GLI INSEGNANTI CHE NON INSEGNANO E LA SCUOLA INCAPACE DI DISFARSENE

L’incapacità della scuola di espellere i professori ignoranti o disonesti – Una antologia di casi di paralisi del potere disciplinare dell’Amministrazione scolastica nei confronti di insegnanti gravemente (e talora anche criminosamente) inadempienti

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Il documento che segue è frutto di un seminario svoltosi presso l’Istituto Saffi di Firenze nell’aprile 2017, con la partecipazione dei dirigenti scolastici Gianni Camici, Francesca Lascialfari e Valerio Vagnoli, oltre agli altri membri del
Gruppo di Firenze per la Scuola del Merito e della ResponsabilitàIn argomento v. anche Licenziamenti nella p.a.: un errore che può ancora essere evitato; inoltre i miei articoli pubblicati dieci anni or sono sul Corriere della Sera, rispettivamente dell’ottobre 2006 e del luglio 2007 Un taglio che farebbe bene alla scuola pubblica e Quando il cittadino chiede il conto      ..

DEMERITO E POTERI DISCIPLINARI DEI DIRIGENTI

Elementi di analisi sui poteri disciplinari dei dirigenti scolastici

I dirigenti utilizzano pochissimo il potere disciplinare, sicché, essendo i casi rari, vengono considerate eccezioni ed è facile additare come troppo severi quei pochi che prendono provvedimenti. I quali devono spesso constatare che anche docenti responsabili di comportamenti gravi e ripetuti non hanno nel fascicolo neppure un richiamo da parte dei presidi precedenti.

Altan sulla scuolaQuali i motivi di questo scarso utilizzo di strumenti che dovrebbero tutelare gli studenti, le loro famiglie e la collettività, oltre a riconoscere implicitamente il merito di chi si comporta correttamente? Non si tratta soltanto dell’italico quieto vivere, che pure c’è. Al di là delle ragioni soggettive e culturali, che valgono senz’altro per le sanzioni più lievi, le cause principali sembrano essere due:

  1. l’oggettiva difficoltà di ottenere un risultato, con il grande dispendio di energie che viene richiesto a un dirigente, lasciato spesso solo a inventarsi avvocato e a compilare relazioni,memorie, eccetera;
  2. l’assenza di sanzioni per i dirigenti che non sanzionano.

Per quanto riguarda il punto 1, la difficoltà dipende da diversi fattori:

  1. La totale mancanza di sostegno da parte degli uffici scolastici regionali e provinciali, che anzi spesso diminuiscono le sanzioni proposte dai dirigenti. Nel caso che si prospetti il licenziamento, entra anche in gioco il “lato umano”. Con buona pace dei ragazzi danneggiati.
  2. In molti casi non c’è l’assunzione di responsabilità o almeno la collaborazione da parte dell’Avvocatura dello Stato, con la conseguente solitudine del dirigente. L’avvocatura dello Stato chiede un “rapporto” (la memoria) ai dirigenti, ma in genere non la leggono nemmeno, non danno nemmeno un consiglio. Il dirigente si ritrova da solo contro un avvocato professionista. È un’autostrada per il demerito. Bisogna richiamare l’Avvocatura dello Stato a sostenere le scuole, se necessario rafforzandone l’organico.
  3. la cultura giuridica dei giudici del lavoro, molti dei quali tendono a “proteggere” i docenti (si veda per analogia la prima parte del libro di Piero Ichino Il lavoro ritrovato). Anche i principi di gradualità e di proporzionalità sono soggetti a interpretazioni diverse da un giudice all’altro: si dice che la procedura è corretta, ma la sanzione è sproporzionata o non è stato rispettato il principio di gradualità. In un modo o in un altro, le procedure si incagliano. Ricorsi, avvocati, errori formali veri o presunti, infiniti rinvii. Si osserva che, per quanto riguarda i casi gravi, se si è troppo graduali non c’è proporzionalità… È vero che ci sono delle tabelle relative alle sanzioni, ma spesso non vengono applicate.

