“Forse è l’unico libro che ci dà uno spaccato reale della élite borghese del secolo passato […] la narrazione di una tenerissima e singolarissima storia d’amore […] gli episodi narrati su Don Milani del tutto sconosciuti ai più”
.
Recensione de La casa nella pineta a cura di Andrea Del Re (avvocato fiorentino), pubblicata sul settimanale Toscana Oggi del 19 maggio 2019 – Le altre recensioni, come le interviste, i commenti e le lettere, sono facilmente raggiungibili attraverso la pagina web dedicata al libro .
.
Chi non conosce Pietro Ichino? Non penso che sia figura nota solo ai giuslavoristi. Pietro è principalmente noto per la sua attività di politico (è stato a lungo parlamentare) interessato soprattutto (ma non solo) ai temi del diritto del lavoro; altresì docente universitario di tale materia e autore di tante monografie al riguardo. Insomma un giurista raffinato e stimato per i suoi scritti e lezioni di diritto.
Ed ecco che all’improvviso (ma non tanto in quanto già aveva scritto liberamente di altri temi) pubblica, in età matura, un’opera di letteratura pura. Il libro La casa nella Pineta, edito da Giunti, ha già ottenuto il meritato successo.
Non intendiamo qui ripercorrere tutta la storia della famiglia che come dice il sottotitolo Storia di una famiglia borghese del novecento, è la protagonista del libro dalla prima all’ultima pagina, pur avendo Pietro il ruolo di regista-narratore, e quindi di filo conduttore di tutta la storia.
Storia vera, quindi, che copre tutto il Novecento.
Forse è l’unico libro che ci dà uno spaccato reale (anche perché i fatti narrati sono tutti veri) della élite borghese del secolo passato: una borghesia benestante, colta, e impegnata socialmente quella che ha costituito il migliore esempio di classe dirigente dell’Italia pre e post – fascista.
Del libro vogliamo ricordare l’impegno nel sociale che la borghesia cattolica (milanese) mantenne nelle sue tre generazioni. Innanzitutto l’affascinante figura della nonna combattuta fra la sua origine ebraica e l’acquistata fede cattolica; a seguire la mamma Francesca (con la narrazione della tenerissima e singolarissima storia d’amore con Luciano e le loro lettere d’amore assolutamente uniche per originalità di espressione, incertezze e poi conferma di vera passione). Il racconto del loro matrimonio e viaggio di nozze è un piccolo capolavoro narrativo.
Ci sono poi le figure di religiosi che, tratteggiate dalla sapiente penna, rimangono sprazzi di luce nel corso della narrazione.
Il primo a comparire è Don Cirillo Perron a Courmayer che durante la guerra salvò la nonna e la mamma e che “con la scusa di andare a benedire le pecore e le mucche girava in continuazione per alpeggi dove si nascondevano i partigiani tessendo una rete di informazioni”.
A seguire Don Acchiapati, religioso essenziale nell’adolescenza di Pietro. Impossibile e riduttivo riportare i colloqui fra Pietro ed il religioso: sono pagine da leggere nel ricordo di una figura di prete che ha contribuito alla crescita non solo di Pietro ma di tanti altri giovani cattolici milanesi del dopoguerra. “Il mio compito – diceva – non è sostituire la mia parola a quella di Dio, o tradurla nel mio linguaggio, ma sgombrare il campo dagli ostacoli, in modo che essa possa essere ascoltata direttamente e capita da tutti”. Si dedicò soprattutto a chiarire ciò che Dio non è, piuttosto che a spiegare chi o cosa Dio sia.
E poi arrivano sulla scena religiosi come Don Primo Mazzolari e padre Turoldo. Ma chi lascia traccia indelebile nella famiglia Ichino ed in particolare in Pietro è la conoscenza di Don Lorenzo Milani. Ancor qui le pagine dell’incontro e dell’amicizia (particolare) con la famiglia sono un libro nel libro. La permanenza dei giovani ragazzi di Don Milani nella casa degli Ichino per la visita alla grande città di Milano è da antologia.
Gli episodi narrati su Don Milani, credo, che siano del tutto sconosciuti ai più. Ad esempio la spiegazione che il Prete di Barbiana dà ai ragazzi su cosa sia un licenziamento è veramente tipica del sentimento del giovane parroco. Fra l’altro viene riportata la lettera del Priore al padre di Pietro (avvocato pure lui) sull’argomento del licenziamento: trattato in modo del tutto tranchant, senza mezzi termini. Per Lorenzo, non deve esistere la parola licenziamento.
Anche con Pietro Don Milani è critico “Scrivi bene, ma usi troppi aggettivi, sono come il belletto che usano le donne per sembrare più belle; se vieni a Barbiana ti insegno a scrivere andando al cuore delle cose, senza belletto”.
E infine c’è il ricordo di parole come queste, rimaste scolpite nella memora di Pietro: facendo un gesto circolare per indicare, nella ricca casa degli Ichino, tutti gli arredi, Lorenzo disse a Pietro “Per tutto questo non sei ancora in colpa; ma dai ventun anni se non restituisci tutto, incomincia ad essere peccato”. Da allora in poi, riferisce l’Autore di essersi arrovellato su come liberarsi dai condizionamenti dell’ambiente. Pietro, dopo la laurea, diventò sindacalista della CGIL e lì ebbe modo di riscattare in parte quel monito di Lorenzo.
Poi come si dice la vita di Pietro prese le sue pieghe, come succede a tutti. Ma Lorenzo è rimasto il referente nel cuore della famiglia; nel libro in fondo sono pubblicate in fotocopia i temi dei ragazzi di Barbiana dopo il ritorno da Milano.
Tutto questo per dire che lo spirito che aleggia nel volume è una grande fede che è stata il collante delle tre generazioni di Ichino. Generazioni che hanno trovato appunto nella fede, nella famiglia e nella casa della pineta a Forte dei Marmi (dove le famiglie si ritrovano e si ritrovano ancora tutte le estati) la bellezza della loro quotidiana esistenza.
Va letto.
.