Salario minimo e sicurezza antinfortunistica sono indispensabili; ma la vera protezione per il rider che aspira a qualcosa di meglio consiste nel metterlo nella condizione effettiva di accedere a un lavoro più strutturato, fornendogli assistenza efficace nella transizione
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Intervista a cura di Francesco Riccardi, pubblicata da Avvenire il 21 settembre 2019, con alcuni tagli per motivi di spazio – In argomento v. anche il disegno di legge che presentai nell’ottobre 2017, Una legge per i platform workers e per le umbrella companies, e la mia intervista del giugno 2018 Un diritto per il lavoro dei rider
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Professor Ichino, la Procura di Milano è arrivata ad aprire un’indagine a tutto campo sul fenomeno dei rider. Non è forse il momento, come abbiamo scritto su Avvenire, che anche noi consumatori diamo un segnale evitando di utilizzare servizi per i quali i lavoratori appaiono privi di tutele minime, con sindacati e politica in ritardo rispetto alla necessità di regolamentazione?
Quest’idea mi lascia un po’ perplesso. Sarebbe come se decidessimo di smettere di mangiare pomodori per combattere il lavoro nero nelle campagne calabresi o lucane. Una mobilitazione dei consumatori volta a boicottare il servizio della pizza a domicilio oggi svolto dai rider avrebbe senso soltanto se fosse basato sulla convinzione che questo servizio sia intrinsecamente incompatibile con i diritti delle persone che lo svolgono. Ma non è così: non va soppresso il servizio, va migliorato il sistema delle protezioni.
Quali dovrebbero essere le tutele minime, salariali e di sicurezza, da garantire a questi lavoratori?
Questa è una categoria di lavoratori priva di uno standard retributivo minimo stabilito da contratto collettivo. È dunque necessario prevederlo: il Jobs Act aveva delegato il Governo a provvedere a istituire un salario minimo per le categorie non coperte da contratto collettivo, compresi i collaboratori continuativi autonomi, ma poi questa delega non è stata esercitata, per difetto di un accordo con le Confederazioni sindacali maggiori sul punto. Oggi si potrebbe imporre il pagamento delle retribuzioni attraverso la piattaforma Inps già istituita per il lavoro occasionale, che già prevede un salario minimo di 9 euro oltre alle assicurazioni obbligatorie. E che consentirebbe di conoscere meglio l’intera categoria.
Dobbiamo in qualche modo “arrenderci” a un’economia dei lavoretti in cui le persone sono governate da algoritmi sconosciuti?
Alcune protezioni minime possono e devono essere previste anche per questi lavori, anche sostenendo la contrattazione in questo settore. Oltre al salario minimo, che può non essere espresso in termini orari, si possono e devono rafforzare le misure di antiinfortunistiche: però attenzione, se si impone il casco ai riders bisogna secondo logica imporlo a chiunque giri in bicicletta. Inoltre si devono imporre garanzie di trasparenza degli algoritmi con cui funzionano le piattaforme, in modo che possano essere controllati. Ma se vogliamo dare sostegno a chi fa i “lavoretti” e aspira ad accedere a una occupazione più strutturata e meglio remunerata, non è una buona politica quella di soffocare i “lavoretti” con le protezioni proprie di altre forme di lavoro.
Qual è la buona politica invece, secondo lei?
È rendere effettivo il diritto di tutti i lavoratori a una formazione professionale efficace, cioè mirata a sbocchi occupazionali esistenti. Un’indagine Unioncamere-Anpal ha censito più di un milione di posti di lavoro che restano permanentemente scoperti per mancanza di lavoratori idonei a svolgerli; e ce n’è in tutti i settori e a tutti i livelli di professionalità. La vera protezione per il rider che aspira a un lavoro più strutturato consiste nel metterlo nella condizione effettiva di accedere a una di queste posizioni, fornendogli l’informazione in proposito, la formazione indispensabile e l’assistenza nella transizione dal “lavoretto” al lavoro più soddisfacente.