Per conquistare il voto di quel 40 per cento che ha sostenuto gli ultimi due Governi e che ha votato Sì al referendum costituzionale, il segretario Pd deve impostare una campagna elettorale coerente con la strategia europea perseguita dall’Italia in questi ultimi anni
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Intervista inserita da David Allegranti in un servizio più ampio dedicato alla Leopolda 8, pubblicato su il Foglio del 24 novembre 2017 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 28 ottobre, Paradossi di fine legislatura .
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[…] Il Foglio ha cercato alcuni protagonisti delle prime Leopolde, da Oscar Farinetti a Pietro Ichino, da Luigi Zingales a Cosimo Pacciani, per capire a che punto è arrivato Renzi. Oltre alle risposte sono interessanti anche i silenzi, di chi ha visualizzato su WhattsApp e ha preferito non rispondere alle domande del Foglio o chi ha detto chiaramente di non voler commentare. […]
E insomma, a che punto è arrivato il segretario del Pd?
Renzi – dice al Foglio il senatore Pietro Ichino, protagonista della Leopolda dell’edizione 2012 – è arrivato a un bivio. Può candidare il Pd a raccogliere il voto del 40 per cento di italiani che mostrano di apprezzare quel che ha fatto il suo governo e quel che sta facendo il governo Gentiloni, e – perché no? – anche di raccogliere il voto del 40 per cento di italiani che hanno votato per la riforma costituzionale; e allora deve impostare la campagna elettorale in rigorosa coerenza con quanto si è fatto fin qui.
Oppure?
Oppure può scegliere di rincorrere un po’ i Cinque Stelle, un po’ Berlusconi.
Vede questo rischio?
Lo vedo quando gli sento lanciare la parola d’ordine del “ritorno a Maastricht”. Che significa ritornare indietro rispetto al cammino che abbiamo fatto negli ultimi 15 anni sulla via dell’integrazione dell’Italia in Europa, della costruzione della nuova UE.
Lui lo propone per avere un maggiore spazio di manovra per la riduzione delle tasse, in funzione del rafforzamento della crescita.
Già, ma tornare al deficit del tre per cento sul PIL significherebbe azzerare i trattati europei del 2010, cioè rinunciare al disegno del pareggio strutturale di bilancio degli Stati-membri mirato a consentire che le politiche espansive vengano attuate dall’UE. Come in qualche misura sta già accadendo: Draghi non potrebbe praticare il quantitative easing se gli Stati membri non si fossero impegnati a mettere in sicurezza i rispettivi bilanci. Significherebbe, dunque, rinunciare a partecipare alla costruzione della nuova UE con il gruppo di testa. Significherebbe rinnegare, in particolare, tutto quanto di buono i governi Renzi e Gentiloni, col ministro Padoan e il viceministro Morando, hanno fatto negli ultimi quattro anni. A quel punto chi resterebbe a raccoglierne l’eredità? Soltanto Benedetto Della Vedova con il suo movimento Forza Europa?
Ritornare a Maastricht lo propone, però, anche Berlusconi.
Ma Berlusconi è libero di farlo, perché non può candidarsi a raccogliere l’eredità degli ultimi quattro anni di governo; mentre Renzi sì. Sarebbe incomprensibile che ci rinunciasse e anzi svalutasse quel che lui stesso ha fatto. In realtà, comunque, sia Renzi sia Berlusconi sanno benissimo che l’Italia non può permettersi questa scelta: “tornare a Maastricht” è una promessa che non può essere mantenuta.
La Leopolda doveva essere luogo di selezione della classe dirigente del nuovo Pd. Ha svolto il suo compito?
In qualche misura sì. Ma non abbastanza: il Pd ha dei buoni ministri, ma soffre della mancanza di dirigenti politici di livello medio, dotati di esperienza e competenza in diversi settori-chiave.
Si ha la sensazione che negli ultimi mesi, soprattutto dopo la sconfitta al referendum, il segretario del Pd non abbia trovato un adeguato sostituto della “rottamazione”, termine-manifesto con cui ha saputo farsi avanti in questi anni. Secondo lei perché?
Renzi deve passare dalla fase iniziale dell’auto-affermazione, basata su parole d’ordine necessariamente semplificate e a forte contenuto di rottura rispetto all’establishment precedente, a una fase in cui si accredita come statista competente e lungimirante. Ma per compiere questo passaggio deve avere il coraggio, appunto, di alzare lo sguardo verso l’orizzonte, rinunciare a lisciare il pelo all’opinione pubblica cercando di farsi interprete delle sue sensibilità epidermiche, e mostrarsi invece capace di guidarla verso un obiettivo di cambiamento coraggioso e al tempo credibile. Che in questo momento può essere soltanto uno: la “riforma europea” dell’Italia, in funzione della costruzione della nuova Unione Europea. Insomma: quello che ha fatto e sta facendo in Francia Macron. È vero, noi abbiamo perso il referendum costituzionale; ma è pur sempre da lì che dobbiamo ripartire. Spero che l’assemblea nazionale di LibertàEguale a Orvieto, fra due settimane, dia un contributo forte in questa direzione.
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