LA MUTAZIONE GENETICA DELLA LEGA

Un libro racconta con precisione minuziosa l’azione svolta da un gruppo ben individuato di “post-nazisti”, minoritario nel partito celtico-padano-autonomista di Umberto Bossi, per trasformarlo nel partito autoritario-razzista-filorusso guidato oggi da Matteo Salvini

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Considerazioni suscitate dalla lettura del saggio di Claudio Gatti,
I demoni di Salvini – I postnazisti e la Lega: la più clamorosa infiltrazione politica della storia italiana, Chiarelettere, 2019, pp. 274, € 16.90 – Seguono alcuni dati biografici sull’autore – In argomento v. anche la mia conferenza su La contrapposizione tra europeisti e sovranisti (e le sorti della democrazia liberale).
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Se fosse vero anche solo un terzo di quello che Claudio Gatti racconta e documenta nel suo ultimo libro, ci sarebbe già da essere molto preoccupati riguardo alla natura e alla cultura politica del partito che oggi gode del consenso di un italiano su tre. Ma temo che nei fatti raccontati da Gatti – sempre con nomi e cognomi e con dovizia di particolari – di esagerato o tendenzioso non ci sia proprio nulla. Il saggio individua una radice del “leghismo” che affonda in una cultura schiettamente neo-nazista e razzista, del tutto minoritaria ai tempi originari della leadership di Bossi, che però nell’ultimo quindicennio ha preso a scalzare progressivamente tutte le altre radici culturali del partito (quella “celtico-padana”, quella libertaria-autonomista e quella antifascista) fino a diventare centrale e dominante con la leadership di Salvini. Sul piano internazionale questa componente ha come riferimento saldissimo la Russia di Vladimir Putin, con la quale il partito di Salvini stringe relazioni solidamente strutturate. E se la Lega di Bossi si caratterizzava per il suo “europeismo”, sia pur strumentalizzato in funzione dell’istanza regionalista-autonomista, la Lega di Salvini si caratterizza invece ora per una fortissima ostilità proprio nei confronti del processo di integrazione europea, del quale lo stesso “Capitano” individua lucidamente l’odiata vocazione liberal-democratica. Ostilità, questa, cui il Salvini-ministro ha abilmente messo la sordina, consapevole del favore che ancora anima due terzi degli italiani verso quel processo di integrazione continentale e verso i principi della democrazia liberale; ma è, ciononostante, un’ostilità profondamente radicata. Prova ne sia l’impegno con cui lo stesso Salvini si sta adoperando per costruire in seno al Parlamento europeo un gruppo unico con Nigel Farage, Marine Le Pen e tutti gli altri partiti più marcatamente contrari al processo di integrazione e al tempo stesso impegnati sulle istanze politiche tipiche della destra estrema.

È importantissimo che i due terzi degli italiani ancora legati all’idea europeista si convincano – e per questo il libro di Gatti può essere molto utile – di quanto al successo di quell’idea sia indissolubilmente legata qualsiasi prospettiva di consolidamento del regime politico liberal-democratico nel nostro Paese e nel resto del continente. E quanto, viceversa, nel pensiero di Salvini e del quartier generale attuale della Lega, una visione autoritaria (alla Orbàn, per intenderci) sia strutturalmente legata alla prospettiva di un drastico depotenziamento del processo di integrazione nella UE e all’instaurazione di un legame privilegiato con Mosca.

Cenni sull’AutoreClaudio Gatti (Roma, 1955) è stato corrispondente  dagli Stati Uniti, dove risiede dal 1978, del settimanale L’Europeo, vicedirettore del settimanale economico Il Mondo, direttore del supplemento dedicato all’Italia dell’International Herald Tribune, ed è stato per 15 anni inviato speciale de Il Sole 24 Ore. In Italia ha pubblicato numerosi saggi di argomento politico ed economico.

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