L’esperienza della malattia che rende dipendente dagli altri per qualsiasi cosa induce a riflettere sul fatto che dipendenti dagli altri per ogni cosa, pur se in modo diverso, sono anche i sani
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Editoriale telegrafico, 9 settembre 2018
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La paralisi progressiva che ha colpito un mio stretto congiunto gli impone un’esperienza impegnativa: quella di dipendere da chi gli sta intorno per qualsiasi necessità della vita quotidiana. Si capisce che questa vicenda possa essere vissuta come una catastrofe, o quanto meno come una grave mortificazione personale; ma per capire e accettare di più, tutti, quanto ci accade, può aiutarci il considerare che la vicenda stessa non è altro, a ben vedere, che l’accentuarsi di una condizione comune a tutti. Tutto quello che siamo, abbiamo e facciamo dipende pressoché totalmente da chi ci circonda: anch’io non potrei scrivere queste righe se il tecnico informatico non avesse riparato ieri il mio pc e senza che qualcuno si prendesse cura continuativamente di far arrivare al pc l’energia elettrica necessaria per il suo funzionamento; non potrei mangiare, vestirmi, lavorare, curarmi, informarmi, comunicare, viaggiare, senza l’intrico di rapporti economico-sociali che mi garantisce di poter godere in ogni istante di una miriade di servizi assicurati da altri. Ogni euro del mio reddito ha un qualche valore soltanto perché sono in rapporto con qualcun altro della mia specie che può fare per me qualche cosa di utile. Anch’io – pur se in modo diverso – dipendo per qualsiasi cosa da chi mi sta intorno; senza chi mi sta intorno non potrei esistere. A ben vedere, è l'”autosufficienza” che non esiste. E chi ha la presunzione di vantarla, o di poterla perseguire, corre il rischio di perder di vista il senso stesso della vita umana.
p.s. Questo discorso non vale soltanto per gli individui, ma sempre di più anche per le nazioni.
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