IL PULLMAN SEQUESTRATO SULLA PAULLESE E IL DOVERE DI DUE INSEGNANTI

Nessuna pretesa di giudicare il loro comportamento in una situazione molto difficile, senza conoscere tutti i dettagli; ma alcune domande, non retoriche, abbiamo il dovere di  porcele

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Secondo editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 497, 23 marzo 2019 – In argomento v. anche La diligenza del professore e la libertà di insegnamento, dell’agosto 2015  .
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Il pullman sulla Paullese, poco prima della fine del sequestro

Di fronte a un criminale che minaccia di fare una strage orribile in una scuola, qual è il dovere di un professore? Nel caso di giovedì scorso a Crema risulta che i due insegnanti di Educazione Fisica e l’inserviente, coinvolti nel sequestro con i 50 ragazzini a loro affidati, per circa mezz’ora non abbiano opposto alcuna resistenza al sequestratore armato di coltello; anzi, gli abbiano ubbidito, cooperando a raccogliere i cellulari e addirittura a legare le mani agli allievi. Che cosa impediva di tentare di fermarlo, a parte il rischio di prendersi una coltellata? Quello dell’insegnante va interpretato, come e più di ogni altro obbligo contrattuale, alla luce del principio generale della “diligenza del buon padre di famiglia”; ora, un buon padre di famiglia non esita di fronte al rischio di una coltellata, quando è in gioco la vita dei propri figli. Quando l’autista criminale annuncia che da quel pullman “nessuno uscirà vivo”, davvero non è possibile, almeno ai due cultori di scienze motorie, saltargli addosso per contrastare il suo folle disegno? Se un ragazzino di tredici anni trova il tempo, il modo e il coraggio di non consegnare il telefonino e chiamare la polizia, non potrebbe almeno uno dei tre adulti responsabili della comitiva fare altrettanto? Almeno un chiarimento su questo punto è necessario.

C’è poi anche un obbligo non contrattuale che grava su ciascuno di noi: quello di difendere la Patria, per il quale ai nostri nonni e ai nostri padri è stato chiesto di rischiare la vita al fronte. A noi, per nostra fortuna, non viene chiesto più di rischiare la vita in battaglie di quel genere. Ma quando ci accade di trovarci di fronte a una minaccia di strage, ed è nella nostra possibilità tentare di bloccare l’attentatore, pur a rischio di restare feriti o uccisi, non è forse “difesa della Patria” anche quella? Non è dunque, quella, una battaglia che siamo tenuti a combattere? E non lo merita essa molto più di quelle che è stato chiesto di combattere ai nostri nonni e ai nostri padri?

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