“La riforma più sensata era […] quella proposta da Mengoni nella relazione al Cnel del 1985, che limitava l’obbligo secco di reintegrazione ai casi di nullità del licenziamento […], lasciando negli altri casi la facoltà di opzione per un congruo risarcimento”
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Terzo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 504, 8 luglio 2019 – In argomento v. anche, ultimamente, il mio articolo del 10 giugno 2019 su Il dibattito tra i giuslavoristi sulla job property, e lo studio del magistrato Giovanni Armone, La giustizia e l’efficienza nelle tutele contro i licenziamenti illegittimi
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“La legge sui licenziamenti individuali [il riferimento, qui, è alla legge n. 108/1990] […] è un piccolo mostro, che realizza in modo modesto l’obiettivo di tutelare i lavoratori delle piccole imprese, ma tutto sommato aumenta la disparità di tutela tra questi e gli altri, rafforzando la tutela nelle imprese medio-grandi più di quanto sia stata rafforzata nelle piccole: che è un vero e proprio atto di ottusità legislativa […] una riforma più sensata era semmai quella proposta da Mengoni nella relazione al Cnel del 1985, che limitava l’obbligo secco di reintegrazione ai casi di nullità del licenziamento per illiceità dei motivi, lasciando negli altri casi la facoltà di opzione per un congruo risarcimento ‑ mi stanno bene anche le venti mensilità ‑ al posto della reintegrazione” (Gino Giugni, Intervista, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 1992, I, pp. 447-448).
Il fatto di essere considerato il “padre” dello Statuto dei lavoratori non ha impedito a Gino Giugni di essere fra i primi a cogliere i segni del declino del mondo in cui lo Statuto era nato e a teorizzare la necessità di un adattamento ai tempi nuovi di tutto il diritto del lavoro, compresa la materia dei licenziamenti.
(Dedicato alla parte maggioritaria dei giuslavoristi italiani e dei nostri giudici del lavoro, che invece al regime della job property appaiono ancora culturalmente legati a filo doppio).
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