Lo scopo delle nuove regole è chiaro: allargare il consenso nelle regioni nelle quali le scuole sono particolarmente generose di bei voti ai propri studenti, esentando queste ultime da un vaglio standardizzato
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Articolo di Andrea Ichino, professore di economia del lavoro nell’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, pubblicato sul Corriere della Sera del 28 novembre 2018 – In argomento v. anche, dello stesso autore, Scuola: un clamoroso passo indietro.
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L’esame di maturità cambia ancora, purtroppo sempre in peggio. È un esame che dovrebbe consentire di confrontare tra loro gli studenti indipendentemente dalla scuola frequentata e separatamente per ciascuna delle materie. Così accade all’estero ma non in Italia. E non accadrà con la nuova maturità dalla quale il governo gialloverde ha rimosso, anche solo come requisito per l’ammissione, ogni prova Invalsi.
Il motivo è chiaro: conquistare il supporto politico dei bacini d’utenza delle scuole italiane che, soprattutto al sud, regalano i voti ai loro studenti. Non si capisce come mai non protestino gli elettori della Lega nel Nordest, i cui figli hanno i migliori risultati del Paese nelle prove standardizzate Invalsi e Pisa, ma voti di maturità mediamente inferiori a quelli dei ragazzi di altre regioni.
La crescita, a cui il governo dice di essere interessato per risolvere il problema del debito, richiede anche una migliore allocazione del capitale umano tra i suoi diversi utilizzi. Un esame di maturità che non consenta di capire chi è veramente bravo e chi no in ciascuna materia non aiuta il Paese a crescere.
Servirebbe invece un esame che, indipendentemente dal curriculum classico, scientifico o tecnico frequentato al nord, al centro o al sud, assegni ad ogni studente un punteggio da 0 a 100 sulle sue competenze in matematica. Lo stesso per italiano, una lingua straniera e per ogni altra materia opzionale nella quale lo studente voglia dimostrare le sue capacità. Questo richiede che tutti gli studenti sostengano lo stesso esame, a seconda della materia, con domande a diverso contenuto di difficoltà. Quasi tutti risponderanno correttamente a quelle facili e solo alcuni a quelle difficili. Ma soprattutto è necessario che l’esame sia valutato con criteri uguali per tutti e non dagli insegnanti “interni”.
Un ulteriore vantaggio sarebbe di consentire alle università di usare questi risultati standardizzati per le ammissioni, invece di buttar via risorse per i test di ingresso. I corsi di laurea in matematica richiederebbero punteggi alti nelle materie scientifiche e meno alti in quelle umanistiche; viceversa i corsi dell’area umanistica.
Se poi vogliamo aggiungere domande sulla Costituzione, nessuna obiezione: avremmo finalmente una misura attendibile di quanto sia davvero conosciuta nel Paese.
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