IL DESTINO DEL PARTITO DEMOCRATICO DIPENDE IN GRAN PARTE DALLA SUA CAPACITA’ DI ACCOGLIERE DUE IMPORTANTI COMPONENTI DEL CENTROSINISTRA, QUALI I RADICALI E I SOCIALISTI, CONCILIANDOLE CON LA COMPONENTE CATTOLICA
Intervista a cura di Alessandro Da Rold, pubblicata su il Riformista – 25 agosto 2009
Come giudica l’articolo dell’ex premier Romano Prodi sul Messaggero dell’altro ieri?
La mia prima impressione è che sia troppo ingeneroso verso l’esperienza britannica del New Labour di Toni Blair: non è stata affatto una pura ripetizione di politiche thatcheriane.
Ma nel blairismo c’era un po’ di thatcherismo.
Certo, Blair ha saputo recepire alcune lezioni dall’esperienza thatcheriana. E ha fatto molto bene: ci ricordiamo che cos’era il Labour negli anni ’70? Ma ha sempre avuto ben presente il principio rawlsiano, che connota una forza politica di sinistra rispetto a una di destra: il grado di civiltà del Paese si misura da come stanno gli ultimi.
Secondo il professor Nicola Rossi, da questo intervento di Prodi si evince come la sinistra italiana abbia “una cultura impermeabile” ai principi liberali. Concorda?
Proprio impermeabile, no. Certo, anche nel Pd è dura a morire l’antica diffidenza della sinistra nei confronti dell’autonomia individuale, l’idea che la “persona” si realizza soltanto nel sociale, nel collettivo.
Lei stesso ha vissuto in prima persona questa avversione ai principi liberali di una certa sinistra, in particolare in ambito economico, nello specifico nelle riforme riguardanti il diritto del lavoro.
Sì. Ma non so quanto questa avversione, in Italia, possa considerarsi davvero una peculiarità della sinistra. La legge sul testamento biologico varata dal centrodestra al Senato nella primavera scorsa è quanto di più illiberale si possa concepire. Il difetto di liberalismo del centrodestra, poi, è molto evidente anche nella materia del lavoro.
In che senso?
Sulla liberalizzazione delle professioni e dei mestieri, è la destra che sta tornando indietro. Se si guarda bene, neppure nel campo del lavoro subordinato il centrodestra brilla per liberalismo. Le sembra liberale un Governo che pretende di dettare a sindacati e imprese il contenuto della contrattazione collettiva? Del resto, il basso tasso di liberalismo comune a centrodestra e centrosinistra si vede anche dal modo in cui sono scritte le nostre leggi.
Spieghi meglio.
Quanto più diffidiamo dell’autonomia individuale, tanto più pretendiamo di “legificare” ogni aspetto dei rapporti tra le persone, fin nei minimi dettagli. Ora, le leggi italiane in materia di lavoro da questo punto di vista sono un po’ mostruose. Tutte: anche quelle scritte dal centro-destra.
Per esempio?
Sul part-time il centrosinistra nel 2000 ha emanato una legge complicata e onnipervasiva. Nel 2003 il centrodestra è intervenuto sulla stessa materia con un testo legislativo altrettanto complicato e voluminoso: quasi duemila parole. Lo stesso ha fatto, il centrodestra, in materia di apprendistato, di contratto a termine, di lavoro intermittente, e in tante altre. Su ciascuna di queste materie basterebbero tre o quattro commi: un ventesimo del “volume normativo” attuale.
Come se ne esce?
Sto lavorando a un progetto di drastica semplificazione della disciplina del rapporto di lavoro. Per renderla al tempo stesso più facilmente conoscibile e suscettibile di applicarsi davvero a tutti i rapporti di lavoro, ma anche meno intrusiva: l’intero “codice del lavoro” in 47 articoli. Questo progetto incontrerà una forte opposizione da parte di tanti apparati, che vivono della complicazione e della “giuridificazione” spinta dei rapporti di lavoro. Incontrerò resistenze a sinistra e nei sindacati, certo; ma mi aspetto di incontrarne altrettante nel centro-destra. Del resto, per il progetto “flexsecurity” che ho presentato nel marzo scorso, ho trovato più interlocutori a sinistra e nel sindacato che nel centrodestra.
Prodi parla di una difficoltà da parte della sinistra italiana a comprendere le innovazioni e lo sviluppo che hanno interessato l’economia negli ultimi anni.
Nel suo articolo Prodi denuncia questa difficoltà, dice che occorre uscirne, ma non mi sembra che indichi la via d’uscita. Blair non solo ha saputo indicare la via d’uscita, ma ha anche saputo prendere per mano il Labour Party per fargli percorrere quella via fino in fondo.
In Italia sono stati commessi degli errori da parte di coloro che ci hanno creduto, prima nell’Ulivo, poi nel Pd?
Direi, piuttosto, che in questa fase di profondo rimescolamento delle carte, sul piano ideologico e su quello politico, il centrosinistra italiano non ha ancora trovato un suo Tony Blair. Di buone idee ne abbiamo tante; e anche di elaborazioni sul come quelle idee potrebbero essere messe in pratica; non ci mancano i think tanks. Ma in politica le idee non bastano: occorre anche chi le sa incarnare, condurre a sintesi e comunicare efficacemente; chi sa diventarne un simbolo vivente, come Barak Obama.
Pensa che dal congresso del Partito Democratico possa emergere la leadership necessaria che è mancata fin qui?
Occorre sperarlo, e comunque lavorare per questo: non vedo all’orizzonte alternative credibili al disegno fondamentale del Pd. Certo, quel disegno è ancora molto incompleto. Basti pensare all’incapacità attuale del Pd di accogliere credibilmente due componenti importanti del riformismo di centrosinistra, come i radicali e i socialisti.