Post per la Newsletter n. 74, 12 ottobre 2009.
.
Mi ero appena laureato, nel dicembre 1972, con una tesi sulla contrattazione collettiva aziendale. Poco dopo, la professoressa Luisa Riva Sanseverino, che era stata la mia relatrice, mi segnalò che la Fondazione Brodolini aveva bandito un premio per la migliore tesi di laurea di diritto sindacale, incoraggiandomi a presentare la mia. Nella primavera del ’73 mi recai dunque con una copia della tesi alla sede della Fondazione, a Roma, in via Livenza 3. Per la consegna del plico venni introdotto in una stanza, dove un signore seduto dietro una scrivania mi invitò a sedermi, esaminò il frontespizio e l’indice della tesi e lesse la breve lettera di presentazione della Relatrice. La quale proprio in quel periodo stava per cessare dal servizio per raggiunti limiti di età: per la chiamata sulla sua cattedra c’erano le candidature di Aldo Cessari, proveniente da Parma, e di Gino Giugni, che insegnava a Bari. Il signore dietro la scrivania mi interrogò sulla tesi, sul mio lavoro alla Fiom-Cgil da cui essa nasceva, sulla professoressa Riva Sanseverino, sui suoi assistenti e alla fine anche su quel che si diceva circa la successione sulla sua cattedra. Su quest’ultimo punto risposi raccontando che noi assistenti tifavamo tutti per la chiamata di Giugni, ma la titolare uscente e la Facoltà erano orientate a chiamare Cessari. Lui, mostrandosi molto interessato, insistette a chiedermi precisazioni circa i motivi della preferenza di noi giovani assistenti per Giugni e della Facoltà per Cessari; mentre gli rispondevo che l’establishment della Facoltà accusava Giugni di non essere un vero giurista, di contaminare troppo il discorso giuridico con la sociologia e l’economia, vidi la ragazza che mi aveva ricevuto alla porta e introdotto nella stanza farmi dei segni strani con gli occhi e le labbra da dietro il mio interlocutore, indicandolo insistentemente. Ma ormai la gaffe era fatta e non era rimediabile. Lui mi tese la mano presentandosi: “Sono Gino Giugni, è stato un piacere conoscerla e ascoltarla”. Poi, di fronte al mio rammarico, mi tranquillizzò: “Non si preoccupi: immaginavo che le cose stessero così. Ma anche se non verrò chiamato a Milano avremo ancora occasione di vederci e collaborare”. Effettivamente, negli anni seguenti manifestò sempre una certa simpatia nei miei confronti. Nel 1986, poi, fu lui l’artefice principale della mia vittoria nel concorso a cattedra (in una Commissione nella quale non avevo alcun protettore), nonostante che non avessi percorso tutto il cursus accademico normalmente necessario per quella promozione.