Quello che Milano ha in più rispetto a tante altre città italiane, piccole e grandi, e che le consente di essere un terreno dove la maggior parte dei semi portati dal vento attecchisce e germoglia con facilità: come i Pedroli e i Corsini all’inizio del secolo scorso, ognuno che arriva trova il modo di mettere a frutto il proprio talento
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Recensione de Il segreto del Naviglio Grande inviatami da G.L., accompagnata da questo messaggio: “L’ho letto ieri sera in due ore e mi è venuta di getto questa specie di ‘recensione’ di questo tuo bellissimo libretto. Poiché non ho alcun titolo per fare il recensore e comunque non saprei dove pubblicarla, te la invio così com’è perché tu ne faccia quello che ti sembra meglio (compresa la destinazione al cestino). Grazie delle ore di genuino piacere che mi hai regalato” – Le altre recensioni, lettere e commenti al libro sono reperibili attraverso alla pagina web a esso dedicata
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Leggo Il segreto del Naviglio Grande, la storia della vita di Gigi Pedroli e della sua arte sbocciata dal nulla, nonostante il suo essere lasciato orfano a soli due anni da due genitori poveri, uccisi dalla tubercolosi; e mi vien fatto di chiedermi che cosa ha Milano in più rispetto a tante altre città italiane, piccole e grandi, per essere un terreno così fertile, dove la maggior parte dei semi portati dal vento attecchisce e germoglia con facilità. Perché la peculiarità di Milano è questa: ognuno che arriva trova il modo di mettere a frutto il proprio talento.
Da dove nasce questa peculiarità? Penso alla Milano del secolo XIII raccontata da Bonvesin de la Riva, con le sue confraternite municipali che già nel profondo medioevo si facevano carico di curare i malati e ospitare i senzatetto a spese della città; ma qualche cosa di analogo facevano altre congregazioni, religiose e no, in tante altre parti d’Italia. Lo stesso si può dire di altre eccellenze milanesi – nel campo dell’industria, della cultura e delle arti – di cui i secoli successivi hanno lasciato traccia: niente di cui non si trovino tracce analoghe nella storia di tante altre città.
È forse alla fine del Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento che nel DNA di Milano si innestano alcuni componenti peculiari. La coniugazione dell’(eccellente) amministrazione pubblica austro-ungarica con la cultura civile coltivata da una borghesia della quale facevano parte i Verri, i Beccaria, i Manzoni, i Casati e tanti altri illuminati, aperta agli scambi culturali ed economici con la Francia, la Germania e l’Inghilterra, apre il tessuto civile e produttivo milanese alla modernità in anticipo rispetto al resto d’Italia. Poi, però, è nella seconda parte dell’Ottocento che a Milano accade qualche cosa di straordinario e di irripetibile. Nel giro di pochi decenni la borghesia milanese decide di dotare la città di alcune strutture di istruzione e formazione superiore destinate ad aumentare esponenzialmente la sua capacità di valorizzare i talenti, indigeni o forestieri che siano.
Nel 1839 un giovane imprenditore tedesco nato a Milano, Heinrich Mylius (nella foto qui a sinistra – n.d.r.), fonda la SIAM, Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri, che nel giro di pochi anni diventa un forte incubatore di competenze tecniche, messe a disposizione del tessuto produttivo circostante: qui insegnano persone eccellenti come Carlo Cattaneo, il fondatore della rivista Il Politecnico, e Antonio Kramer, che presso la SIAM fonda la prima scuola italiana di chimica; Francesco Brioschi, che più tardi sarà il fondatore del Politecnico inteso come ateneo; Giuseppe Colombo, docente di disegno industriale alla SIAM dal 1857, destinato a essere la persona che forse più di ogni altra avrebbe contribuito al decollo industriale dell’area milanese e che fu insieme a Kramer anello di congiunzione essenziale tra questa Scuola e il Politecnico; Antonio Allevi, tecnologo e grande educatore di giovani, che intuì limpidamente l’importanza strategica della formazione professionale di alto livello: “L’industria e la grande industria soprattutto – diceva – è esasperatamente progressiva; l’essere stazionaria è per essa andare incontro a ruina; ma per migliorare e seguire i miglioramenti è d’uopo saperla apprezzare, intendere e applicare, e ciò non si ottiene senza la educazione tecnologica un po’ elevata”.
