Senza entusiasmi fuori luogo, ora si può prendere atto che la crescita occupazionale finalmente ha incominciato a coinvolgere anche le donne e i giovani
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N. 30 di Mercato del lavoro News, bollettino della Fondazione Anna Kuliscioff, 16 aprile 2018, a cura di Claudio Negro – In argomento v. anche il numero precedente dello stesso bollettino
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L’Osservatorio ISTAT che reca i dati sul mercato del lavoro relativi al mese di febbraio è stato commentato positivamente dalla stampa più seria, che ha dato giustamente risalto alla crescita dell’occupazione. A dire la verità non si tratta che della conferma di un trend di crescita abbastanza costante nell’ultimo anno. Nulla di eclatante dunque; però dai dati ISTAT emergono almeno tre questioni meritevoli di approfondimento.
La prima è quella dell’occupazione femminile: continua ad aumentare e il tasso di occupazione ha già superato un po’ di volte il massimo storico. E’ verosimile che si tratti della prosecuzione di un trend iniziato con la crisi, durante la quale il tasso di occupazione femminile ha resistito assai meglio di quello maschile sostenuto dall’intenso ricorso al part time: dal 2008 al 2017 la percentuale di part time sul totale dell’occupazione è aumentato di 4,8 punti quasi tutti attribuibili alla componente femminile, all’interno della quale il part time rappresenta il 33% dell’occupazione totale. L’aumento dell’occupazione femminile spinto dal part time pare ormai essere un dato acquisito, che peraltro avvicina il nostro mercato del lavoro a quello della maggior parte dei Paesi Europei dove il part time è uno degli strumenti più utilizzati per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Naturalmente questo apre una discussione circa il fatto che chi accede al lavoro con la modalità del part time è più facile che resti escluso dalle professionalità più alte e penalizzato nella carriera; generalmente si pensa che il fatto che le donne scelgano il part time sia una conseguenza della mancanza di servizi all’infanzia e alla famiglia; tuttavia nei paesi europei dove i servizi sociali sono più sviluppati la percentuale di donne che lavorano part time è perfino superiore a quella italiana: 80% in Olanda, 60% in Svizzera, tra il 40 e il 50% in Belgio, Austria e Norvegia. Occorre probabilmente ripensare il rapporto tra part time femminile, servizi alla famiglia, smart working.
Seconda questione che riserva qualche sorpresa è l’occupazione giovanile. Innanzitutto cresce negli ultimi 12 mesi sia il numero di occupati sia il tasso di occupazione: + 36.000 unità pari a una crescita percentuale del 3,6% nella classe di età 15-24 anni. Anche la variazione congiunturale è in attivo: il trimestre Dicembre 2017 – Febbraio 2018 rispetto al trimestre precedente fa segnare +23.000 occupati e +2,3% il tasso di occupazione. A conferma del trend positivo cala anche il numero dei disoccupati (-38.000) e il tasso di disoccupazione (-6,9%). Da notare che scende anche il numero degli inattivi (-22.000 e – 0,5%), il che indica che aumenta complessivamente la partecipazione di questa classe di età al mercato del lavoro.
Un risultato in controtendenza per la classe di età successiva (25-34 anni): sempre con riferimento agli ultimi 12 mesi cala il numero degli occupati (-52.000 e -1,3%); paradossalmente cade anche il numero dei disoccupati (-66.000 e -7,5%) per effetto dell’aumento degli inattivi (+44.000 e +2,5%). Un po’ più di chiarezza su questa fascia di età la otteniamo se mettiamo in luce due dati. Innanzitutto l’incidenza dei disoccupati (ricordiamo: sono coloro che cercano lavoro e non lo trovano, esclusi quindi gli inattivi) sulla popolazione della fascia: sono l’8,6% per la fascia 15-24 e il 12,2% per quella successiva, ma in entrambi i casi in calo negli ultimi 12 mesi (rispettivamente dello 0,6% e 0,8%). Il che testimonia di una crescita marginale ma reale dell’accesso al lavoro che riguarda ormai anche i giovani.
In secondo luogo la rilettura dei dati al netto dell’effetto demografico (tenendo cioè conto del fatto che decine di migliaia di persone passano dalle fasce di età più giovane a quelle più anziane, senza essere rimpiazzate in egual misura): la percentuale degli occupati rispetto alla popolazione della fascia d’età sale dello 0,5%, la disoccupazione scende del 6,6%.
In sostanza, senza entusiasmi fuori luogo, prendiamo atto che la crescita occupazionale ormai coinvolge anche i giovani.
Infine le assunzioni a tempo indeterminato; come previsto in relazione alla decontribuzione prevista dalla Legge di Stabilità per assunzioni di lavoratori under 35, hanno fatto un balzo in avanti: su 58.000 occupati in più nel mese di febbraio rispetto a Gennaio, ben 54.000 sono a tempo indeterminato. Alcuni commentatori hanno desunto, dall’analisi dei dati, che in realtà la gran parte dei nuovi tempi indeterminati appartenga alle fasce più anziane, che hanno un saldo occupazionale positivo rispetto a Gennaio, mentre le due fasce più giovani presentano un saldo negativo. Non ci pare un’analisi convincente, per eccessiva approssimazione del metodo. Spieghiamo: le fasce 35-49 e over 50 hanno un saldo di 37.000 occupati in più. Immaginando che siano tutti tempi indeterminati ne resterebbero 17.000 che sarebbero quelli assunti nelle fasce 15-24 e 25-34. Il calcolo però è un po’ semplicistico: non tiene conto, innanzitutto, delle trasformazioni di contratti a termine in tempi indeterminati, che ovviamente non risultano se si guarda il semplice saldo occupazionale (il lavoratore a termine trasformato a tempo indeterminato risultava occupato sia prima che dopo); d’altra parte era appunto quello della trasformazione dei contratti a termine uno degli effetti più attesi: parrebbe strano che abbia avuto esiti praticamente nulli; ma il dato delle trasformazioni, che potrebbe dirci quanto ha effettivamente pesato la decontribuzione nella crescita dei tempi indeterminati, non è ancora disponibile. La notizia che le aziende hanno ricominciato ad assumere a tempo indeterminato anche senza incentivi sarebbe ottimo: aspettiamo riscontri concreti prima di festeggiare.
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