Tutto questo crea comprensibilmente la sindrome del “chi me lo fa fare”, salvo che nei dirigenti più rigorosi, più capaci e più in grado di sopportare lo stress e il lavoro straordinario che tutto questo richiede.

In questa situazione, anche alcuni (dei pochi) ispettori tendono a scoraggiare le iniziative sanzionatorie. Un esempio di formalismo nell’affrontare il demerito riguarda un docente sospeso per un mese dall’ispettore: pericoloso, minaccia o molesta le studentesse, non conosce la materia, insomma un caso pesante con un ampio dossier. L’anno scorso va in un altro istituto ed entra di ruolo. La preside non gli fa superare l’anno di prova. Quest’anno è in un’altra scuola a ripetere l’anno di prova. Vengono gli ispettori, prendono in mano le carte e tartassano la preside della scuola precedente perché ha usato nella relazione un termine che non doveva usare e quindi come fanno a non fargli passare l’anno di prova? Tanto quello va dal giudice e quello gli dà ragione. Ma negli atti amministrativi è il senso che deve essere molto chiaro. Se c’è un’espressione in una riga e sotto una un po’ diversa non dovrebbe rilevare (oltre a tutto su questa espressione ci sono anche pareri opposti). Com’è possibile che a uno che ha un simile dossier si regali, per dei formalismi, l’ingresso nella scuola, a scapito degli studenti che se lo ritroveranno in classe?

Un altro caso di formalismo riguarda una direttrice dei servizi generali e amministrativi (DSGA), responsabile di abuso di atti d’ufficio gravi, ripetuti in più scuole. Viene licenziata a maggio dalla dirigente. A dicembre viene dato alla scuola un posto di assistente amministrativo. L’ Usr dice le mandiamo la tale, quella licenziata. Spiegazione: “Siccome abbiamo fatto un errorino, se lei va dal giudice la reintegra come Sga e ci sono da pagare anche i danni. Allora andiamo in conciliazione. Le facciamo accettare di essere amministrativa a vita e quindi gliela diamo a lei. Questi mesi li facciamo passare come aspettativa senza assegni”.

Per quanto riguarda il secondo punto, cioè l’assenza di sanzioni nei confronti dei dirigenti che non prendono gli opportuni provvedimenti quando ci sono docenti inadeguati, è del tutto evidente la necessità di provvedere in questo senso. Contemporaneamente, però, è doveroso fare in modo che un provvedimento disciplinare non diventi una via crucis per chi lo avvia. I problemi nascono per i casi gravi… La strada della commissione medica è la più facile, ma bisogna che uno abbia problemi psichici. Nei casi conclamati si ottiene l’inidoneità. Peraltro la sospensione cautelare in attesa di visita medica va convalidata dall’Usr. Molto più dura la via disciplinare. Al massimo 10 gg. Poi la cosa passa agli uffici superiori e spesso danno meno. Se si prospetta il licenziamento, entra in gioco il lato umano (“Poi questo cosa va a fare?”).

