SAVONA: QUAL È IL VERO SFREGIO ALLA DEMOCRAZIA

Se Mattarella avesse nominato all’Economia il maggiore teorico dell’uscita dell’Italia dall’euro, avrebbe dato al mondo un annuncio in questo senso, dalle conseguenze catastrofiche, senza che gli italiani abbiano minimamente discusso di questo nell’ultima campagna elettorale – Ora sul punto cruciale il Paese è chiamato a decidere davvero

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Editoriale, 29 maggio 2018 – In argomento v. anche il primo editoriale telegrafico del 28 maggio,
Il compito del Capo dello Stato, e il secondo, Quelli che gridano al complotto internazionale .
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1994: il presidente Scalfaro con il neo-premier Berlusconi (che accettò il veto su Previti alla Giustizia)

All’episodio del Presidente Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1994 respinse la designazione di Cesare Previti a Guardasigilli, si aggiunge ora quello di Sergio Mattarella che ha respinto la designazione di Paolo Savona all’Economia. Oggi come allora la polemica infuria. Vediamo di capire il motivo che ha indotto il Capo dello Stato a esercitare la prerogativa presidenziale che la Costituzione gli attribuisce.

Il professor Paolo Savona è, notoriamente, uno dei maggiori teorici dell’opportunità e anzi necessità che l’Italia esca dal sistema della moneta unica europea per tornare alla lira. Nominarlo ministro dell’Economia equivale dunque ad annunciare ai nostri partner europei e ai creditori dei nostri 2.300 miliardi di euro di debito pubblico che l’Italia si appresta a compiere quella scelta. Ora, dire ai nostri creditori che il loro credito di N euro, garantito dalla BCE, sarà trasformato in un credito di N lire, destinate a essere rapidamente e liberamente svalutate, equivale a dire loro: “l’Italia si riserva di non onorare regolarmente il proprio debito”: di fatto è come preannunciare il default della nostra finanza pubblica. Il solo fatto che di questa eventualità si sia parlato nei giorni scorsi ha bruscamente raddoppiato l’interesse che gli operatori finanziari chiedono per farci credito; la nomina di Savona avrebbe accelerato questo aumento dell’interesse sul nostro debito pubblico, riproducendo una situazione gravissima analoga a quella che si determinò nell’estate-autunno del 2011.

I pensionati si accalcano per ritirare i propri soldi da una banca nazionale greca il 1° luglio 2015

Anche per tutti coloro che hanno i propri risparmi depositati in banca l’annuncio che da un giorno all’altro gli euro potrebbero trasformeranno in lire destinate a svalutarsi rapidamente  (lo stesso Paolo Savona teorizza che la scelta dovrebbe essere attuata senza esitazioni e chiacchiere, in una notte) equivarrebbe a un invito a ritirare al più presto i propri euro dagli istituti di credito italiani. Con la conseguenza di una crisi bancaria senza precedenti. Ne sanno qualche cosa i greci, che pure nel giugno 2015 decisero di uscire dall’euro, salvo poi cambiare immediatamente idea appena si resero conto del baratro che si stava aprendo davanti a loro.

Un passo di enorme gravità come quello di dare al mondo questo annuncio sarebbe, cionondimeno, obbligato da parte del Presidente della Repubblica di fronte a una scelta in questo senso compiuta in modo esplicito dai partiti che si candidano a governare il Paese, confermata dal consenso maggioritario degli elettori. Senonché il leader del partito uscito dalle ultime elezioni politiche con la maggioranza relativa dei voti, Luigi Di Maio, non ha affatto indicato questa scelta nel proprio programma elettorale. Al contrario – evidentemente consapevole delle implicazioni gravissime dell’eventuale uscita dall’euro – in tutte le sedi nazionali e internazionali si è sempre presentato come garante della scelta opposta, ovvero della “continuità dell’impegno europeo dell’Italia”; e anche la Lega di Matteo Salvini, che è il partito oggi più fortemente “euroscettico”, si è ben guardata dal porre l’uscita dall’euro al centro della propria propaganda elettorale: non ne ha parlato proprio. Né di questo si è mai parlato tra M5S Lega e Quirinale, fino al giorno prima della rottura finale. Dunque Lega e M5S, chiedendo improvvisamente al Capo dello Stato di annunciare al mondo – con la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia – che l’Italia progetta di uscire dall’euro, con le conseguenze drammatiche che questo annuncio porterebbe con sé, sapevano di compiere una forzatura inaccettabile.  E il Capo dello Stato ha fatto benissimo a esercitare un potere che la Costituzione gli attribuisce per impedire che questo evento di portata drammatica si verificasse, poiché questo annuncio sarebbe stato dato senza alcun avallo e addirittura alcuna discussione da parte degli elettori: se non lo avesse fatto avrebbe abdicato a una propria funzione costituzionale fondamentale, mettendo il proprio sigillo su di uno sfregio al sistema democratico, in una decisione dalle conseguenze incalcolabili.

Ora, evidentemente, la questione “euro sì/no” costituirà il tema centrale della nuova campagna elettorale che si sta aprendo. A settembre sì, gli italiani saranno chiamati a discutere e decidere proprio sul punto se proseguire il cammino dell’integrazione dell’Italia in una nuova Europa unita oppure no. Se la loro scelta sarà sciaguratamente per il “no”, il Capo dello Stato non potrà che prenderne atto, anche nella nomina del nuovo ministro dell’Economia. Il rifiuto da lui opposto oggi alla pretesa che questa scelta si compisse senza un serio dibattito politico in proposito ha il merito di costringere tutti i partiti a mettere, come si suol dire, le carte in tavola. Ora, quanto meno, non sarà più lecito al M5S di presentarsi al tempo stesso come garante dell’integrazione dell’Italia in Europa con Di Maio e come promotore del referendum anti-euro con Grillo; e al Centro-destra non sarà più consentito di fingere una solida alleanza tra FI-sezione italiana del Partito Popolare Europeo e la Lega, diventata la punta di diamante del “sovranismo” tricolore. La Lega stessa dovrà presentarsi al proprio elettorato del Nord sostenendo esplicitamente la propria scelta: isolarsi dall’Europa.

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