Gli indicatori di stock e di flusso relativi all’andamento del mercato del lavoro nell’ultimo mese dell’anno passato scontano la forte decontribuzione strutturale prevista dalla legge di bilancio per il nuovo anno
.
Scheda tecnica a cura di Claudio Negro, pubblicata nel n. 27 di Mercato del Lavoro News, organo della Fondazione Kuliscioff, 6 febbraio 2018 – In argomento v. anche il numero precedente dello stesso notiziario
.
.
Prima di entrare nel merito è opportuno ricordare che il tasso di occupazione e quello di disoccupazione possono salire o scendere contemporaneamente anziché essere l’uno inverso dell’altro a causa del tasso di inattività, il quale può influenzare il tasso di disoccupazione.
Veniamo al merito; innanzitutto una opportuna precisazione: i dati negativi che vengono citati si riferiscono unicamente al confronto tra dicembre e novembre 2017, perché tutti gli altri raffronti (numero di occupati, tasso di occupazione, tasso di inattività) sono positivi, sia rispetto al terzo trimestre 2017, che al quarto trimestre 2016, che al 2017 totale rispetto al 2016. Il fatto che dopo molti mesi vi sia un calo congiunturale degli indicatori può aver sollecitato l’interesse politico dei commentatori ad entrare nel dibattito elettorale. Ma le ragioni per cui gli indicatori di dicembre calano rispetto a quelli di novembre sono precise ed individuabili, come anche segnalato dal bell’articolo di Lorenzo Salvia sul Corriere del 1 Febbraio.
Per prima cosa va chiarito che è un falso, dovuto a sciatteria o a incapacità di leggere le tabelle, che a dicembre diminuiscano i lavoratori permanenti e aumentino quelli a termine: i primi diminuiscono dello 0,2%, i secondi dell’1,2% (sempre rispetto a novembre). Si può per questo sostenere la situazione è ancora peggiore, che non ci sia neppure più il lavoro precario e che la disoccupazione sia senza limiti? Non è così, i dati di dicembre, come sempre da un po’ di anni, vanno letti e capiti alla luce delle peculiarità di questo mese rispetto al mercato del lavoro. In generale le imprese hanno atteso per assumere a tempo indeterminato quando, a partire da gennaio, sono entrati in vigore gli sgravi previsti dalla Legge di Bilasncio 2018. Per cui a dicembre (ma anche nei mesi immediatamente precedenti, per la verità) il turn over dei dipendenti a tempo indeterminato è stato congelato. Lo stesso discorso vale per le trasformazioni a tempo indeterminato dei lavoratori a termine: chi terminava a dicembre potrebbe essere assunto (sempre che l’azienda avesse avuto in mente di trasformare il suo contratto) da gennaio in poi.
Del resto tutti gli altri indicatori economici continuano a crescere, a conferma che questa momentanea flessione dell’occupazione non è strutturale.
È opportuno osservare che se si riferiscono gli indicatori alle varie fasce di età, al netto della variazione demografica che gonfia la consistenza delle classi più anziane e prosciuga quelle più giovani, i risultati negativi si concentrano sulla fascia di età 35-49 anni, con un calo dello 0,2% del tasso di occupazione (mentre aumenta di 1,1% nella fascia 15-34 e di 1,8% in quella 50-64) e un aumento del tasso di inattività del 3,5% (contro 1,8% della fascia più giovane e un calo del 2,9% della fascia più anziana). Difficile individuarne le ragioni: un numero rilevante di giovani inattivi (NEET) passati alla fascia di età superiore, portandosi dietro un atteggiamento ormai “scoraggiato”?
Va segnalato anche un modesto ma comunque rilevabile successo di Garanzia Giovani (66.450 avviati al lavoro a Giugno 2017, dati ANPAL) che anche in virtù dell’esiguità numerica della fascia di età fino ai 29 anni può bastare a far lievitare la statistica di qualche punto. Un evento statisticamente casuale, destinato ad essere smentito alla prossima rilevazione? Lo vedremo. Abbiamo però la sensazione che se perfino uno strumento imperfetto come Garanzia Giovani ha dato una spinta all’occupazione della fascia più sfavorita, quella giovanile, sia una priorità allargare le politiche attive per l’occupazione a tutto il mercato del lavoro. Obiettivo dal quale, anche per effetto dell’avvio stentato delle misure previste in questo campo dal Jobs Act, siamo ancora assai lontani.
.