Il nuovo apparecchio brevettato da Amazon di per sé non comporta alcuna forma di controllo a distanza del lavoratore – Ciò che va verificato in concreto e rivendicato è la compatibilità con il benessere psico-fisico di chi lo usa; e la spartizione equa del guadagno di produttività
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Articolo pubblicato sul sito lavoce.info il 6 febbraio 2018 – In argomento v. anche la mia intervista al Corriere Fiorentino del 4 febbraio, Amazon, il Jobs Act e le polemiche che girano a vuoto .
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A cosa serve il braccialetto?
Immaginiamo che la notizia dell’apparecchio brevettato da Amazon fosse stata data senza dire che va portato al polso come un bracciale. Per esempio così: “ideato per facilitare il lavoro del magazziniere, rende molto più agevole il reperimento del plico da prelevare dagli scaffali, pur lasciandogli le mani libere, e lo avverte con un segnale in caso di errore”. La novità sarebbe stata catalogata senza clamore fra le tante diavolerie che il progresso tecnologico mette via via a disposizione di imprese e lavoratori per aumentare la produttività e ridurre la fatica. Qualcuno forse si sarebbe spinto a prevedere anche una sua possibile utilizzazione in azienda e fuori per le persone non vedenti; qualcun altro a evidenziare il vero rischio: che apra la strada alla sostituzione del magazziniere con un robot. Ma non sarebbero stati paventati rischi per la dignità e libertà della persona.
Il solo fatto che l’apparecchio sia in forma di bracciale, con il conseguente richiamo di quello usato per fini di polizia giudiziaria, è bastato perché la reazione quasi unanime sia stata invece di rifiuto netto e inappellabile del nuovo strumento. Si è, cioè, subito pensato che il brevetto ottenuto da Amazon riguardasse un modo di trasmettere alla centrale aziendale in tempo reale dati concernenti quantità e qualità del lavoro. Non è così: il brevetto ha per oggetto un apparecchio che non serve a questo. Poiché però “potrebbe anche essere usato a questo scopo”, l’occasione viene utilizzata per denunciare l’“abbassamento della guardia del diritto del lavoro” contro le nuove forme di sfruttamento e in particolare le nuove forme di controllo dell’impresa sul lavoratore.
Dallo Statuto dei lavoratori al Jobs act
Questo abbassamento della guardia c’è davvero? L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori all’origine (1970) vietava l’installazione di apparecchiature finalizzate al controllo a distanza della prestazione di lavoro. Nei casi in cui l’installazione fosse necessaria per fini legittimi, diversi dal controllo a distanza della prestazione, la norma imponeva che venisse preventivamente contrattata con le rappresentanze sindacali, oppure autorizzata dall’Ispettorato. Nel contesto in cui venne emanata, la norma si riferiva essenzialmente ai microfoni e agli impianti televisivi a circuito chiuso; applicata oggi, avrebbe l’effetto di obbligare l’impresa a contrattare preventivamente l’uso di qualsiasi computer, cellulare, gps, perché ciascuno di questi strumenti ha in sé la potenzialità di un uso per il controllo a distanza del lavoro. Senonché imporre il vincolo sarebbe palesemente assurdo: tant’è vero che nessun sindacato, finché la norma è rimasta in vigore nella sua formulazione originaria, ne ha mai preteso l’applicazione per pc, cellulari, o gps.
La modifica della norma del 1970 recata dal Jobs act (decreto legislativo n. 151/2015) consiste nell’aver limitato l’obbligo della contrattazione preventiva ai soli apparecchi installati con finalità di controllo a distanza, escludendolo per gli strumenti ordinari di lavoro, anche quando consentano un qualche controllo a distanza.
La nuova norma tuttavia introduce l’obbligo a carico dell’impresa di comunicare preventivamente al lavoratore il fatto che informazioni derivanti dall’uso di quegli strumenti vengano in qualsiasi modo utilizzate. Dunque, in tutti i casi – ormai divenuti frequentissimi, nell’era dell’“Internet delle cose” – in cui da un qualsiasi strumento di lavoro provenga un’informazione utilizzabile per un controllo a distanza, la norma vieta all’impresa di utilizzarla senza comunicarlo preventivamente al lavoratore interessato. E la violazione della disposizione è sanzionata penalmente.
Se ne può concludere che il “bracciale” brevettato da Amazon, non comportando di per sé alcuna forma di controllo a distanza, sarebbe stato consentito sia dal vecchio articolo 4, sia dal nuovo. Se invece nello stesso bracciale venisse inserito un dispositivo aggiuntivo, destinato a trasmettere a una centrale aziendale notizie su quantità o qualità del lavoro, questo sarebbe stato vietato sia nel vecchio, sia nel nuovo regime.
Altro discorso è quello circa la compatibilità del nuovo strumento con il benessere psico-fisico del lavoratore, che è materia del decreto legislativo n. 81 del 2008. L’articolo 15 del decreto vieta qualsiasi forma di organizzazione del lavoro cha abbia carattere costrittivo e impone di ridurre al minimo i possibili “effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo”.
Così stando le cose sul piano legislativo, una risposta un po’ più meditata di lavoratori e sindacato alla notizia dell’invenzione brevettata da Amazon potrebbe consistere, per un verso, nel controllare che il nuovo strumento, se e quando verrà effettivamente introdotto in azienda, utilizzi le forme di segnalazione (sonora, visiva o tattile) più compatibili con il benessere psico-fisico di chi li usa, possibilmente consentendogliene la scelta; e che non contenga dispositivi capaci di trasmettere a una centrale dati relativi a quantità o qualità della performance individuale.
Per altro verso, la risposta potrebbe consistere nel rivendicare che i frutti del guadagno di produttività conseguito per mezzo di esso siano spartiti equamente fra l’impresa e i lavoratori. Per i quali ne deriverebbe così soltanto minore fatica e maggior reddito.
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