CHE COSA C’È E COSA NO NEL CONTRATTO DEGLI INSEGNANTI

Il nuovo contratto degli insegnanti prevede un aumento salario medio di 85 euro al mese, che non basta a colmare il divario con i paesi europei – Ma quello che manca davvero è un sistema coerente di valutazione e formazione in servizio dei docenti

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Articolo di Tortuga, un gruppo di studenti universitari di Economia di diversi atenei milanesi, pubblicato su
lavoce.info il 13 febbraio 2018 – In argomento v. anche Nuovo contratto per la scuola: bene, però…    .
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TortugaDopo nove anni e diciannove giorni, insegnanti, professori universitari, personale tecnico e amministrativo e ricercatori hanno un nuovo contratto. Il testo è molto più lungo e articolato rispetto all’ultimo accordo, che risaliva al 2009, e le novità più importanti coinvolgono gli insegnanti della primaria e secondaria, una platea di circa 730 mila dipendenti.

I provvedimenti sono numerosi, da una maggiore flessibilità della mobilità degli insegnanti a una futura regolamentazione del codice etico e disciplinare. Mancano però almeno tre elementi, che avrebbero potuto rappresentare una vera novità.

L’aumento salariale è il nodo centrale della tornata negoziale. Si tratta di un incremento medio pari a circa 85 euro lordi al mese (3-5 per cento in più, a seconda della fascia), a cui si aggiungono all’incirca 450 euro di arretrati una tantum. Un aumento importante, per il quale il governo si è speso molto, arrivando a modificare le soglie del bonus 80 euro, che altrimenti avrebbero portato alla paradossale conseguenza dell’aumento in busta paga e della contemporanea riduzione del bonus.

La misura era necessaria se guardiamo al contesto internazionale: secondo i dati dell’Ocse gli insegnanti italiani, pur tenendo conto dell’aumento contrattuale medio, guadagnano il 18 per cento in meno rispetto ai colleghi stranieri nella primaria, il 14 alle medie e il 16 per cento nelle superiori.

Figura 1 – – Stipendio insegnanti secondaria di secondo grado, $PPP 2014 (Ocse)

tortuga

L’aumento pare dunque voler valorizzazione il corpo docenti, come auspicato da diversi anni da tutte le forze politiche. La strada per attrarre dietro le cattedre talenti e professionisti è tuttavia ancora lunga. Gli stipendi degli insegnanti non sfigurano solo nel confronto internazionale, ma anche se contestualizzati nel nostro paese. Aumento programmato incluso, i docenti guadagnano ancora circa un quinto in meno rispetto al reddito annuo lordo (Ral) di un lavoratore laureato nella fascia 25-34 anni. Se poi consideriamo l’inflazione (i prezzi al consumo sono cresciuti dell’11,45 per cento dal 2009), un aumento nominale medio di 85 euro vuol dire che, in termini reali, gli stipendi rimangono più bassi di quelli del 2009.

Valutazione: un’occasione mancata

L’adeguamento degli stipendi italiani alla media internazionale costerebbe alle casse dello stato circa 2 miliardi di euro. Un aumento di spesa considerevole, ma non irraggiungibile. Andrebbe tuttavia giustificato con una maggiore responsabilità richiesta agli insegnanti, ad esempio attraverso un sistema di valutazione integrato e legato alla progressione di carriera. Come già scritto su lavoce.info, carriere articolate e valorizzazione e riconoscimento delle competenze professionali facilitano un incremento stipendiale medio. Una carriera basata sul merito e non solo sull’anzianità, oggi unico criterio automatico, romperebbe lo schema tipico del nostro sistema scolastico: tanti insegnanti, poche ore riconosciute, basso stipendio.

La valutazione premiale introdotta con un fondo da 200 milioni dalla Buona scuola (legge n. 107/2015), in parte confermata dal rinnovo contrattuale, ma indebolita dall’introduzione del confronto sindacale, non raggiunge l’obiettivo perché la somma prevista è esigua, manca il legame con le carriere e c’è confusione sui criteri. La carriera dei docenti italiani rimarrà così una delle più brevi e meno articolate dell’area Ocse.

La formazione a metà

Il contratto prevede una formazione in servizio obbligatoria per gli insegnanti, ed è una novità. Il monte orario da dedicarvi andrà però concordato a livello di istituto con le rappresentanze sindacali. L’obiettivo del ministero è dare seguito al Piano nazionale per la formazione dei docenti, che ha indicato nelle competenze digitali, nelle lingue e nell’inclusione le tre priorità per l’aggiornamento in servizio degli insegnanti. Qui le criticità sono due: non è previsto un istituto di formazione degli insegnanti che possa offrire corsi e raccogliere le migliori esperienze; e non esiste una raccolta dei risultati già ottenuti sulla base della quale impostare il percorso di formazione di ciascun insegnante, come si potrebbe invece ottenere attraverso un sistema di valutazione.

Se si aggiunge il fatto che il monte orario e le risorse verranno definite con la contrattazione sindacale, c’è il rischio che l’autonomia scolastica – che si potrebbe concretizzare nell’acquisizione di nuove competenze da parte dei professori, attraverso la formazione in servizio – venga ulteriormente annacquata. Resta d’altra parte intatto il bonus di 500 euro assegnato ai professori per la formazione personale (e l’acquisto di strumenti tecnologici). In totale sono circa 380 milioni di euro che potrebbero essere investiti in un sistema di formazione strutturale, a cui la Buona scuola aveva assegnato solo il 10 per cento.

Come hanno fatto notare altri osservatori, il rinnovo contrattuale è un sostanziale passo indietro rispetto agli ambiziosi obiettivi della legge 107, ormai in buona parte svuotata nel processo di attuazione. Un altro esempio che si aggiunge alla lunga lista di riforme incompiute – come quella Berlinguer, altrettanto invisa al mondo della scuola. Speriamo sia di monito per la prossima legislatura: fatta la legge, serve attuarla.

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