Un altro fattore di impunità, oltre a quello dei dirigenti che, per quieto vivere o altro, non fanno mai il minimo provvedimento disciplinare, è il silenzio dei colleghi – la quasi totalità – di chi si comporta male. A questo proposito uno dei dirigenti cita un altro episodio. C’è l’esposto alla procura della Repubblica dei genitori di un’allieva per i comportamenti fuori luogo, soprattutto durante i laboratori, di un docente – preparato sul piano professionale – che offende pesantemente i ragazzi, bestemmia, crea un clima di tensione inaccettabile. Il preside chiede ai ragazzi, parlando loro da solo in classe, di riferirgli se ci sono dei problemi con qualche insegnante. I ragazzi vanno successivamente da lui e riferiscono le offese gravi dell’insegnante, che in ben due occasioni per punizione ha fatto saltare il pranzo alla classe, lasciandola digiuna tutto il giorno con conseguente prostrazione anche fisica. Il preside chiede una relazione scritta, che conferma gravi offese, intimidazioni, epiteti, scurrilità, tensioni, ricatti, punizioni eccessive. Esempi del suo linguaggio: “Capre, teste di cazzo, imbecilli, branco di rincoglioniti, porcoddio, madonna puttana, dio cane…” Ci sono anche due episodi di violenza, ben circostanziati, che hanno indotto il preside a segnalare il caso alla Procura. Un allievo preso per il collo e offeso pesantemente. Un altro allievo venne colpito molto forte alla testa, tanto da lasciargli dei segni rossi; per far questo gli era anche salito sui piedi. Già in precedenza aveva avuto la sanzione della censura per episodi simili (in ventiquattro anni nella scuola nessuno gli ha fatto mai niente, il preside attuale ha preso tre provvedimenti disciplinari da quando, sei anni fa, ha assunto la dirigenza). In questo caso viene chiesta all’Usr la sospensione di un mese. Da notare una cosa fondamentale: è emerso che i ragazzi in passato si erano sfogati con alcuni docenti, i quali si sono ben guardati dal dirlo al dirigente, dal difendere i ragazzi, dall’andare dal collega a dire “Cosa fai?, puoi avere dei guai…”. Niente, silenzio totale.

Per quanto riguarda le norme, il parere prevalente in questo incontro ristretto è stato che in teoria potrebbero essere adeguate, ma è appunto difficilissimo attuarle. Dall’insieme delle testimonianze, d’altra parte, si può trarre la conclusione che almeno sul piano procedurale c’è sicuramente qualcosa da cambiare; e che si dovrebbero rendere più forti, per essere deterrenti, le attuali sanzioni. Va ribadita inoltre la necessità del sostegno che l’amministrazione dovrebbe dare ai dirigenti. Almeno un passo avanti viene fatto dalla legge Madia, che stabilisce con più chiarezza che in passato che  la competenza sulle sospensioni fino a 10 giorni è proprio del dirigente scolastico e non del direttore regionale. Tuttavia resta aperto il problema di come togliere dall’insegnamento un docente indiscutibilmente dannoso sul piano della preparazione o del comportamento.

Infine, lo spostamento in un’altra scuola di un docente scorretto non è una soluzione e va limitato a casi di sopraggiunta incompatibilità ambientale (rapporti con i colleghi, eccetera).

Tutto questo ha risvolti evidenti (o almeno tali dovrebbero essere) sul piano dell’andamento generale di un istituto scolastico. I provvedimenti disciplinari, se giusti, avrebbero un effetto deterrente, cioè di prevenzione di comportamenti scorretti. I docenti in larga parte preferiscono le sanzioni al collega che non funziona – che sono, come si è già detto, un implicito riconoscimento a chi fa il suo dovere – alla politica dei (modesti) premi ai “migliori” come strumento di miglioramento della qualità media. E dovrebbe essere così in ogni settore della società.

 

APPENDICE

Alcuni esempi di mancata, inadeguata o difficile applicazione delle sanzioni disciplinari nella scuola italiana

(Segnalazioni di docenti e dirigenti di varie parti d’Italia al Gruppo di Firenze o casi di nostra diretta esperienza. Diverse testimonianze sono in prima persona)

  1. Docente di scuola superiore di una cittadina toscana

Insegnante con già due provvedimenti disciplinari e un’ispezione (ha tra l’altro dato del “buzzone” al genitore di un ragazzo solo perché esponente di un partito politico avverso al suo). Impegnato politicamente, consigliere comunale nella cittadina di residenza. In occasione delle nuove elezioni comunali, fa propaganda in classe e insiste per avere firme di sostegno alla sua lista. Lo fa in particolare con un ragazzo molto timido, che resiste a lungo, poi, preso da parte, acconsente per soggezione. Scopre poi che ha firmato invece l’accettazione di una candidatura ed entra in crisi, non vuole più venire a scuola, vorrebbe cancellarsi. I compagni informano il dirigente, che lo chiama e lui confessa che ha paura, soprattutto di ritorsioni. Il Dirigente chiama i genitori che gli confermano tutto, anche per scritto, poi esorta il ragazzo a tornare a scuola, assicurandogli che l’avrebbe tutelato.

