ANCORA SUL M5S E LA SUA BATTAGLIA DI RETROGUARDIA SULL’ARTICOLO 18

Se si escludono i quattordici parlamentari di LeU, nessuna delle forze politiche cui il Partito di Di Maio si rivolge come potenziali alleate di governo sarebbe disponibile per questo ritorno al vecchio regime di job property, che non esiste in alcun altro Paese al mondo


Intervista a cura di Alessandra Ricciardi, pubblicata da
Italia Oggi il 10 aprile 2018  – In argomento v. anche Il non detto del M5S sul lavoro
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Quella annunciata dal ministro in pectore per il lavorodei 5stelle, Pasquale Tridico, per il ripristino dell’articolo 18 sarebbe una battaglia di retroguardia. Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del Pd nella passata legislatura, considerato il padre spirituale del Jobs Act, difende a spada tratta la riforma del governo Renzi; tornare indietro tra l’altro significherebbe “ridurre l’affidabilità del nostro Paese per gli investitori”.

Domanda. Professor Ichino, in questa fase dedicata alle consultazioni, Tridico ha rilanciato: «Stiamo pensando di reintrodurre l’articolo 18». Lei vede all’orizzonte una controriforma di un governo a guida M5s?

Luigi Di Maio e Pasquale Tridico

Risposta. Il professor Tridico ha già detto in altre occasioni di pensarla così; ma questa proposta non era contenuta nel programma elettorale del M5S. E non è mai stata enunciata dal leader del movimento Luigi Di Maio, il quale, al contrario, all’uscita dalla consultazione con il Capo dello Stato si è sentito in dovere di confermare la linea europeista dell’Italia. Sta di fatto comunque che, se si escludono i quattordici parlamentari di LeU, nessuna delle forze politiche cui il M5S si rivolge come potenziali alleate di governo sarebbe disponibile per questo ritorno al vecchio regime di job property, che non esiste in alcun altro Paese al mondo.

D. Secondo M5s la flessibilità non ha aiutato l’occupazione e nemmeno la produttività.
R. Se facciamo riferimento alle posizioni ufficiali del M5S, va detto che esso non ha mai messo nel proprio programma il ripristino dell’articolo 18. Anche perché su questo punto esso è molto diviso al proprio interno. Quanto al professor Tridico, che è un economista apprezzato e rigoroso, non penso che egli sarebbe disposto a sottoscrivere affermazioni come questa, che non hanno alcun fondamento scientifico.

D. Perché?
R. Allo stato delle nostre conoscenze attuali nessuno può dire seriamente quanta parte dell’aumento dell’occupazione, che pure c’è stato dal 2014 a oggi, sia imputabile alla riforma, e quanta parte alla tendenza congiunturale positiva.

D. Il ripristino dell’articolo 18 che effetti avrebbe?
R. La riforma del 2015 ha allineato il nostro diritto del lavoro e il nostro tasso di contenzioso giudiziario in materia di lavoro rispetto agli ordinamenti dei maggiori Paesi europei, eliminando uno dei vecchi ostacoli all’afflusso di investimenti esteri in Italia. Ripristinare l’articolo 18 anche per i nuovi assunti, come oggi propone il professor Tridico, avrebbe probabilmente l’effetto di ridurre l’affidabilità del nostro Paese per gli investitori; se così fosse si determinerebbe una frenata nell’aumento in atto della domanda di lavoro.

D. M5s ne fa anche una questione di tutela dei diritti.
R. Non c’è stata nessuna riduzione in termini di sicurezza dei lavoratori, in particolare il Jobs act non ha determinato un aumento significativo della probabilità di essere licenziati.

D. Anche nel Pd, penso alle proposte di Cesare Damiano alla Camera, c’è chi propone dei ritocchi al Jobs act, a partire dai licenziamenti.
R. Abbiamo già provveduto, con la legge di bilancio del dicembre scorso, ad aumentare fortemente il costo per le imprese dei licenziamenti collettivi: il relativo contributo obbligatorio all’Inps è stato quasi raddoppiato.

D. E per gli indennizzi? Una delle proposte in campo andava nel senso di renderli più pesanti.
R. Quanto agli indennizzi, il decreto n. 23/2015, pur avendo armonizzato la disciplina italiana dei licenziamenti rispetto a quella dei maggiori Paesi europei, prevede pur sempre degli indennizzi che si collocano ai livelli massimi se non al di sopra: basti pensare che l’indennizzo massimo previsto è di 24 mensilità, mentre in Germania è di 18 mensilità. Un aumento oggi ci farebbe fare dei passi indietro rispetto al processo di armonizzazione del nostro diritto del lavoro con quelli dei nostri partner maggiori.

D. La politica degli sgravi contributivi per i contratti a tutele crescenti del Jobs act non ha un po’ drogato il mercato del lavoro?
R. No. Ha avuto lo stesso effetto che ha il defibrillatore su un organismo infartuato: ha dato un potente impulso al nostro mercato del lavoro, bloccato da anni di crisi profonda, a rimettersi in moto. E lo ha fatto privilegiando i contratti a tempo indeterminato.

