Si torna ad azionare i “tabelloni rotanti” della legislazione del lavoro, per il gusto del cambiamento purchessia
.
Editoriale telegrafico pubblicato sul quotidiano Il Foglio il 4 luglio 2018 – In argomento v. anche La dignità del lavoro non dipende dall’inamovibilità .
.
Si riduce la durata massima dell’impiego a termine da 36 a 24 mesi; bene, purché non ci si attendano effetti vistosi: i casi in cui si superano i 12 mesi sono un’infima minoranza. Si reintroduce l’obbligo del giustificato motivo per le proroghe del contratto a termine: ottima cosa per gli avvocati giuslavoristi, cui viene restituito il ricco tasso di contenzioso giudiziale, molto superiore alla media europea, del quale erano stati privati dalle riforme del quadriennio 12-15. Poi si aumentano da 4 a 6 le mensilità dell’indennizzo in caso di licenziamento nei rapporti di lavoro stabili: e qui davvero è difficile capire la logica che muove il governo, perché questa misura costituisce un potente incentivo – questo sì efficace – per la scelta del contratto a termine rispetto al contratto stabile.
Nel § 14 del programma di governo Lega-M5S, sul lavoro, c’era una cosa giusta: investire sui servizi per l’impiego e farli funzionare bene. Conteneva un’implicita critica, fondatissima, nei confronti dei governi Renzi e Gentiloni, che questo non hanno saputo fare. Ma far funzionare i servizi per l’impiego è cosa molto più difficile che riscrivere due norme sulla Gazzetta Ufficiale. Occorrono la volontà e la capacità di ristrutturare una struttura pubblica renitente al cambiamento, un know-how tecnico specifico, e molto più tempo di quello che occorre per emanare un decreto-legge da dare subito in pasto all’opinione pubblica. Dunque, dell’unica cosa di cui ci sarebbe stato bisogno, almeno per ora non si fa nulla. Si torna invece ad azionare i “tabelloni rotanti” della legislazione del lavoro, per il gusto del cambiamento purchessia. Non rendendosi conto del fatto che questo cambiamento costituisce di per sé un costo aggiuntivo per le imprese, non corrispondente a un beneficio per i loro dipendenti. Al contrario: la volatilità della legislazione del lavoro costituisce di per sé un disincentivo a investire nel nostro Paese, con il conseguente effetto depressivo sulla domanda di lavoro e in definitiva sul potere contrattuale dei lavoratori.
.