UNO SGUARDO INTELLIGENTE SUL SECONDO NOVECENTO

“[…] suscitano ammirazione e invidia la ricchezza delle relazioni, delle parentele, dei rapporti civili con alcuni dei più nobili esponenti della cultura italiana del Novecento, da Piero Sraffa ai Sereni, ai Pontecorvo, ai Colorni […] le conversazioni con Ingrao e Trentin, dalle quali risulta una apertura al dubbio e all’autocritica che non traspariva […]”

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Recensione de
La casa nella pineta a cura di Walter Minella, pubblicata sul sito della Biblioteca Bonetta del Comune di Pavia – Le altre recensioni, commenti, interviste e lettere sullo stesso tema sono facilmente reperibili attraverso la pagina web dedicata al libro.
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Il libro di Pietro Ichino, ricco di dettagli coloriti e vivaci,  è scritto in uno stile  piano,  scorrevole e preciso. L’autore, per così dire, rovescia la prospettiva, e cioè ricostruisce non solo la sua storia, ma anche le storie dei nonni e dei genitori da giovani  dal suo punto di vista di uomo anziano di oggi. Ne risulta una sorta di testimonianza storica familiare di lungo periodo (da qui il sottotitolo del libro)  che può essere letta con profitto da qualunque lettore (e, in particolare, dai più giovani). Per chi, come me, ha esattamente la stessa età dell’autore (siamo nati nel 1949) e ha attraversato (o, forse meglio, è stato attraversato da) le stesse correnti culturali e di vita, in particolare il ’68, il libro ha un interesse particolare. Leggendo questa memoria autobiografica devo confessare che sono stato più volte preso da un sentimento duplice, insieme di ammirazione e di invidia.

Piero Sraffa

Alludo con questo non tanto all’agiatezza della famiglia d’origine, e in particolare alla bellissima casa in Versilia, da cui viene il titolo del libro: questo per me è un dettaglio, e neanche dei più importanti. No, la mia ammirazione e la mia invidia riguardano invece, anzitutto,  la ricchezza delle relazioni, delle parentele, dei rapporti civili con alcuni dei più nobili esponenti della cultura italiana del primo Novecento, da Piero Sraffa ai Sereni ai Pontecorvo ai Colorni. Il lettore noterà l’origine ebraica di queste famiglie di grandi intellettuali: infatti questi rapporti e queste parentele erano dovuti alla nonna dell’autore, Paola, di origine ebraica e convertita al cattolicesimo, che “coltivò poi la propria fede cristiana per tutta la vita con un’intensità tanto più straordinaria quanto più scevra da ogni fondamentalismo o bigottismo” (p.19). Molto vari, anche se meno interessanti, i rapporti sociali dei Pellizzi, la famiglia del nonno materno, che “costituivano il côté alto borghese integrato nell’élite culturale del tempo”. La nonna Paola a sua volta plasma il temperamento della figlia Francesca, la mamma di Ichino, di cui il figlio è giustamente orgoglioso, per il lavoro disinteressato e prezioso prestato per anni, come giudice onorario,  presso il Tribunale per i minorenni di Milano.  Accanto alla mamma, però, c’è il papà: l’autore è molto delicato nel tratteggiarne le vicende, dall’adolescenza brillante intellettualmente ma arida emotivamente alla prigionia in un Lager tedesco al fidanzamento e al felice matrimonio con Francesca, all’attività come avvocato, professionalmente affermato e insieme animato da una forte fede cristiana. In particolare sono toccanti le ultime pagine,  in cui il figlio ha il privilegio di accompagnare il declino e poi l’agonia del padre, di accoglierne le confidenze,   di manifestargli il suo amore.