Un consiglio di classe

Un consiglio di classe

Data la gravità del caso, invia tutto all’ufficio scolastico provinciale, che propone 3 gg di sospensione al CNP (siamo prima della legge Brunetta), che propone invece 7 gg. fatti propri dall’Usp. Il docente non fa ulteriore azione. Il docente, che si è sempre caratterizzato per neghittosità, irresponsabilità e incompetenza, è per alcuni ragazzi una persona divertente, soprattutto per quelli che lo sostengono sul piano politico, mentre altri sopportano per paura di ritorsioni. Ritorsioni che effettivamente sono state provate e certificate in un episodio di qualche anno prima. Successivamente lo stesso docente si segnala per una lunga serie di ritardi, per i quali il dirigente gli infligge una sanzione disciplinare, contro la quale però il destinatario vince il ricorso solo perché il DS aveva mancato di precisare che era recidivo. Tempo dopo il docente si ripete nel candidare a loro insaputa per un’altra elezione amministrativa locale alcuni studenti, che si recano dal dirigente, che invia tutto all’Usp, al quale però basta la testimonianza di una collega dell’accusato per decidere di non procedere. Contemporaneamente però i ragazzi vanno anche dai carabinieri ed è in corso un processo penale.

  1. Supplente di scuola superiore di una città toscana

Veniamo a un insegnante, cinquantenne, sempre delle superiori, gravemente disturbato sul piano relazionale e impreparatissimo nella sua disciplina, tanto che le sue lezioni consistono nella lettura del libro di testo senza spiegazioni, non essendo il docente assolutamente in grado di rispondere alle domande degli allievi. La prima sanzione è stata per gravi offese nei confronti degli studenti, malgrado i richiami del ds a una maggiore correttezza. Per di più, dopo mesi dall’inizio dell’anno scolastico, non aveva ancora consegnato la programmazione. Il ds segue l’iter previsto dalle leggi in merito di sanzioni (richiamo scritto, censura, sospensione). Dopo la prima contestazione l’insegnante reagisce con ulteriore violenza verbale e colpevolizzazione nei confronti degli studenti. Ma continua a comportarsi in questo modo. Tra l’altro offende gravemente un’allieva solo perché gli aveva chiesto spiegazioni su un argomento della sua disciplina.

Si segnala anche per la ritardata riconsegna dei compiti (in un caso si arriva a quasi tre mesi). Gli viene comminata la sospensione massima che può essere inflitta da un ds (dieci giorni). Lui continua nelle offese e nelle minacce, uno studente viene addirittura spintonato. Una ragazza ha avuto un attacco di panico e si è rifiutata di tornare in classe per diverso tempo. Tutto documentato. Viene sospeso per due mesi, poi, trasferito a un’altra scuola, dove si sa per certo che ha continuato a comportarsi così, senza che sia stato preso alcun provvedimento disciplinare.

  1. Supplente annuale in scuole superiori e medie di una città toscana

Si dimostra incapace di gestire anche per cinque minuti una classe, il ds deve intervenire di continuo per ristabilire la calma, anche perché non si poteva fare lezione nelle classi accanto. Le viene comminata una censura (ma sarebbe necessario allontanarla dall’insegnamento). In altre scuole la situazione non cambia. Da notare che si tratta di una tipologia molto diffusa.

  1. Docente ritardataria in una scuola superiore

Le viene contestato un ritardo sistematico di un quarto d’ora. Sostiene di non poter fare altrimenti, perché dovrebbe prendere un treno molto prima. È comunque spesso in ritardo anche in altri orari, neghittosa, reagisce male ai richiami, spesso assente ai collegi e ai consigli. Le viene fatta una censura. Si ammala ed è assente ingiustificata alla visita fiscale, cosa che le viene ovviamente contestata. Dopo il terzo provvedimento disciplinare fa ricorso al Presidente della Repubblica (quindi relazione da parte del dirigente), che dopo un paio di anni dichiara legittima la sanzione. Continua ancor oggi a comportarsi così, cioè a fare danni.

