IL LAVORO DOMENICALE NELL’ORDINAMENTO EUROPEO E IN QUELLO ITALIANO

Pochi sanno che l’Assemblea Costituente, discussa la questione, in omaggio alla laicità dello Stato decise di non costituzionalizzare la regola del “riposo festivo”, bensì soltanto quella del “riposo settimanale”; e che la Corte di Giustizia europea nel 1996 ha cancellato il divieto di lavoro domenicale dalla direttiva sul tempo di lavoro del 1993

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Scheda tecnica sulla disciplina del lavoro domenicale tratta da Pietro Ichino,
Il contratto di lavoro, vol. II, Giuffré, 2003, § 338 – In argomento v. anche Nove buoni motivi per non chiudere i negozi di domenica .
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Nell’ordinamento europeo

La sede della Corte di Giustizia europea di Lussemburgo

La direttiva europea n. 104 del 1993 nella sua versione originaria disponeva all’articolo 5 – in aderenza a quanto disposto nell’art. art. 2, n. 5 della Carta Sociale Europea – che il riposo settimanale coincidesse «per quanto possibile con il giorno della settimana riconosciuto come giorno di riposo dalla tradizione o dagli usi del paese o della regione». Senonché la Corte di Giustizia, con la sentenza 12 novembre 1996, nella causa n. 84/1994, a chiusura di una lunga controversia che aveva visto contrapposto il Regno Unito alla Commissione Europea fin dai lavori preparatori della direttiva, ha soppresso questa disposizione riconoscendone l’incongruità rispetto alla finalità esclusiva di tutela della salute e igiene del lavoro, propria della direttiva stessa. La soppressione della norma è stata poi confermata dall’art. 1, n. 3, della direttiva n. 34/2000.

Il diritto dell’Unione Europea, dunque, oggi impone soltanto il riposo di almeno un giorno ogni sei di lavoro, ma non vincola né in alcun modo incentiva le parti a far coincidere quel giorno di riposo con la domenica.

Nell’ordinamento interno italiano

Il divieto di lavoro domenicale, emanato nel 1902 per le donne e i bambini (legge n. 242), esteso alla generalità dei lavoratori nel 1907 (legge n. 489), ha costituito la prima, rudimentale, forma di limitazione del tempo del lavoro subordinato, in attesa che maturassero le condizioni per la prima convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che nel 1919 avrebbe stabilito la regola del limite massimo di 48 ore di lavoro alla settimana, distribuite in sei giorni. L’Italia ha poi dato attuazione a quella direttiva con il regio decreto-legge n. 692 del 1923, che però non tornava sulla materia del lavoro domenicale (che sarebbe stata oggetto di altre direttive). Nel 1934 la legge n. 370 ha ridisciplinato la materia, esentando dal divieto del lavoro domenicale una numerosa serie di attività e settori produttivi . In linea generale, l’articolo 5 della legge esclude dall’applicazione del divieto tutte le «attività per le quali il funzionamento domenicale corrisponda ad esigenze tecniche od a ragioni di pubblica utilità».

L’assemblea costituente, 1947

La questione del riposo domenicale fu oggetto di una discussione assai tesa nell’Assemblea costituente. Un gruppo di deputati democristiani, guidato dagli onn. Meda e Codacci Pisanelli, aveva presentato un emendamento che fondeva in un’unica disposizione la regola del riposo settimanale e quella del riposo domenicale, mirando a elevare quest’ultima al rango di norma costituzionale: «Lo Stato riconosce e garantisce ai lavoratori il diritto al riposo festivo», dove con l’uso di questo aggettivo si intendeva costituzionalizzare appunto la necessaria coincidenza del giorno del riposo settimanale con la domenica. L’emendamento venne ritirato in seguito al parere negativo espresso dal Presidente della terza Sottocommissione, on. Ghidini (La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1970, pp. 1565-1566), col risultato che al posto dell’aggettivo “festivo” è stato scelto l’aggettivo “settimanale”: l’articolo 36 della Costituzione, dunque, oggi sancisce il principio del giorno di riposo ogni sei di lavoro, senza vincolare in alcun modo il godimento di questo riposo alla collocazione nella festività domenicale.

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