Matteo Renzi e Paolo Gentiloni

D. Una delle accuse che viene mossa da M5S al governo Renzi-Gentiloni è di non aver fatto interventi decisi per favorire la ripresa dell’economia, è da lì che nasce l’occupazione, non dalla maggiore flessibilità.
R. Non mi sembra un’accusa fondata: negli ultimi quattro anni, insieme all’allineamento del nostro diritto del lavoro rispetto ai migliori standard europei, è stata anche ridotta la pressione fiscale su imprese e lavoro, è stata incentivata fiscalmente in modo molto incisivo l’innovazione tecnologica e l’investimento su di essa, è stato ridotto significativamente il differenziale di costo dell’energia in Italia rispetto al resto d’Europa. Anche per questo il flusso degli investimenti diretti esteri, che si era ridotto allo 0,8 per cento del Pil, è cresciuto del 50% in questo stesso periodo.

D. È ancora basso rispetto alla media Ue, però.
R. Certo, ma il gap si è ridotto. Sarei felicissimo che un eventuale governo a guida M5S riuscisse a fare di meglio; ma per questo occorrerebbe che quel governo si mantenesse sul sentiero stretto di una riduzione della pressione fiscale compatibile con l’equilibrio di bilancio, e col rispetto degli impegni verso l’Unione europea: altrimenti i nostri creditori e gli investitori esteri torneranno a diffidare dell’Italia.

D. Sulla proposta di ripristinare l’articolo 18, alleanze si potrebbero trovare anche a sinistra, a partire da LeU.
R. A partire da LeU e finire con LeU. Al momento, tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, non ne vedo nessun’altra che si collochi su questa linea.

D. Comunque sulla proposta grillina c’è una saldatura importante con il mondo del lavoro rappresentato dalla Cgil, che ha presentato una proposta di legge per ripristinare l’articolo 18.
R. Se è per questo, la proposta della Cgil va molto più in là: prevede addirittura un rafforzamento dell’articolo 18 e una sua applicazione anche alle imprese al di sotto della soglia dei 15 dipendenti. Però l’unico partito che ha fatto propria quella proposta, cioè LeU, ha preso solo il 3,5 per cento dei voti.

D. Il Pd ha perso il voto degli operai. Il Jobs act è una delle cause?
R. No: il Jobs Act era già in cantiere in Parlamento quando il Pd ha preso il 40 per cento dei voti alle elezioni europee.

D. E allora cosa ha pagato il Pd per passare dal 40% a meno del 20%?
R. Vedo semmai, tra le cause della sconfitta elettorale del Pd, l’assenza di misure incisive per il sostegno alle famiglie e la promozione del lavoro femminile: due terzi dei nove milioni di astenuti sono donne. E poi i risultati scarsi o nulli ottenuti nella precedente legislatura sul piano dell’implementazione amministrativa delle riforme fatte, che in alcuni casi, come in quello dei servizi nel mercato del lavoro è stata pressoché totalmente paralizzata. In altri casi, come quello della scuola e delle amministrazioni pubbliche, è stata comunque gravemente difettosa.

Elsa Fornero e Susanna Camusso

D. Abolire la riforma Fornero delle pensioni è uno dei cavalli di battaglia della Lega. Quella legge ha pesato invece sull’esito del voto del 4 marzo?
R. In qualche misura probabilmente sì, anche se non aveva impedito il successo del Pd alle Europee del 2014. D’altra parte, prima di quella riforma l’età media del pensionamento degli italiani era poco sopra i 58 anni: cosa che era sostenibile soltanto al prezzo di una crescita del nostro debito pubblico di circa 30 miliardi di euro ogni anno. Chi vuole abrogare quella riforma dovrebbe spiegare perché sarebbe giusto tornare ad accollare 30 miliardi in più all’anno di debito ai nostri figli e nipoti, per tornare ad abbassare un’età media effettiva di pensionamento che resta tutt’oggi, anche dopo quella riforma, una delle più basse in Europa.

D. Le elezioni dei presidenti di Camera e Senato hanno fatto registrare l’alleanza centrodestra-M5S. Secondo lei alla fine sarà replicata anche per la formazione del governo?
R. Mi pare poco probabile: una alleanza di governo tra M5S e Forza Italia mi sembra, francamente, molto difficilmente ipotizzabile.

D. Il Pd, anche se le posizioni non sono unanimi, rivendica il suo essere opposizione. Che percorso intravede?
R. L’unica possibilità concreta di partecipazione del Pd a una maggioranza di governo è un impegno di tutti i partiti che vi partecipano a confermare l’impegno dell’Italia a essere protagonista del processo di integrazione europea, alla costruzione di una nuova Ue. Il che presuppone, ovviamente, il rispetto rigoroso degli impegni che l’Italia ha assunto nei confronti della stessa Unione. Se il Presidente della Repubblica riuscisse a compiere il miracolo di promuovere la convergenza di una maggioranza parlamentare su un rigoroso impegno programmatico di questo genere, credo che il Pd non si tirerebbe indietro.

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