione studiosi e magistrati verseranno fiumi di inchiostro; ma proprio l’incertezza in proposito sconsiglierà alle imprese di utilizzare il contratto di collaborazione continuativa in numerosissimi casi nei quali a esso oggi si fa normalmente ricorso.
Come se non bastasse, la nuova norma attenua anche il requisito del carattere esclusivamente personale della prestazione: d’ora in poi, per l’applicazione della disciplina propria del lavoro subordinato sarà sufficiente il suo carattere prevalentemente personale. La protezione del lavoro subordinato potrà dunque essere estesa anche al collaboratore autonomo – come l’agente, l’edicolante, il trasportatore, l’artigiano – che abbia un’altra persona alle proprie dipendenze, e magari anche due.
Restano escluse dall’attrazione nell’area della protezione forte soltanto le attività per le quali è richiesta l’iscrizione a un ordine o albo professionale, quelle dei consiglieri di amministrazione, revisori o sindaci di società, e quelle individuate da un contratto collettivo nazionale “in ragione delle particolari esigenze produttive e organizzative del settore”; una via d’uscita può, inoltre, essere costituita dal contratto aziendale stipulato “in deroga”, a norma dell’articolo 8 del decreto-legge n. 138/2011. La contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali dotate del requisito della “maggiore rappresentatività”, al livello del settore o al livello aziendale, resta dunque per fortuna lo strumento principale per ristabilire una qualche certezza circa la disciplina applicabile, sfuggendo all’alea di tre gradi di giudizio nei quali il requisito della “organizzazione da parte del committente” potrà essere (come frequentemente sarà) interpretato in altrettanti modi diversi.
Protezioni aggiuntive per i rider anche rispetto al lavoro subordinato ordinario
Ma la smania protettiva dei consiglieri del ministro del Lavoro nei confronti dei rider non è placata da questo colpo di mano normativo sulla materia delicatissima della distinzione tra “subordinazione” e “autonomia”: nel decreto convertito in legge viene inserita anche una serie di norme protettive specifiche e ulteriori per i rider e solo per loro. In primo luogo si prevede una indennità risarcitoria pesantissima (un’annualità dell’ultima retribuzione) per il caso in cui il contratto di lavoro del rider non sia stipulato per iscritto; si vieta che la retribuzione sia commisurata al numero delle consegne; si impone una maggiorazione per il lavoro notturno, per il festivo e per il caso di “condizioni meteorologiche sfavorevoli.
Infine, la ciliegina sulla torta. Abbiamo visto che il rider non può che essere trattato come lavoratore subordinato, con il suo orario di lavoro fisso e la sua retribuzione a tempo e non commisurata alle consegne: un involucro contrattuale che lascia ben poco spazio alle caratteristiche peculiari di flessibilità nell’interesse di entrambe le parti, proprie del lavoro organizzato per mezzo della piattaforma digitale. A questo punto, si potrebbe pensare che il gestore del servizio possa almeno fare affidamento sulla disponibilità pronta e continuativa del rider per il tempo stabilito. Invece no: è vietato licenziare o altrimenti penalizzare il lavoratore per la sua “mancata accettazione” della chiamata della centrale (articolo 47-quinquies, comma 2, inserito dalla legge di conversione nel decreto legislativo n. 81/2015).
Ma il ministro ha letto attentamente questo maxi-emendamento prima di presentarlo? E il Senato, prima di approvarlo?
.