Il capitolo sul welfare pensionistico del programma di governo M5S-Lega punta al ripristino di una grave iniquità intergenerazionale: il pensionamento precoce dei cinquanta-sessantenni di oggi a spese di figli e nipoti, sulle cui spalle già gravano oltre 2000 miliardi di debito accumulato per lo stesso motivo
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Intervista a cura di Benedetta Della Rovere, pubblicata dall’Agenzia di stampa La Presse il 18 maggio 2018 – In argomento v. anche Nuovo Governo: sul lavoro non si cambia (o quasi) .
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Professor Ichino, tecnicamente cosa comporta l’istituzione di quota 100 dal punto di vista dei lavoratori e per le casse dello Stato?
Comporta la possibilità di pensionamento, per esempio, con 40 anni di anzianità contributiva e 60 anni di età; oppure, rispettivamente, con 39 e 61, oppure 41 e 59. Che significa reintrodurre le pensioni di anzianità, svincolate da un requisito di età anagrafica, cioè un trattamento pensionistico che non esiste in alcun altro sistema di welfare pubblico in Europa. A meno che si introduca anche un minimo di età e/o di anzianità contributiva. In ogni caso questo cambiamento delle regole pensionistiche comporterebbe un notevole abbassamento dell’età media di pensionamento, che già oggi in Italia è tra le più basse d’Europa.
Secondo lei quanto è sostenibile l’ipotesi aggiuntiva di accedere alla pensione soltanto con 41 anni di contributi.
Ipotizziamo che una persona abbia incominciato a lavorare a 20 anni e, compresi i periodi di contribuzione figurativa per disoccupazione o Cassa integrazione, raggiunga i 41 anni di contribuzione a 61 anni. Questa persona in Italia ha oggi, a quell’età, mediamente una attesa di vita di altri 25 anni. Dunque, con 41 anni di contribuzione al 30 per cento essa matura il diritto a una pensione che deve durare per un periodo medio di 25 anni, salvo il caso di godimento ulteriore da parte del coniuge per reversibilità. È evidente che, se il sistema vuole restare in equilibrio, quella pensione sarà molto, molto bassa. A meno che non la integri lo Stato; ma questo significa finanziare il trattamento pensionistico aumentando il debito pubblico, più di quando non lo stiamo aumentando già ora.
Ritiene che la Fornero nel 2011 sia stata una buona riforma?
È stata una buona riforma innanzitutto perché ha evitato alla finanza pubblica italiana una bancarotta altrimenti certa. Poi perché ha interrotto un lungo periodo nel quale in Italia si sono usati i pensionamenti dei cinquantenni come strumento di politica del lavoro, in sostituzione del trattamento di disoccupazione. E lo si è fatto finanziandoli a debito: cioè mettendo il tutto in conto alle generazioni future.
A 7 anni di distanza la ritiene ancora efficace?
Il sistema che abbiamo messo in piedi nel 2011 ha rimesso il sistema pensionistico in equilibrio. Ma intendiamoci bene: esso può rimanere in equilibrio soltanto se si verificano due condizioni; che il reddito nazionale abbia un tasso normale di crescita, e che la forza-lavoro attiva nel tessuto produttivo non si riduca. Altrimenti, anche il sistema instaurato con la legge Fornero incomincerebbe a fare acqua.
Con il rapporto di primavera Aging Report 2018 la Commissione Ue ha sottolineato che il picco di spesa previdenziale sul Pil in Italia salirà al top nel 2040 e ipotizza la necessità di una manovra Fornero bis. Il superamento proposto da Lega e M5s potrebbe essere un modo per andare incontro all’Europa o si trasformerà nell’ennesimo terreno di scontro?
Semmai è il contrario. Il ritorno all’indietro proposto da Lega e M5S va in direzione opposta a quella che ci indica la Commissione UE, preoccupata per la riduzione tendenziale della nostra forza-lavoro: le proiezioni di Istat e Eurostat ci dicono che, se non cambia qualche cosa nel trend demografico, dagli attuali 39 milioni di italiani che lavorano entro il 2060 scenderemo a 30. Ciò che renderebbe insostenibili anche i parametri previsti dalla legge Fornero. Per questo dico che la proposta di M5S e Lega è una follia. E che tutti i giovani italiani dovrebbero ribellarsi contro questo attentato gravissimo al loro futuro.
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