Una utile discussione, dati alla mano, sul livello dell’imposizione patrimoniale nel nostro Paese in rapporto a quello degli altri Paesi europei maggiori e sul punto se vi siano margini per aumentarlo, in via ordinaria o straordinaria – Correzione di una mia imprecisione
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Messaggio pervenuto il 3 dicembre 2018, in riferimento alla mia intervista a Italia Oggi del 28 novembre 2018 – Segue la mia risposta.
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Caro professor Ichino, ho letto con interesse la sua intervista su Italia Oggi dello scorso 28 novembre. In merito alla sua affermazione che “con la reintroduzione dell’IMU sulle seconde case, l’Italia è passata dall’essere tra i paesi UE con l’imposizione sui patrimoni più bassa, all’essere tra quelli con l’imposizione più alta”, osservo che, secondo i dati più recenti della Commissione europea riferiti al 2016 la tassazione sulla proprietà in Italia è solo leggermente più elevata di quella media dei paesi UE (2,7 contro 2,6, in percentuale rispetto al PIL); essa però è ancora nettamente inferiore a quella della Francia e del Regno Unito (rispettivamente 4,7 e 4,3 per cento).
Non le sembra che questo dato lasci un margine per un’aumento dell’imposta sui patrimoni che aiuti il Paese a uscire dalla crisi del debito pubblico che lo sta attanagliando?
Mi permetto, poi, di correggere un’imprecisione contenuta nella sua intervista: nel 2012 non è stata reintrodotta la tassazione sulle seconde case (che non era mai venuta meno), ma quella sull’abitazione principale (cui si è aggiunta una rivalutazione della base imponibile).
Con i più cordiali saluti,
M.V. (Roma)
LA MIA RISPOSTA
Ringrazio M.V. sia di quest’ultima utile rettifica (faccio ammenda per l’imprecisione), sia della interessante tabella comparativa in tema di imposizione sui patrimoni nei maggiori Paesi europei. In riferimento a quest’ultima, e all’idea di un giro di vite fiscale sui patrimoni degli italiani per risolvere la crisi del nostro debito pubblico, mi sembra che il discorso sulla patrimoniale ordinaria vada tenuto distinto da quello sull’ipotesi di una patrimoniale straordinaria.Vista l’importanza che questo tema sta assumendo nel dibattito congressuale del Pd, vale la pena di tornarci sopra dati alla mano.
Patrimoniale ordinaria – È vero che l’imposizione sui patrimoni in Italia è inferiore rispetto al Regno Unito; ma è vero anche, viceversa, che oltremanica l’imposizione sui redditi è molto inferiore rispetto all’Italia. Diverso è il discorso in riferimento alla Francia, che effettivamente è stato il Paese dell’UE con la pressione fiscale (sui patrimoni e complessiva) più alta: lo è stata però soltanto fino al 2016, cioè prima della presidenza Macron, uno dei cui primi atti è consistito nel ridurre drasticamente l’imposta patrimoniale. Questa che segue, comunque, è la graduatoria tra i cinque Paesi con la pressione fiscale complessiva più elevata (rapporto tra gettito fiscale complessivo e PIL) :
Francia 48%
Belgio 46,8%
Austria 44,3%
Svezia 44%
Italia 43,4%
Media UE 39,9%
Se parliamo di imposizione ordinaria, è a questo dato che dobbiamo fare riferimento. Dunque, la pressione fiscale italiana complessiva in rapporto al PIL, tra i Paesi UE, si colloca esattamente a metà strada tra quella massima (francese) e quella media. Poiché l’obiettivo che possiamo e dobbiamo proporci è quello dei “conti pubblici in ordine”, per proseguire nel processo di integrazione dell’Italia in Europa (affidando al Governo europeo il compito di una politica economica espansiva), dobbiamo chiederci se ai nostri conti pubblici giovi più un aumento della pressione fiscale complessiva, che avrebbe effetti recessivi, oppure una politica di contenimento del disavanzo nel bilancio previdenziale e di progressiva eliminazione degli sprechi nell’amministrazione pubblica. A me piace di più – perché mi sembra la più efficace in relazione all’obiettivo – questa seconda linea, che è quella tenuta dai Governi Letta, Renzi e Gentiloni nella legislatura passata. In questo ordine di idee, un aumento della nostra imposizione patrimoniale ordinaria, che si colloca già tra le più elevate nel panorama UE, non parrebbe costituire una opzione appropriata.
Patrimoniale straordinaria – Come dice la sua stessa denominazione, questa è una misura eccezionale, una tantum, cui il Governo ricorre in via di urgenza per far fronte a una situazione di crisi economico-finanziaria gravissima, che una variazione dell’imposizione ordinaria non basterebbe a risolvere. Adottarla equivale sostanzialmente a riconoscere una situazione di default (stato di insolvenza, cioè di incapacità di far fronte regolarmente ai propri debiti) dello Stato, il cui costo viene fatto gravare soltanto sugli italiani e non sulla generalità dei suoi creditori. Certo, è meglio questo che una uscita dell’Italia dal sistema dell’euro, la quale imporrebbe agli italiani perdite molto superiori, sia di patrimonio sia di reddito; ma – come ho detto nell’intervista citata – a me sembrerebbe opportuno che, prima di arrivare a questo, lo Stato imponesse una congrua “patrimoniale” a se stesso, per mezzo di un piano ventennale di dismissione dei molti beni immobili male o per nulla utilizzati dall’amministrazione centrale e da quelle periferiche (nell’intervista ne ho proposto alcuni esempi) e di un piano decennale di dismissione delle proprie partecipazioni azionarie in grandi imprese. Anche perché gli italiani stanno già pagando una “patrimoniale strisciante” molto pesante, sotto forma di svalutazione del loro patrimonio mobiliare e di riflesso anche immobiliare, in conseguenza della pessima politica degli annunci su debito pubblico e politica economica del Governo in carica. (p.i.)
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