I conti in tasca al prospettato taglio delle “pensioni d’oro” per aumentare le minime e qualche considerazione sui costi dei troppi annunci programmatici inconsulti del G0verno
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Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 481, 25 giugno 2018 – Sullo stesso tema v. anche il mio editoriale telegrafico del 7 novembre 2015
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Il neo-ministro del Lavoro Di Maio, assetato di giustizia sociale, propone il taglio della parte non guadagnata (cioè non corrispondente ai contributi versati) delle “pensioni d’oro” per aumentare le pensioni minime. Prima domanda: quale sarebbe, in concreto, il risultato di questa “operazione Robin Hood”?
Proviamo a rispondere noi. Secondo i calcoli più attendibili degli esperti, se per “pensioni d’oro” si intendono quelle superiori a 4000 euro al mese, al netto della perdita di gettito Irpef il risultato sarebbe di poco meno di un miliardo di euro annuo. Se distribuissimo questo miliardo ai 4,9 milioni di titolari di pensioni minime, essi riceverebbero un aumento di 17 euro al mese. Poca cosa davvero.
Oltretutto, quei 4,9 milioni di pensionati al minimo, chi più chi meno, sono tutti già “sovvenzionati dallo Stato”, cioè godono di una rendita superiore ai contributi versati, che costa al contribuente oltre venti miliardi l’anno. Donde la seconda domanda al neo-ministro: sono davvero questi i poveri più meritevoli di essere sostenuti? (La notizia dell’ultima ora, avuta da fonte interna al ministero molto attendibile, è che questa obiezione starebbe già inducendo il ministro a cambiare strada).
Lo stesso Governo cui il ministro Di Maio appartiene, peraltro, si propone di ridurre l’aliquota massima Irpef a una “flat-tax” del 20 per cento. Se si considera che l’aliquota massima oggi è al 43 per cento, la riduzione al 20 equivarrebbe mediamente, per le “pensioni d’oro”, a un regalo fiscale intorno ai 1500 euro mensili. Qui è d’obbligo la terza domanda al ministro: come la mettiamo con la sua sete di giustizia sociale?
Poiché la sola risposta a quest’ultima domanda è: “non preoccupatevi: tanto la flat-tax non si può fare”, a questo punto un’ultima considerazione si impone. Un grande problema della nostra economia è costituito dai 500 miliardi circa di denaro liquido che gli italiani tengono sotto la mattonella, per paura degli sconquassi annunciati e di quelli imprevisti. Basterebbe che un decimo di questi risparmi venisse rimesso in circolazione perché il P.I.L. nazionale crescesse di un paio di punti e lo Stato incassasse venti miliardi in più di tasse; ma per questo occorrerebbe l’esatto contrario di un continuo annuncio di sconquassi. Ecco dunque la quarta domanda al ministro: secondo lui, gli annunci inconsulti lanciati dal suo Governo, sul terreno fiscale come su quello pensionistico, aumentano o riducono la propensione degli italiani a spendere i loro risparmi?
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