Pio XII

Qui subentra l’altro aspetto  della mia ammirazione e della mia invidia: i genitori di Ichino erano cattolici che, già negli anni Cinquanta, avvertivano quanto di chiuso, di stantio, di polveroso e invecchiato male vi fosse nella Chiesa di Pio XII ed erano ammiratori, anzi amici di molti dei più aperti e avanzati esponenti del mondo cattolico italiano dell’epoca, da don Mazzolari a padre Turoldo, da don Zeno Saltini a don Milani (cui è dedicato un ritratto acuto e simpatetico, ma anche, con il senno di poi, consapevole di alcune unilateralità pauperiste del priore di Barbiana,  accentuate nei suoi alunni, come balza all’occhio leggendo i temi dei ragazzi di don Milani riprodotti in appendice al libro).  Grazie a questa cultura insieme cristiana e civile (o ‘borghese’) i genitori riescono a mantenere il dialogo con il figlio anche in un periodo, il ’68, in cui dialogare era difficile, o anche impossibile, se  si scontravano posizioni ereditate dal passato  e giovanili impuntature estremiste. Detto questo, la figura più affascinante incontrata dal giovane Ichino è, a mio parere, costituita da un uomo di Chiesa poco noto, all’infuori dei pochi che ebbero la fortuna di conoscerlo di persona: padre Acchiappati. Il titolo del paragrafo in cui viene presentato è Non nominare il nome di Dio invano, il comandamento biblico (che andrebbe sempre ricordato ai sostenitori dei cosiddetti ‘valori non negoziabili’). Ichino descrive molto bene la caratteristica ‘maieutica’ del suo amico prete, che vuol dire semplicemente la capacità di un uomo più anziano di aiutarti a vivere la tua vita  e a scegliere la tua strada. Io credo che questo riferimento a un cattolicesimo adulto e non integralista, mediato dalla famiglia, abbia fornito a Ichino l’ancoraggio, il riferimento alla terra, il polo dialettico concreto che poteva produrre energia se e in quanto collegato a quello utopico: in altri termini, gli abbia evitato di vagare tra le nuvole dell’estremismo, come la maggioranza dei ragazzi del ’68  tendeva a fare.

Mariio Capanna nel ’68

E infatti il giovane Ichino superò facilmente le suggestioni estremistiche che nel ’68 erano molto diffuse (gustoso il ritrattino dedicato a Mario Capanna,  il leader del movimento degli studenti a Milano). E compì quella che a mio parere, con il senno di poi,  può essere considerata la scelta più giusta: di collaborare con le strutture di base della Fiom (e poi del sindacato unitario dei metalmeccanici), facendo valere a favore degli operai le sue competenze tecnico-giuridiche. Sarà questa la strada che, in modo dapprima imprevisto, lo porterà in Parlamento come deputato del Pci (1979-1983), poi del Pd dal 2008 al 2013  e  infine come senatore nella lista Monti dal 2013 al 2018 (ma già dal  2015 era rientrato nel Pd). Ichino, in quanto riformista, venne avversato dai massimalisti all’interno della Cgil e del Pci-Pds-Ds (è interessante notare quanto ritornino nel presente tendenze storiche  del passato, come il massimalismo socialista dell’inizio del Novecento contrapposto al riformismo). Soprattutto, fu preso di mira dalle cosiddette ‘Nuove Brigate rosse’. Molto intense le pagine in cui l’autore  racconta come fu avvisato della gravità delle minacce (nel 2002 era già stato assassinato un collega e amico di Ichino, Marco Biagi) e la sua risposta-proposta ai terroristi, di un colloquio da persona a persona: proposta naturalmente rifiutata. E  molto interessanti i ritratti dei vecchi deputati operaisti di Torino come Emilio Pugno, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, o il resoconto delle conversazioni con Pietro Ingrao o Bruno Trentin, che si rivelano più aperti al dubbio e anche, nel caso di Ingrao,  all’autocritica di quanto non  trasparisse pubblicamente.

In sintesi,  Pietro Ichino stende in questo libro una sorta di bilancio parziale della propria vita – ma anche, più in generale, propone uno sguardo intelligente sul secondo Novecento italiano (con cospicui riferimenti, tramite le storie familiari, al primo Novecento).

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