Verso la fine dell’Ottocento, nel 1892, il filantropo ebreo Prospero Moisè Loria (nella foto qui a destra – n.d.r.) destina il cospicuo patrimonio accumulato con la propria attività commerciale alla fondazione della Società Umanitaria: della quale egli individua la missione nell’”aiutare i diseredati a rilevarsi da sé medesimi, procurando loro assistenza, lavoro ed istruzione e più in generale di operare per il migliore sviluppo educativo e socio-culturale in ogni settore della vita individuale e collettiva”. Questa fondazione era destinata a diventare in breve tempo una modernissima “agenzia del lavoro” ante litteram, strumento prezioso per l’incontro fra la crescente domanda del tessuto industriale milanese e un’offerta di manodopera che convergeva sulla metropoli da ogni parte di Italia, abbondante ma bisognosa di orientamento, formazione e addestramento. Nulla meglio del romanzo di Gadda La Meccanica può dare un’idea di quanto e come questa struttura abbia contribuito – insieme a diverse altre strutture in qualche modo analoghe, come quelle gestite dai salesiani o dall’Opera Don Guanella, che tanta importanza hanno avuto nella formazione di Gigi Pedroli – al formarsi della peculiare cultura del lavoro milanese.
È solo di quattro anni successiva la decisione di un commerciante milanese di modestissime origini, Ferdinando Bocconi, di fondare a Milano una “Università di Alto Commercio”, che prenderà il suo nome. Terza elementare, titolare di una fortunata attività commerciale incominciata sessant’anni prima con una bancarella per la vendita di tessuti sull’Alzaia del Naviglio, nel 1896 egli aveva perso il figlio primogenito Luigi nella battaglia di Adua, e aveva deciso di ricordarlo devolvendo l’eredità che a quel figlio sarebbe stata destinata se fosse tornato dalla guerra alla creazione di una facoltà universitaria di Economia e Commercio, di cui all’epoca in Italia non esisteva l’eguale: esistevano soltanto poche scuole tecnico-amministrative. Ci riuscì, ormai quasi centenario, nel 1902, arrivando a stanziare di tasca propria un milione di lire e senza chiedere una lira del denaro pubblico, sulla base del progetto fornito dal professor Sabbatini, che del nuovo ateneo sarà poi fino al 1914 presidente e rettore.
Questa è la Milano ricca e generosa che un secolo fa accoglie i Corsini e i Pedroli; e nella quale quelle due famiglie poverissime trovano – pur in due modi molto diversi – la fortuna che cercano. Questa è la città nella quale un bimbo che si ritrova a due anni orfano di entrambi i genitori, morti di tisi, trova nelle istituzioni pubbliche e in quelle religiose chi lo educa, lo istruisce e ne scopre il talento per il disegno e la pittura, la città che gli offre una scuola comunale di disegno gratuita; la città che, quando anche lui a diciott’anni si ammala di tubercolosi, lo ricovera in una struttura sanitaria d’avanguardia, capace questa volta di debellare la terribile malattia; la città dove poi a vent’anni lui trova lavoro come grafico in un’azienda che gli consente di entrare in contatto con i maggiori designer di tutta Europa e appropriarsi dei loro tesori di innovazione figurativa. È poi in questa stessa città che i suoi itinerari artistici lo portano alla Fornace Curti, un’istituzione antichissima, che fin dal medioevo ha fornito le ceramiche, le maioliche e le formelle in cotto per i rivestimenti esterni di tanti monumenti di Milano e dintorni; e che tuttora costituisce un punto di riferimento essenziale per gli artisti e artigiani che operano nella zona del Naviglio. Con la Fornace Curti, così come con il mondo degli artisti e degli artigiani del Naviglio, Gigi stabilisce un legame strettissimo.
Raccontare la vita di Gigi Pedroli, quindi anche la storia del Centro dell’Incisione fondato da lui e da sua moglie Gabriella poco meno di mezzo secolo fa sull’Alzaia del Naviglio Grande, diventa così un’omaggio a questa città fortunata, generosa e vivacissima.
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