I LIVELLI RETRIBUTIVI DEVONO POTER VARIARE IN RELAZIONE AL COSTO DELLA VITA E, SOPRATTUTTO, DELLA PRODUTTIVITA’. MA E’ COMPITO DELLA CONTRATTAZIONE DECENTRATA COMPIERE GLI AGGIUSTAMENTI NECESSARI
Intervista a cura di Eugenio Occorsio, pubblicata su Repubblica il 5 agosto 2009
ROMA – “Se Calderoli intende dire che si deve adottare un provvedimento autoritativo, legislativo o regolamentare, a livello nazionale per differenziare le retribuzioni, mi sento di dire che questa sarebbe una sciocchezza”. Pietro Ichino, ordinario di diritto del Lavoro alla Statale di Milano, senatore del Pd, studia da una vita le relazioni industriali cercando soluzioni alle strozzature e storture, ma le gabbie salariali gli sembrano proprio la via sbagliata.
Però, professore, che ci sia una differenza di costo della vita è sotto gli occhi di tutti, anche se Micciché dice che un maglione Benetton costa lo stesso da nord a sud. Non le sembra abbastanza da giustificare un provvedimento?
“Che gli standard retributivi siano determinati in base al potere d’acquisto effettivo della moneta, che è diverso da regione a regione, dovrebbe essere una cosa abbastanza ovvia. Ma una scelta di questo genere non può essere imposta per legge: si rischierebbe perfino una censura di incostituzionalità. A mio avviso poi la contrattazione collettiva non dovrebbe compiere questa scelta imponendola a livello nazionale: logica vorrebbe che, fissati alcuni punti fermi a livello centrale, si lasciassero spazi adeguati di negoziazione collettiva ai livelli regionale e aziendale”.
Ma la Lega insiste che di fatto questo non si fa, le differenze rimangono. Come fare allora per tenerne conto?
“Come dicevo, si può procedere per via negoziale. Non però tornando al sistema nato oltre sessant’anni fa e cancellato nella stagione 1968-69. La contrattazione collettiva, in quel ventennio, prevedeva la determinazione a livello centrale delle retribuzioni secondo 14 parametri zonali, appunto le gabbie”.
Il contenuto discriminatorio era evidente. Ma visto il perdurare delle sperequazioni, cosa fare in pratica?
“Ora quello di cui si deve parlare è liberare la contrattazione collettiva, non, appunto, ingabbiarla. Esiste già la possibilità che il sindacato scelga liberamente il livello della contrattazione, nazionale, regionale o aziendale, e i suoi contenuti. Deve dunque essere il sindacato a farsi carico delle differenze del costo della vita. La differenziazione dei livelli salariali è già sperimentata in diversi settori: edilizia, agricoltura, artigianato. Nulla vieta che questo accada anche in altri comparti”.
Ma anche lasciando al sindacato questa responsabilità, come potrà avvenire?
“Le migliori esperienze disponibili nel panorama internazionale, per esempio quella tedesca, consiglierebbero che la determinazione delle retribuzioni minime avvenisse mediante contratti collettivi stipulati per macro-regioni, i cui confini possono essere liberamente definiti dalla stessa contrattazione collettiva”.