  1. Docente di scuola superiore che finge di fare i corsi di recupero

Teneva i corsi di recupero pomeridiani, ma in realtà mandava via i ragazzi dopo dieci minuti. L’anno dopo cambia scuola e passa di ruolo. I dirigenti non si preoccupano nemmeno di chiedere se aveva avuto provvedimenti disciplinari. Non ha quasi mai fatto lezione in classe.

  1. Docente di educazione fisica in un liceo napoletano

 In un liceo di Napoli non c’è la palestra e si va a fare educazione fisica in un’altra scuola. Un insegnante si fa dare le ultime ore di sabato e dice ai ragazzi di non venire a scuola, quindi il sabato non va mai a lavorare. Il tutto ovviamente con la complicità del dirigente e anche dei custodi. Prassi, ci si dice, molto diffusa nella zona. Insieme a un’altra (pure presente nello stesso liceo): a aprile molti docenti dicono ai ragazzi che possono anche non venire più a scuola, tanto i giochi sono fatti. E le classi si spopolano. Stessa cosa per il mese di giugno almeno in una scuola materna: le mamme sono invitate a tenere a casa i figli.

  1. Il caso del vice-preside molestatore

Si tratta di un caso molto grave, tanto per il merito, quanto per l’assoluta assenza di conseguenze sul piano disciplinare.

Il caso è riportato in un documento della Corte dei Conti del 2006, la “Relazione sulla gestione dei procedimenti disciplinari da parte delle amministrazioni dello Stato” (delibera n. 7/06/g), al capitolo “Gli esiti dei reati di violenza sessuale negli istituti scolastici” (pp. 40 – 50) ed è anche di mia diretta conoscenza, essendosi verificato nel liceo dove allora insegnavo.

Si legge nella relazione: «In altra fattispecie, la pratica disciplinare di un condannato per atti di libidine violenta e atti osceni è stata automaticamente archiviata. Si tratta del dipendente STOB, condannato con sentenza patteggiata n. 239/98 del Tribunale penale di Firenze, alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione (pena sospesa), perché riconosciuto colpevole di aver compiuto – nell’arco temporale 1990–1993 – numerosi atti di libidine violenti nei confronti di diverse alunne, dopo averle convocate nell’ufficio di presidenza del Liceo, in qualità vice preside, ovvero nella pubblica via, all’interno di una autovettura.

Sulla base di tale sentenza, divenuta definitiva il 21.4.98 e pervenuta all’ex Provveditorato agli studi di Firenze solamente il 7 febbraio 2001, veniva instaurato il procedimento disciplinare, contestando al docente le gravissime violazioni ai doveri d’ufficio, già oggetto del giudicato penale.

Il procedimento in parola, tuttavia, si è concluso con la determinazione di archiviazione del 27.4.01, assunta autonomamente dal Provveditore, senza richiedere il parere del competente organo collegiale consultivo, la quale “…trova fondamento, preliminarmente, nel notevole lasso di tempo che è ormai trascorso dalle circostanze che diedero luogo al procedimento penale, con la conseguenza che la continuazione dell’azione disciplinare stravolgerebbe le finalità che sono connaturate all’istituto.(!) Si deve, inoltre, dare atto della considerazione che meritano le attestazioni e l’apprezzamento per il particolare e notevole impegno profuso in questi anni come collaboratore del capo d’Istituto e responsabile dei vari settori del Liceo”. »

