Dopo l’incredibile episodio della legge di bilancio, la Corte costituzionale è chiamata a fissare linee-guida vincolanti – Ma è difficile difendere il Parlamento contro la sua stessa disponibilità a farsi mettere il piede sul collo dal Governo
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Terzo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 491, 7 gennaio 2019 – In argomento v. anche, nella sezione Riforme istituzionali, i numerosi articoli pubblicati sulle ragioni della riforma costituzionale sulla quale si è votato il 4 dicembre 2016, che si proponeva, tra l’altro, di risolvere anche il problema della progressiva erosione della centralità del Parlamento ad opera dell’iniziativa legislativa del Governo combinata con lo strumento della questione di fiducia.
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La prassi di porre la fiducia su di un testo di legge finanziaria per impedire il voto sugli emendamenti in Aula si è affermata e consolidata da decenni; fino all’anno scorso, però, era stata rispettata la regola non scritta per cui la stessa legge veniva discussa ed emendata almeno in seno alla Commissione Bilancio, sia alla Camera sia al Senato, e il Governo poneva la fiducia sul testo prodotto dal dibattito in quella sede parlamentare. È dunque vero che l’erosione della centralità del Parlamento nel procedimento di emanazione della legge più importante è cosa di vecchia data (ed è cosa certo non peculiare del sistema politico italiano); ma quest’anno, col porre la questione di fiducia su un testo presentato al Parlamento a dieci giorni dalla fine dell’anno e non discusso neppure in sede di Commissione Bilancio, il Governo attuale ha varcato un limite che in passato nessun altro Governo aveva mai osato violare. Certo, se la maggioranza fa quadrato su un testo proposto dal Governo l’esito legislativo è sempre quello dell’approvazione di quel testo; ma il fatto che su ciascuna norma e sugli emendamenti presentati dall’opposizione possa svolgersi un dibattito pubblico costringe il Governo a rispondere delle proprie scelte davanti all’opinione pubblica quando ancora quelle scelte possono essere modificate: il che migliora la qualità del provvedimento legislativo; e l’opposizione ha modo di sottolineare almeno quelli che ritiene essere gli errori più gravi. La Corte costituzionale farà bene a rilevarlo e a lanciare in proposito un forte allarme, auspicabilmente esplicitando alcune linee-guida destinate a diventare vincolanti. Essa non potrà, tuttavia, non osservare anche questo: l’atto del Governo non sarebbe bastato a determinare il vulnus, se il Parlamento stesso non vi avesse prestato acquiescenza, in entrambi i suoi rami, per decisione delle rispettive Presidenze. È difficile difendere il Parlamento contro la sua stessa disponibilità a farsi mettere il piede sul collo dal Governo.
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