È difficile negare che a fronte della gravità dei reati contestati le motivazioni addotte dal Provveditore dell’epoca per archiviare la pratica risultano assolutamente stupefacenti, mentre si deve constatare che a quella data erano ormai passati 8 anni dai fatti e ben 3 dalla condanna penale, con il docente STOB che aveva tranquillamente continuato a insegnare e a fare il vice-preside, come se niente fosse accaduto (e come se niente potesse ancora accadere). All’interno dell’Istituto la cosa era del resto a conoscenza di poche persone, fra queste il Dirigente Scolastico, il quale però non solo aveva sempre confermato, e successivamente continuò a confermare, l’insegnante nel ruolo di collaboratore vicario, ma successivamente accettò senza battere ciglio che divenisse il responsabile del CIC (Centro Informazione e Consulenza), al quale gli studenti si possono rivolgere per parlare di loro problemi personali. Chiunque si può rendere conto quanto questo delicato ruolo fosse compatibile con una condanna penale per violenze sessuali.

La cosa continuò a passare sotto silenzio ancora per qualche anno, fino al 2006, anno in cui fu appunto pubblicata la Relazione della Corte dei Conti di cui sopra. Che evidentemente fu letta da qualche giornalista che, accertata l’identità del docente, pubblicò su Repubblica un articolo sul caso, durante il periodo degli Esami di Stato. A quel punto insegnanti, studenti e famiglie erano a conoscenza del caso, ma a settembre il Dirigente apparve chiaramente intenzionato a continuare a far finta di nulla, anche dopo un colloquio con me e un mio collega, in cui gli facemmo presente la situazione imbarazzante in cui si trovava la scuola.

Solo quando un anonimo “Pasquino” incollò sui muri di fronte alla scuola alcune copie dell’articolo di Repubblica, il docente STOB decise di prendere un anno di aspettativa e successivamente di andare in pensione.

  1. Un’insegnante di educazione artistica

A cominciare dal 1994, in una scuola media toscana, è stata più volte oggetto di lamentele da parte dei genitori in quanto largamente inadeguata, soprattutto sul piano relazionale, oltre al fatto che spessissimo arrivava in ritardo alla prima ora. Soffriva di depressione e prendeva farmaci, per cui a volte si addormentava in cattedra. Molti allievi, anche portati per la materia, finivano per demotivarsi, anche per lo stress provocato dai frequenti urli della docente. Più volte è stata oggetto di ispezioni e di provvedimenti disciplinari per i ritardi. Nulla però di decisivo è stato ottenuto, anche per la assoluta indisponibilità della docente a intraprendere percorsi di miglioramento. Nel 2012, infine, una nuova dirigente l’ha praticamente costretta a chiedere una visita medica che l’ha riconosciuta inidonea all’insegnamento. Ci sono quindi voluti diciotto anni. E in ognuno di questi anni ha avuto da duecento a duecentocinquanta allievi. Dopo due anni è tornata a insegnare.

  1. Docente a tempo indeterminato in un liceo artistico romano

È assente almeno quattro volte su dieci oppure arriva in ritardo. Quando è in classe c’è l’anarchia assoluta ed è abbastanza noto a tutti che non insegna granché. Oltre a non essere sanzionata, naturalmente una simile docente, il cui comportamento era divenuto proverbialmente negativo presso alunni, operatori scolastici e colleghi, precede in graduatoria e rischia ogni anno di togliere il posto a una collega della stessa materia che, oltre a essere sempre presente, ha conseguito più volte risultati di eccellenza anche nella partecipazione delle classi a concorsi nazionali.

  1. Due insegnanti in un liceo fiorentino

Secondo l’esperienza di chi scrive, è piuttosto frequente che i docenti che insegnano due materie (Italiano e Storia, Matematica e Fisica, Storia e Filosofia etc.) trascurino una delle due a favore dell’altra, in qualche caso in una misura tale da recare un danno grave ai propri allievi.

Nella mia esperienza scolastica in istituti superiori ricordo in particolare i casi di due colleghi. Il primo insegnava Italiano e Storia e dichiarava “apertis verbis” di non avere interesse per la storia e di conseguenza un’adeguata preparazione in questa materia e dedicava la grande maggioranza delle ore a disposizione alla letteratura italiana. Gli studenti in questi casi non sono generalmente portati a protestare, dato che questo comportamento li esonera in gran parte dallo studio di una materia, tuttavia non mancarono le proteste da parte di alcuni ragazzi (e delle loro famiglie) che giustamente si sentivano privati di un loro diritto e, arrivati in quinta, temevano di arrivare impreparati alla Maturità (almeno nei periodi in cui gli esami prevedevano dei commissari esterni). Ho personalmente assistito alle rimostranze che i rappresentanti di classe facevano a questo docente, che rispondeva negando gli addebiti con fastidio e imbarazzo. Questo comportamento si è protratto per moltissimi anni, senza che fossero presi concreti provvedimenti, al di là di blandi richiami.

L’altro caso riguarda un’insegnante di Matematica e Fisica, la quale dichiarava senza alcuna remora che, essendo lei laureata in Matematica, di Fisica sapeva assai poco. In questo caso non mi risulta che nemmeno ci siano stati da parte del Dirigente i blandi richiami di cui sopra. E non c’è dubbio che la maggior parte dei colleghi, essendo al corrente di questi comportamenti e constatando che nessuno si preoccupa di contestarli, finisca per considerarli inevitabili e quasi fisiologici, insieme al prezzo che per questo pagano gli studenti.

  1. L’insegnante militante in nome della libertà d’insegnamento

Il docente *** di un Liceo Artistico fiorentino, insegnante di storia e lettere, nei molti anni della sua presenza in tutte le classi (dalla prima alla quinta) per una sua visione pedagogica e ideologica ha svolto il suo programma senza tener in alcun conto né le indicazioni ministeriali né gli obiettivi didattici approvati dai consigli di classe, dalle riunioni per materie, dai collegi dei docenti.

In sintesi:

  • Discussione di temi di attualità al posto del programma di storia.
  • Studio della semiologia e dello strutturalismo al posto della storia della letteratura.
  • Niente studio individuale, ma lavoro di ricerca.
  • Niente compiti d’italiano in classe, niente interrogazioni.
  • In sede di valutazione era garantito a tutti il voto di sufficienza, al massimo qualche sette, in nome dell’eguaglianza contro le discriminazioni meritocratiche.
  • Nella stessa logica antigerarchica dava il lei ai suoi studenti e si faceva dare del tu.
  • Nel 2006 è andato tranquillamente in pensione per raggiunti limiti di età e di servizio senza che i richiami della dirigenza ed alcune ispezioni ministeriali abbiano modificato il suo comportamento professionale.

Va pure aggiunto che per la coerenza del suo impegno intellettuale e per il fascino della persona ha sempre avuto la stima della maggior parte dei suoi studenti, nonostante le lamentele da parte di molti genitori.

Considerazione finale di Valerio Vagnoli, dirigente scolastico

In sei anni di esperienza come dirigente mi sono trovato di fronte a docenti assolutamente inadeguati (e lo stesso vale per il personale non docente), con problemi consolidatisi negli anni o meglio nei decenni. Analizzando i loro fascicoli personali non ho trovato assolutamente mai prese di posizione da parte dei miei colleghi dirigenti; a conferma di come i dirigenti scolastici evitino di affrontare problemi anche gravi, perché sono compiti che stressano, che richiedono competenze molto precise, perché ovviamente noi ci dobbiamo confrontare con i sindacati, con gli avvocati dei docenti, per cui talvolta basta veramente dimenticare una parola, per veder annullata una fatica che dura mesi se non anni. Quindi il non-intervento da parte dei miei colleghi ha anche ragioni precise, perché si esita a imbarcarsi in un’avventura che non porta quasi mai a risultati definitivi. Poi ci sono pochissimi ispettori e i docenti scorretti si salvano anche trasferendosi da una scuola all’altra. C’è quindi un duplice problema. Sul versante dei presidi c’è o collusione (problema culturale) o senso di impotenza, spesso acquisito dopo inutili tentativi di cambiare le cose. C’è poi il versante delle norme e delle possibilità di intervento che è molto problematico.

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